SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)
9 novembre 2022 (*)
«Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Fissazione dei prezzi – Limitazione e controllo della produzione e delle vendite – Decisione adottata in seguito all’annullamento di decisioni anteriori – Tenuta di una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Termine ragionevole – Obbligo di motivazione»
Nella causa T‑655/19,
Ferriera Valsabbia SpA, con sede a Odolo (Italia),
Valsabbia Investimenti SpA, con sede a Odolo,
rappresentate da D. Fosselard, D. Slater e G. Carnazza, avvocati,
ricorrenti,
contro
Commissione europea, rappresentata da P. Rossi, G. Conte e C. Sjödin, in qualità di agenti, assistiti da P. Manzini, avvocato,
convenuta,
avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato), nella parte in cui essa constata che le ricorrenti hanno violato tale disposizione e nella parte in cui essa le condanna in solido a un’ammenda di EUR 5,125 milioni,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata),
composto, in sede di deliberazione, da S. Gervasoni, presidente, L. Madise, P. Nihoul (relatore), R. Frendo e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,
cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 giugno 2021,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti all’origine della controversia
1 Le ricorrenti, Ferriera Valsabbia SpA e Valsabbia Investimenti SpA, sono società di diritto italiano, derivanti dalla scissione, avvenuta il 1º marzo 2000, della Ferriera Valsabbia SpA, società di diritto italiano operante nel settore del tondo per cemento armato dal 1954. Il ramo operativo di quest’ultima è stato conferito alla Enifer Srl, che ha assunto la denominazione Ferriera Valsabbia. La Valsabbia Investimenti controlla il 100% del capitale dell’attuale Ferriera Valsabbia.
Prima decisione della Commissione (2002)
2 Dall’ottobre al dicembre 2000 la Commissione delle Comunità europee ha effettuato, conformemente all’articolo 47 CA, accertamenti presso imprese italiane produttrici di tondo per cemento armato, tra cui le ricorrenti, e presso un’associazione di imprese, la Federazione imprese siderurgiche italiane (in prosieguo: la «Federacciai»). Essa ha anche inviato loro richieste di informazioni ai sensi di tale disposizione.
3 Il 26 marzo 2002 la Commissione ha avviato un procedimento di applicazione dell’articolo 65 CA e formulato taluni addebiti ai sensi dell’articolo 36 CA (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti») notificati, in particolare, alle ricorrenti. Queste ultime hanno risposto alla comunicazione degli addebiti il 14 maggio 2002.
4 Il 13 giugno 2002 si è svolta un’audizione delle parti nell’ambito del procedimento amministrativo.
5 Il 12 agosto 2002 la Commissione ha inviato agli stessi destinatari taluni addebiti supplementari (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti supplementari»), ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204). In tale comunicazione, la Commissione ha precisato la sua posizione in merito alla prosecuzione del procedimento dopo la scadenza del Trattato CECA, avvenuta il 23 luglio 2002. Le ricorrenti hanno risposto alla comunicazione degli addebiti supplementari il 20 settembre 2002.
6 Il 30 settembre 2002 si è svolta una nuova audizione delle parti nel procedimento amministrativo, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Essa riguardava l’oggetto della comunicazione degli addebiti supplementari, ossia le conseguenze giuridiche della scadenza del Trattato CECA sulla prosecuzione del procedimento.
7 Al termine del procedimento, la Commissione ha adottato la decisione C (2002) 5087 definitivo, del 17 dicembre 2002, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 65 del trattato CECA (COMP/37.956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione del 2002»), indirizzata alla Federacciai e a otto imprese, tra cui le ricorrenti. Essa ha constatato che queste ultime, tra il dicembre 1989 e il luglio 2000, avevano attuato un’intesa unica, complessa e continuata nel mercato italiano del tondo per cemento armato in barre o in rotoli (in prosieguo: il «tondo per cemento armato») avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite, in violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA. A detto titolo, la Commissione ha inflitto in solido alle ricorrenti un’ammenda di importo pari a EUR 10,25 milioni.
8 Il 5 marzo 2003 le ricorrenti hanno proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione del 2002. Il Tribunale ha annullato detta decisione nei confronti delle ricorrenti (sentenza del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione, T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317) e delle altre imprese destinatarie, con la motivazione che la base giuridica utilizzata, ossia l’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA, non era più in vigore al momento dell’adozione della decisione. Pertanto, la Commissione non era competente, in base a tali disposizioni, a constatare e a sanzionare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA dopo la scadenza del Trattato CECA. Il Tribunale non ha esaminato gli altri aspetti della suddetta decisione.
9 La decisione del 2002 è divenuta definitiva nei confronti della Federacciai, che non ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale.
Seconda decisione della Commissione (2009)
10 Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione ha informato le ricorrenti e le altre imprese interessate della sua intenzione di adottare una nuova decisione, previa correzione della base giuridica utilizzata. Essa ha inoltre precisato che la decisione in parola sarebbe stata fondata sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari. Su invito della Commissione, le ricorrenti hanno presentato osservazioni scritte il 4 settembre 2008.
11 Il 30 settembre 2009 la Commissione ha adottato una nuova decisione, la C(2009) 7492 definitivo, relativa a una violazione dell’articolo 65 del trattato CECA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione), indirizzata alle stesse imprese di cui alla decisione del 2002, ivi incluse le ricorrenti. Detta decisione è stata adottata sulla base delle norme procedurali del trattato CE e del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1). Essa si basava sugli elementi oggetto della comunicazione degli addebiti e della comunicazione degli addebiti supplementari e riproduceva, in sostanza, il contenuto e le conclusioni della decisione del 2002. In particolare, l’importo dell’ammenda inflitta, in solido, alle ricorrenti, pari a EUR 10,25 milioni, rimaneva invariato.
12 L’8 dicembre 2009, la Commissione ha adottato una decisione di modifica, che integrava, nel suo allegato, le tabelle indicanti le variazioni dei prezzi omesse dalla sua decisione del 30 settembre 2009 e rettificava i riferimenti numerati alle suddette tabelle in otto note a piè di pagina.
13 Il 17 febbraio 2010 le ricorrenti hanno proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione della Commissione del 30 settembre 2009, come modificata (in prosieguo: la «decisione del 2009»). Il 9 dicembre 2014 il Tribunale ha respinto tale ricorso (sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione, T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032). Il Tribunale ha annullato parzialmente la decisione del 2009 nei confronti di un altro dei suoi destinatari, ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta ad altri due dei suoi destinatari e ha respinto gli altri ricorsi proposti.
14 Il 20 febbraio 2015 le ricorrenti hanno proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione (T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032). Con sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Corte ha annullato detta sentenza del Tribunale nonché la decisione del 2009 nei confronti, in particolare, delle ricorrenti.
15 Nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Corte ha dichiarato che, quando una decisione era stata adottata sulla base del regolamento n. 1/2003, il procedimento che si concludeva con tale decisione doveva essere conforme alle norme di procedura previste da suddetto regolamento nonché dal regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18), anche se detto procedimento era iniziato prima della loro entrata in vigore.
16 Orbene, la Corte ha constatato che, nel caso di specie, l’audizione del 13 giugno 2002, la sola riguardante il merito del procedimento, non poteva essere considerata conforme ai requisiti procedurali relativi all’adozione di una decisione in base al regolamento n. 1/2003, mancando la partecipazione delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.
17 La Corte ha concluso che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non era tenuta, prima dell’adozione della decisione del 2009, ad organizzare una nuova audizione, per il motivo che le imprese avevano già avuto la possibilità di essere ascoltate durante le audizioni del 13 giugno e del 30 settembre 2002.
18 Nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Corte ha ricordato l’importanza dello svolgimento, su richiesta delle parti interessate, di un’audizione alla quale siano invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, costituendo la sua omissione una violazione delle forme sostanziali.
19 La Corte ha dichiarato che, poiché il diritto in parola, previsto espressamente dal regolamento n. 773/2004, non era stato rispettato, non era necessario che l’impresa il cui diritto fosse stato così violato dimostrasse che tale violazione era stata idonea ad influenzare a suo svantaggio lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione controversa.
20 La Corte ha altresì annullato, per gli stessi motivi, altre sentenze del Tribunale pronunciate il 9 dicembre 2014 che statuivano sulla legittimità della decisione del 2009, nonché la decisione stessa, nei confronti di altre quattro imprese. La decisione del 2009 è invece divenuta definitiva per le imprese destinatarie che non hanno proposto impugnazione avverso le suddette sentenze.
Terza decisione della Commissione (2019)
21 Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha informato le ricorrenti della propria intenzione di riprendere il procedimento amministrativo e di organizzare, in tale contesto, una nuova audizione delle parti di detto procedimento in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.
22 Con lettera del 1° febbraio 2018, le ricorrenti hanno presentato osservazioni nelle quali hanno contestato il potere della Commissione di riassumere il procedimento amministrativo e ha pertanto invitato quest’ultima a non procedere a tale riassunzione.
23 Il 23 aprile 2018 la Commissione ha tenuto una nuova audizione relativa al merito del procedimento, alla quale hanno partecipato, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e del consigliere-auditore, le ricorrenti nonché altre tre imprese destinatarie della decisione del 2009.
24 Con lettere del 19 novembre 2018 nonché del 18 gennaio e del 6 maggio 2019, la Commissione ha inviato alle ricorrenti tre richieste di informazioni riguardanti il loro fatturato.
25 Il 4 luglio 2019 la Commissione ha adottato la decisione C(2019) 4969 final, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (AT.37956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), destinata alle cinque imprese nei confronti delle quali la decisione del 2009 era stata annullata, vale a dire, oltre alle ricorrenti, l’Alfa Acciai SpA, la Feralpi Holding SpA (già Feralpi Siderurgica SpA e Federalpi Siderurgica SRL), la Partecipazioni Industriali SpA (già Riva Acciaio SpA e successivamente Riva Fire SpA; in prosieguo: la «Riva») nonché la Ferriere Nord SpA.
26 Con la decisione impugnata, la Commissione ha constatato la stessa infrazione oggetto della decisione del 2009, al contempo riducendo del 50% le ammende inflitte alle imprese destinatarie a motivo della durata del procedimento. Con l’articolo 2 della decisione impugnata, la Commissione ha quindi inflitto alle ricorrenti, solidalmente, un’ammenda di importo pari a EUR 5,125 milioni.
27 In data 8 luglio 2019 è stata notificata alle ricorrenti una copia incompleta della decisione impugnata, contenente solo le pagine dispari.
28 Il 18 luglio 2019 è stata notificata alle ricorrenti una versione completa della decisione impugnata.
Procedimento e conclusioni delle parti
29 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 settembre 2019, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.
30 Su proposta della Quarta Sezione, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rimettere la causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato.
31 Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto alcuni quesiti scritti alle parti e ha chiesto loro di produrre taluni documenti. Le parti hanno risposto a tali quesiti e a tali richieste di produzione di documenti entro il termine impartito.
32 Con decisione del presidente della Quarta Sezione del Tribunale del 16 aprile 2021, le cause T‑655/19 e T‑656/19 sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento, conformemente all’articolo 68 del regolamento di procedura.
33 All’udienza del 2 giugno 2021, le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti scritti e orali posti dal Tribunale.
34 Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:
– annullare la decisione impugnata nella parte in cui essa le riguarda;
– condannare la Commissione alle spese.
35 La Commissione chiede che il Tribunale voglia:
– respingere il ricorso;
– condannare le ricorrenti alle spese.
In diritto
36 A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono i seguenti quattro motivi, vertenti:
– il primo, sulla violazione di norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018, che avrebbe comportato una violazione dei diritti della difesa;
– il secondo, sull’illegittimo rifiuto della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale adozione con il principio della durata ragionevole del procedimento;
– il terzo, e una parte del quarto, sulla violazione del principio della durata ragionevole del procedimento;
– il quarto, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e su errori manifesti di valutazione.
Sul primo motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa e delle norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018
37 Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata è stata adottata al termine di un procedimento inficiato dall’esistenza di irregolarità commesse nell’organizzazione dell’audizione successiva alla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717).
38 In particolare, le ricorrenti deducono tre censure, riguardanti l’imparzialità che si esige da parte del comitato consultivo, l’assenza di soggetti importanti durante l’audizione del 23 aprile 2018 e l’impossibilità, per la Commissione, di porre rimedio al vizio procedurale censurato dalla Corte, tutte contestate dalla Commissione.
Sull’audizione organizzata a seguito della riapertura del procedimento amministrativo
39 In via preliminare, occorre ricordare che, nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717, punti da 42 a 47), la Corte ha addebitato alla Commissione di non aver dato alle ricorrenti la possibilità di sviluppare i loro argomenti nel corso di un’audizione vertente sul merito del caso in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.
40 La Corte ha poi affermato che il vizio così individuato doveva essere analizzato come una violazione delle forme sostanziali che inficia il procedimento indipendentemente dalle conseguenze pregiudizievoli per le ricorrenti che potrebbero risultarne (sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717, punti da 48 a 50).
41 Analizzando la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Commissione ha ritenuto che, se tale difetto fosse stato corretto, il procedimento amministrativo avrebbe potuto essere riaperto nei confronti delle imprese ancora interessate (punto 15 della decisione impugnata).
42 Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha comunicato alle imprese interessate che intendeva riaprire il procedimento amministrativo a partire dal punto in cui era emerso il vizio identificato dalla Corte, vale a dire a partire dall’audizione.
43 Nella sua lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha chiesto alle imprese interessate di manifestare per iscritto, qualora lo desiderassero, il loro interesse a partecipare ad una nuova audizione, che, vertente sul merito del caso, sarebbe stata organizzata in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri conformemente alla normativa applicabile.
44 Avendo ricevuto le risposte fornite dalle imprese interessate, il 23 aprile 2018 la Commissione ha organizzato una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.
Sull’esecuzione delle sentenze di annullamento
45 Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 266, paragrafo 1, TFUE, l’istituzione da cui emana l’atto annullato è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta.
46 Per conformarsi a una sentenza di annullamento e darle piena esecuzione, le istituzioni devono rispettare non soltanto il dispositivo della sentenza, ma anche i motivi che ne costituiscono il fondamento necessario, nel senso che sono indispensabili per determinare il significato esatto di ciò che è stato deciso nel dispositivo (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2017, Francia/Commissione, T‑74/14, non pubblicata, EU:T:2017:471, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
47 L’annullamento di un atto che pone fine a un procedimento amministrativo non incide su tutte le fasi precedenti alla sua adozione, ma unicamente su quelle interessate dalle ragioni, di merito o procedurali, che hanno giustificato l’annullamento (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2017, Francia/Commissione, T‑74/14, non pubblicata, EU:T:2017:471, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
48 Pertanto, la procedura volta alla sostituzione di un atto annullato può, in linea di principio, essere riaperta a partire dalla fase inficiata dall’illegittimità (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 73, e del 6 luglio 2017, Francia/Commissione, T‑74/14, non pubblicata, EU:T:2017:471, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
49 Nel caso di specie, poiché l’atto è stato annullato a seguito di una violazione di forme sostanziali intervenuta nell’organizzazione dell’audizione (sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), ben poteva la Commissione riaprire il procedimento, come ha fatto, a partire da tale fase.
50 È in siffatto contesto che devono essere esaminate le censure dedotte dalle ricorrenti a sostegno del primo motivo.
Sulla prima censura, relativa all’imparzialità che si esige da parte del comitato consultivo
51 Le ricorrenti sostengono che il comitato consultivo non è stato validamente consultato, poiché le modalità messe in atto per organizzare l’audizione alla quale dovevano essere invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, i cui rappresentanti compongono detto comitato, non hanno consentito di garantirne l’imparzialità nel momento in cui quest’ultimo doveva emettere il proprio parere in applicazione della normativa.
52 A tal riguardo, occorre ricordare che il procedimento per l’adozione delle decisioni fondate sugli articoli 101 e 102 TFUE è disciplinato, per quanto concerne gli aspetti coinvolti dalla presente controversia, dal regolamento n. 1/2003:
– ai sensi dell’articolo 14, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, la Commissione, prima di adottare la sua decisione, consulta un comitato composto da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri;
– l’articolo 14, paragrafo 3, di detto regolamento specifica che tale comitato emette per iscritto un parere sul progetto preliminare di decisione presentato dalla Commissione;
– l’articolo 14, paragrafo 5, del medesimo regolamento precisa che la Commissione tiene in massima considerazione il parere espresso da tale comitato, informandolo del modo in cui essa ha adempiuto tale obbligo.
53 Per l’organizzazione delle audizioni, il regolamento n. 773/2004 stabilisce le seguenti regole:
– l’articolo 12 di tale regolamento impone alla Commissione di accordare alle parti cui è inviata la comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un'audizione orale, qualora lo richiedano nella loro proposta scritta;
– l’articolo 14, paragrafo 3, di detto regolamento prevede che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri siano invitate a prendere parte all’audizione.
54 Secondo la giurisprudenza, la consultazione del comitato consultivo costituisce una formalità sostanziale la cui violazione incide sulla legittimità della decisione controversa e comporta il suo annullamento qualora sia dimostrato che il mancato rispetto della normativa ha impedito a tale comitato di emettere il proprio parere con piena cognizione di causa (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2018, Servier e a./Commissione, T‑691/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:922, punto 148 e giurisprudenza ivi citata).
55 Le ricorrenti non affermano che le regole enunciate ai punti 52 e 53 supra non sono state rispettate in quanto tali. Esse ritengono, tuttavia, che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, quando hanno partecipato all’audizione del 23 aprile 2018 e hanno, successivamente, emesso il loro parere, non si trovassero in una situazione idonea a garantirne l’imparzialità. Ad avviso delle ricorrenti, le autorità in parola conoscevano, infatti, al momento di esprimere suddetto parere, la posizione che era stata adottata dalla Commissione e dagli organi giurisdizionali dell’Unione europea nelle decisioni e nelle sentenze che avevano punteggiato il procedimento. Esse osservano, da un lato, che, prima di adottare la decisione impugnata, la Commissione già aveva adottato, in due occasioni (nel 2002 e nel 2009), una decisione sanzionatoria senza consultare le suddette autorità riguardo al merito del caso e che, dall’altro, nel 2014, il Tribunale aveva pronunciato una sentenza confermativa della posizione assunta dalla Commissione. A loro avviso, essendo caratterizzato dall’esistenza di tali decisioni e di tale sentenza, il contesto ha inevitabilmente influenzato le medesime autorità in un modo tale da rendere impossibile la formulazione di un parere con assoluta imparzialità.
56 A tal riguardo, si deve rammentare che, quando un atto viene annullato, esso scompare dall’ordinamento giuridico ed è considerato come mai esistito (v. sentenza del 13 dicembre 2017, Crédit mutuel Arkéa/BCE, T‑712/15, EU:T:2017:900, punto 42 e giurisprudenza ivi citata), anche se, quando l’annullamento ha portata individuale, ne traggono vantaggio, o stanti determinate circostanze, unicamente le parti del processo (v. sentenza dell’8 maggio 2019, Lucchini/Commissione, T‑185/18, non pubblicata, EU:T:2019:298, punti da 33 a 37 e giurisprudenza ivi citata).
57 Così, le sentenze del Tribunale, che sono atti adottati da una delle istituzioni dell’Unione, scompaiono retroattivamente dall’ordinamento giuridico quando sono annullate in sede di impugnazione.
58 Pertanto, nel caso di specie, sebbene il comitato consultivo abbia reso il suo parere, da un lato, dopo che la Commissione aveva adottato la decisione del 2002 e poi quella del 2009 e, dall’altro, dopo che il Tribunale si era pronunciato nella sua sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione (T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032), resta comunque il fatto che, essendo state annullate, tali decisioni e tale sentenza erano scomparse dall’ordinamento giuridico dell’Unione e che, in applicazione di detta giurisprudenza, dovevano essere considerate mai esistite.
59 Relativamente all’asserita mancanza di imparzialità delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, che renderebbe impossibile la formulazione, da parte del comitato consultivo, di un parere con assoluta imparzialità, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), ogni persona ha diritto, in particolare, a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione.
60 L’esigenza di imparzialità prevista dall’articolo 41 della Carta riguarda, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricato della questione manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (v. sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 155 e giurisprudenza ivi citata).
61 Nel caso di specie, l’imparzialità del comitato consultivo quando ha emesso il suo parere è messa in discussione perché, secondo le ricorrenti, l’atteggiamento dei rappresentanti delle autorità che compongono detto comitato avrebbe potuto essere influenzato dal fatto che dette autorità erano venute a conoscenza della posizione adottata sul caso, da un lato, dalla Commissione nelle sue decisioni del 2002 e del 2009 e, dall’altro, dal Tribunale nella sua sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione (T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032).
62 Da una simile conoscenza, anche volendo ritenerla dimostrata, non si può tuttavia inferire una mancanza di imparzialità idonea a pregiudicare la legittimità della decisione impugnata, a meno di mettere in dubbio le disposizioni del Trattato in forza delle quali atti dichiarati illegittimi possono essere sostituiti, senza che sia necessario determinare se quella messa in discussione dalle ricorrenti sia imparzialità soggettiva o oggettiva.
63 Infatti, la possibile conoscenza di una soluzione adottata in precedenza e, se del caso, confermata in una sentenza del Tribunale successivamente annullata dalla Corte in sede di impugnazione è insita nell’obbligo di trarre le conseguenze di un annullamento. Il fatto di decidere che la conoscenza di una situazione siffatta potrebbe, in quanto tale, impedire una riapertura del procedimento, inciderebbe, di per sé, sul meccanismo dell’annullamento, indicando che quest’ultimo implica non solo la scomparsa retroattiva dell’atto annullato, ma anche il divieto di riapertura del procedimento. Una simile eventualità sarebbe incompatibile con l’articolo 266 TFUE, che, in caso di annullamento sulla base dell’articolo 263 TFUE, impone alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione di prendere i provvedimenti che l’esecuzione delle sentenze emesse nei loro confronti comporta, senza tuttavia esonerarle dal compito consistente nell’assicurare, nei settori rientranti nella loro competenza, l’applicazione del diritto dell’Unione.
64 La censura in esame va pertanto respinta.
Sulla seconda censura, relativa all’assenza di soggetti importanti durante l’audizione del 23 aprile 2018
65 Le ricorrenti sostengono che la Commissione, da un lato, abbia violato diverse norme relative all’organizzazione delle audizioni e, dall’altro, abbia commesso un errore omettendo di invitare svariate entità all’audizione del 23 aprile 2018, laddove, avendo svolto un ruolo centrale nella vicenda, tali entità avrebbero potuto fornire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri elementi idonei a consentire a queste ultime di adottare la loro posizione con piena cognizione di causa. Ad avviso delle ricorrenti, non avendo potuto beneficiare di un parere reso con piena cognizione di causa da parte delle autorità in parola, i loro diritti della difesa sono stati violati per le seguenti ragioni:
– la Federacciai avrebbe dovuto partecipare a detta audizione, così come la Leali SpA, nel frattempo fallita, tenuto conto del ruolo centrale svolto da queste ultime nel complesso dei fatti oggetto dell’indagine;
– la Lucchini SpA, anch’essa fallita, e la Riva, posta in amministrazione straordinaria, che erano i leader del mercato, avrebbero anch’esse dovuto partecipare alla suddetta audizione;
– la Industrie Riunite Odolesi SpA (in prosieguo: la «IRO»), che, dal canto suo, non aveva impugnato la sentenza del 9 dicembre 2014, IRO/Commissione (T‑69/10, non pubblicata, EU:T:2014:1030), avrebbe anch’essa dovuto partecipare alla suddetta audizione;
– l’Associazione Nazionale Sagomatori Ferro (in prosieguo: l’«Ansfer») avrebbe dovuto essere invitata, giacché l’associazione in parola, rappresentante di clienti delle imprese interessate, era intervenuta in qualità di terzo nel corso dell’audizione del 13 giugno 2002 e in tale sede aveva dichiarato che l’esistenza di intese restrittive della concorrenza non era mai stata avvertita sul mercato.
66 Occorre, dunque, esaminare se, nell’organizzazione dell’audizione, la Commissione abbia violato una norma per essa vincolante e se, in tal modo, o in qualsiasi altro modo, essa abbia ostacolato i diritti della difesa delle ricorrenti in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018.
67 In primo luogo, occorre rilevare che la partecipazione all’audizione fa parte dei diritti procedurali la cui violazione, a causa della loro natura soggettiva, deve essere invocata dall’impresa o dal terzo che ne è titolare (v., in tal senso, sentenze del 1° luglio 2010, ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni/Commissione, T‑62/08, EU:T:2010:268, punto 186; del 12 maggio 2011, Région Nord-Pas-de-Calais e Communauté d’agglomération du Douaisis/Commissione, T‑267/08 e T‑279/08, EU:T:2011:209, punto 77, e del 19 settembre 2019, Zhejiang Jndia Pipeline Industry/Commissione, T‑228/17, EU:T:2019:619, punto 36).
68 Pertanto, le ricorrenti non possono utilmente chiedere l’annullamento di una decisione per il solo motivo che, nel caso di specie, sarebbero stati violati diritti procedurali a favore di terzi o di altre parti.
69 Peraltro, si deve rilevare che, sebbene le audizioni tenute nell’ambito dei procedimenti in materia di intese si svolgano, nella maggior parte dei casi, in forma collettiva nella prassi della Commissione, la normativa non riconosce alle imprese alle quali è stata inviata una comunicazione degli addebiti alcun diritto ad un’audizione collettiva.
70 Per contro, l’articolo 14, paragrafo 6, del regolamento n. 773/2004 precisa che ogni persona può essere sentita o separatamente o in presenza di altre persone invitate a partecipare, tenuto conto dell’interesse legittimo delle imprese alla riservatezza dei loro segreti aziendali e di altre informazioni riservate (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 697).
71 In secondo luogo, occorre esaminare se – al di là del rispetto dovuto ai diritti di cui dispongono altre persone o entità – la Commissione abbia violato talune norme relative all’organizzazione delle audizioni in un modo che abbia potuto ostacolare la difesa delle ricorrenti.
72 A tal riguardo, occorre rilevare che i diritti della difesa sono diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui il giudice dell’Unione garantisce il rispetto. Siffatto rispetto nell’ambito di un procedimento dinanzi alla Commissione avente ad oggetto l’irrogazione di un’ammenda a un’impresa per violazione delle norme in materia di concorrenza esige che l’impresa interessata sia stata posta in grado di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare la propria affermazione dell’esistenza di un’infrazione al Trattato. Tali diritti sono contemplati all’articolo 41, paragrafo 2, lettere a) e b), della Carta (v. sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:686, punti 52 e 53 e giurisprudenza ivi citata).
73 Nel caso di specie, le ricorrenti hanno insistito sul fatto che l’assenza di talune entità avesse comportato l’impossibilità per il comitato consultivo di esprimere il suo parere con piena cognizione di causa. A loro avviso, se suddette entità fossero state sentite, il contenuto del suo parere e, di conseguenza, quello della decisione impugnata, avrebbe quindi potuto essere diverso. Tale problematica è stata oggetto di articolati scambi tra le parti, sia per iscritto che durante l’udienza.
74 A tal riguardo, occorre operare una distinzione tra la situazione delle imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti e della decisione impugnata, la situazione dei terzi che dimostrino un interesse sufficiente e la situazione degli altri terzi.
– Sulla situazione delle imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti e della decisione impugnata
75 Ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, le imprese e le associazioni di imprese oggetto del procedimento avviato devono avere modo di essere sentite relativamente agli addebiti mossi nei loro confronti prima che sia adottata nei loro riguardi una decisione applicativa dell’articolo 101 o 102 TFUE. La Commissione può basare le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite.
76 L’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 precisa che la Commissione accorda alle parti cui è inviata la comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un'audizione orale, qualora lo richiedano nella loro proposta scritta.
77 Nel caso di specie, l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 erano quindi destinati ad applicarsi a tutte le imprese che avevano partecipato all’intesa e per le quali la decisione del 2002 o la decisione del 2009 non era divenuta definitiva, ivi inclusa la Riva.
78 Secondo le ricorrenti, l’assenza della Riva all’udienza del 23 aprile 2018 ha potuto contribuire ad inficiare il procedimento, incidendo sulle condizioni nelle quali esse potevano esercitare la loro difesa.
79 A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato ai punti 45 e 46 della decisione impugnata, e senza che ciò sia contestato dalle parti:
– la Riva è stata informata dalla Commissione, con lettera del 15 dicembre 2017, della riapertura del procedimento;
– in risposta a suddetta lettera, la Riva ha depositato osservazioni scritte senza tuttavia chiedere di partecipare a un’audizione;
– poiché la Riva non aveva formulato una richiesta in tal senso, la Commissione non l’ha invitata a prendere parte all’audizione del 23 aprile 2018.
80 Alla luce di tali elementi, non si può ritenere che, astenendosi dall’invitare la Riva a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018, la Commissione abbia violato l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004. Non avendo chiesto di partecipare all’audizione, la Riva non doveva esservi invitata dalla Commissione. Le ricorrenti non possono quindi validamente dedurre una violazione delle disposizioni summenzionate che abbiano potuto pregiudicare la loro difesa.
– Sulla situazione dei terzi che dimostrino un interesse sufficiente
81 L’audizione dei terzi interessati è disciplinata dall’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. Tale disposizione prevede che, qualora persone fisiche o giuridiche chiedano di essere sentite, dimostrando di avervi un interesse sufficiente, la loro domanda è accolta.
82 L’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004 precisa quanto segue:
– alle persone fisiche o giuridiche che chiedano di essere sentite e dimostrino di avervi un interesse sufficiente, la Commissione comunica per iscritto la natura e l’oggetto del procedimento;
– essa assegna a tali persone un termine per la presentazione di osservazioni scritte;
– essa può invitarle a sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione, sempre che esse lo richiedano nelle osservazioni scritte.
83 Nel caso di specie, l’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004 erano quindi destinati ad applicarsi, in particolare, a cinque entità la cui presenza era necessaria, secondo le ricorrenti, affinché l’audizione del 23 aprile 2018 fosse validamente organizzata, ossia, da un lato, la Federacciai, la Leali, la IRO e la Lucchini e, dall’altro, l’Ansfer.
84 In primo luogo, per quanto riguarda le prime quattro entità menzionate al punto 83 supra, occorre rilevare che queste ultime hanno rinunciato, in una fase anteriore del procedimento, a contestare la decisione che era stata loro indirizzata:
– la Federacciai non ha depositato alcun ricorso di annullamento avverso la decisione del 2002;
– la Leali, la IRO e la Lucchini non hanno impugnato le sentenze del 9 dicembre 2014, Leali e Acciaierie e Ferriere Leali Luigi/Commissione (T‑489/09, T‑490/09 e T‑56/10, non pubblicata, EU:T:2014:1039), del 9 dicembre 2014, IRO/Commissione (T‑69/10, non pubblicata, EU:T:2014:1030), e del 9 dicembre 2014 Lucchini/Commissione (T‑91/10, EU:T:2014:1033), che avevano respinto i loro ricorsi di annullamento avverso la decisione del 2009.
85 Pertanto, secondo la giurisprudenza, la decisione della Commissione adottata nei confronti di tali entità è divenuta definitiva per la parte che le riguarda e, di conseguenza, essendo il procedimento per loro concluso, esse non erano più parti del procedimento riaperto il 15 dicembre 2017 (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 1999, Commissione/AssiDomän Kraft Products e a., C‑310/97 P, EU:C:1999:407, punto 63).
86 In tali circostanze, le prime quattro entità di cui al punto 83 supra non disponevano di un diritto a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 nella qualità di parti del procedimento.
87 È certo vero che le prime quattro entità di cui al punto 83 supra avevano la possibilità di chiedere alla Commissione, dimostrando di avere un interesse sufficiente, di essere autorizzate a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 nella qualità di terzi interessati, conformemente alle disposizioni ricordate ai punti 81 e 82 supra.
88 Tuttavia, la Federacciai, la Leali e la IRO non hanno compiuto suddetto passaggio e, pertanto, non si può sostenere che la Commissione abbia potuto, in tale contesto, violare una qualsivoglia regola, con la conseguenza di aver potuto incidere sull’esercizio, da parte delle ricorrenti, dei loro diritti della difesa.
89 Di contro, va osservato che la Lucchini ha affermato, dal canto suo, di dover beneficiare dell’annullamento pronunciato dalla Corte nelle sue sentenze del 21 settembre 2017, Feralpi/Commissione (C‑85/15 P, EU:C:2017:709), del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), e del 21 settembre 2017, Riva Fire/Commissione (C‑89/15 P, EU:C:2017:713), benché non avesse proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Lucchini/Commissione (T‑91/10, EU:T:2014:1033). Sulla base di suddetto argomento, essa ha chiesto alla Commissione di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. Tale domanda, tuttavia, è stata presentata dalla Lucchini in qualità di parte del procedimento riaperto il 15 dicembre 2017, allo stesso titolo, in particolare, delle ricorrenti, e non già in qualità di terzo interessato. Siffatta domanda è stata giustamente respinta dalla Commissione per le ragioni esposte ai punti 84 e 85 supra (sentenza dell’8 maggio 2019, Lucchini/Commissione, T‑185/18, non pubblicata, EU:T:2019:298, punti 41 e 42). Essendosi vista negare la summenzionata possibilità nella qualità di parte nel procedimento, la Lucchini non ha fatto valere, in seguito, che essa poteva essere invitata all’audizione in qualità di terzo in possesso di un interesse sufficiente.
90 In tali circostanze, non si può ritenere che la Commissione, astenendosi dall’invitare, da un lato, la Federacciai e, dall’altro, la Leali, la IRO e la Lucchini a partecipare all’audizione, abbia violato una norma procedurale idonea ad incidere sull’esercizio, da parte delle ricorrenti, dei loro diritti della difesa.
91 In secondo luogo, per quanto riguarda la quinta entità menzionata al punto 83 supra, ossia l’Ansfer, le ricorrenti ritengono che essa avrebbe dovuto essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018, alla luce delle informazioni da essa detenute e che erano tali da influenzare le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, relativamente alla conoscenza che esse avevano del fascicolo.
92 A sostegno della loro posizione, le ricorrenti deducono tre argomenti.
93 In primo luogo, esse sostengono che, con ogni probabilità, se l’Ansfer fosse stata informata dalla Commissione della riapertura del procedimento, essa avrebbe partecipato all’audizione del 23 aprile 2018, come aveva fatto per l’audizione del 13 giugno 2002.
94 A questo proposito, occorre rammentare in che modo è stato avviato nel 2002 il procedimento a carico delle ricorrenti e delle altre imprese allora interessate.
95 Come indicato dalla Commissione nella sua risposta ai quesiti del Tribunale e all’udienza senza essere contraddetta dalle ricorrenti, l’avvio di cui trattasi è avvenuto il 26 marzo 2002, seguito dalla notifica alle parti interessate della comunicazione degli addebiti, conformemente all’articolo 36 CA.
96 Pertanto, l’avvio di cui trattasi non è stato accompagnato da alcuna misura di pubblicità, giacché la normativa non prescriveva che la Commissione rendesse pubblica la decisione di avviare un procedimento amministrativo, l’adozione di una comunicazione degli addebiti o quella, come nel caso di specie, di una comunicazione degli addebiti supplementari.
97 Il modo di procedere non è stato diverso dopo che il Tribunale ebbe pronunciato la sentenza del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317), e che la Corte ebbe pronunciato la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717).
98 Dopo aver esaminato le sentenze indicate al punto 97 supra, la Commissione ha informato le ricorrenti, per la prima volta con lettera del 30 giugno 2008 e per seconda con lettera del 15 dicembre 2017, della sua intenzione di «riprendere» il procedimento.
99 In particolare, la seconda lettera è stata notificata alle imprese destinatarie della decisione impugnata, ma non è stata comunicata ad alcun’altra persona o entità, così come non è stata oggetto di alcuna misura di pubblicità.
100 Secondo le ricorrenti, la Commissione era tenuta ad informare il pubblico della riapertura del procedimento dopo l’annullamento della decisione del 2009 e, se tale obbligo fosse stato rispettato nel caso di specie, l’Ansfer sarebbe stata informata e avrebbe potuto chiedere di partecipare alla nuova audizione.
101 A tal riguardo, occorre notare che nessuna norma impone alla Commissione di rendere pubblica la riapertura di un procedimento a seguito dell’annullamento di una delle sue decisioni con sentenza della Corte o del Tribunale.
102 In effetti, una simile riapertura del procedimento avviene nell’ambito dell’esecuzione di una sentenza di annullamento.
103 Orbene, l’articolo 266 TFUE vincola l’istituzione dalla quale promana l’atto annullato soltanto nei limiti di quanto necessario per garantire l’esecuzione della sentenza di annullamento. In tal senso, detta disposizione impone all’istituzione interessata di evitare che qualsiasi atto destinato a sostituire l’atto annullato sia inficiato dalle stesse irregolarità individuate nella sentenza stessa. Le istituzioni dispongono comunque di un ampio potere discrezionale per decidere i provvedimenti da attuare al fine di trarre le conseguenze da una sentenza di annullamento o d’invalidità, fermo restando che tali provvedimenti devono essere compatibili con il dispositivo della sentenza di cui trattasi e con la motivazione, che ne costituisce il sostegno necessario. Fatta salva l’ipotesi in cui l’illegittimità accertata abbia determinato la nullità di tutto il procedimento, le istituzioni interessate possono, al fine di adottare un atto volto a sostituire un precedente atto annullato o dichiarato invalido, riaprire il procedimento alla fase in cui tale illegittimità si è verificata (v. sentenza dell’11 dicembre 2017, Léon Van Parys/Commissione, T‑125/16, EU:T:2017:884, punti 49 e 52 e giurisprudenza ivi citata).
104 Al termine della valutazione effettuata dalla Commissione in siffatto contesto, essa può quindi decidere di riprendere il procedimento, come ha fatto nella presente causa, così come può abbandonare il procedimento ove ritenga che il fascicolo possa essere chiuso oppure, se reputa necessarie misure di indagine, può avviare un nuovo procedimento, idoneo, in tal caso, a condurre alla notifica di una nuova comunicazione degli addebiti alle imprese destinatarie ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003.
105 Nel caso di specie, la Commissione, avendo effettuato detta valutazione, ha deciso di riprendere il procedimento a partire dal punto in cui esso era stato interrotto, come consentito dalla giurisprudenza menzionata ai punti 47 e 48 supra.
106 Nel corso dell’udienza, le parti hanno discusso della comunicazione della Commissione del 20 ottobre 2011 sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6) (v., in particolare, il suo punto 20), nella quale la Commissione si è impegnata, da un lato, a pubblicare l’avvio di ciascun procedimento di applicazione delle disposizioni in parola sul sito web della sua Direzione generale della Concorrenza e, dall’altro, a diramare un comunicato stampa al riguardo, tranne quando tali misure di pubblicità siano idonee a pregiudicare lo svolgimento dell’indagine.
107 Tuttavia, la comunicazione di cui trattasi non imponeva nel caso di specie alla Commissione di attuare gli impegni indicati al punto 106 supra. Infatti, in assenza di disposizioni esplicite in tal senso, non occorre estendere la portata di detti impegni quando la Commissione riprende un procedimento a partire dalla fase di un’audizione precedentemente tenuta in modo irregolare, che è la fase in cui siffatto procedimento è stato interrotto, come deciso dalla Commissione nella fattispecie nel contesto dell’esecuzione della sentenza di annullamento della Corte, situazione che si distingue da quella dell’avvio del procedimento previsto nella comunicazione in parola.
108 L’argomento deve pertanto essere respinto.
109 In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che, per la determinazione dei terzi da invitare all’audizione, l’Ansfer non poteva essere considerata come un semplice membro del pubblico, ma aveva lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004.
110 A sostegno della loro posizione, le ricorrenti ricordano che lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» era stato riconosciuto nel 2002 all’Ansfer dal consigliere auditore, circostanza che aveva consentito la partecipazione di tale associazione all’audizione del 13 giugno 2002.
111 Poiché, dunque, disponeva dello status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente», l’Ansfer non può averlo perso nel frattempo e avrebbe dovuto essere invitata a partecipare, a detto titolo, all’audizione del 23 aprile 2018.
112 A detto proposito, occorre rilevare che l’argomento delle ricorrenti relativo al mantenimento dello status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» è conforme alla posizione difesa dalla Commissione sulla continuità esistente tra le fasi del procedimento amministrativo, anche se quest’ultimo è stato interrotto da procedimenti giurisdizionali che hanno dato luogo a sentenze di annullamento.
113 In siffatta prospettiva, sarebbe legittimo ritenere che un soggetto cui sia stato riconosciuto lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» in una fase precedente del procedimento abbia potuto conservarlo durante tutto il procedimento, anche se quest’ultimo ha potuto essere interrotto da un procedimento giurisdizionale che ha dato luogo a un annullamento pronunciato dal giudice dell’Unione.
114 Occorre quindi stabilire se, nel caso di specie, essendosi vista riconoscere lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» in un determinato momento del procedimento, l’Ansfer abbia potuto conservare tale status per tutta la durata di quest’ultimo e avrebbe dovuto essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018 o, quanto meno, essere informata della riapertura del procedimento per consentirle di manifestare il proprio interesse e, pertanto, di essere invitata, se del caso, a partecipare a detta audizione.
115 A tal riguardo, si deve constatare che, come risulta dal fascicolo, senza che ciò sia contestato dalle ricorrenti, l’interesse manifestato dall’Ansfer a partecipare al procedimento non è stato conservato per tutta la durata di quest’ultimo.
116 Infatti, ricapitolando le fasi che si sono succedute, la Commissione ha precisato, all’udienza, senza essere contraddetta dalle ricorrenti, in risposta ai quesiti posti dal Tribunale, che:
– nel 2002 l’Ansfer aveva appreso l’avvio del procedimento attraverso informazioni apparse sulla stampa italiana;
– sulla base di suddette informazioni, l’Ansfer aveva chiesto alla Commissione di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 13 giugno 2002 facendo valere che poteva dimostrare, a tal fine, l’esistenza, per quanto la riguardava, di un interesse sufficiente;
– invitata a partecipare, l’Ansfer si era presentata a detta audizione, dove, senza che il suo rappresentante vi prendesse la parola, aveva presentato osservazioni scritte;
– su tale base, quest’ultima era stata invitata a partecipare alla seconda audizione del 30 settembre 2002, relativa alle conseguenze della scadenza del Trattato CECA sul procedimento;
– tuttavia, essa non aveva risposto all’invito in parola e non si era neppure presentata nel corso di tale audizione;
– non avendo l’Ansfer risposto all’invito alla nuova audizione che le era stato trasmesso e non essendosi presentata alla stessa, la Commissione aveva ritenuto che quest’ultima non intendesse più partecipare al seguito del procedimento e non dovesse quindi essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018;
– in siffatto contesto, la Commissione aveva tenuto conto del fatto che, da un lato, la partecipazione dell’Ansfer durante l’audizione del 13 giugno 2002 si era limitata alla presentazione di osservazioni scritte, senza presa di parola, e che, dall’altro, che le suddette osservazioni erano state versate agli atti.
117 Orbene, in forza della normativa, i terzi possono partecipare ad un’audizione organizzata in un procedimento relativo all’applicazione delle regole di concorrenza, ma, a tal fine, essi devono comunicare simile desiderio alla Commissione e dimostrare a quest’ultima di presentare un interesse sufficiente a consentire loro di parteciparvi (v. punti 81 e 82 supra).
118 Inoltre, occorre considerare che, qualora a un terzo sia stato riconosciuto lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» nel corso di un procedimento amministrativo che è stato interrotto da un sindacato giurisdizionale al termine del quale il giudice dell’Unione ha pronunciato un annullamento, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità per decidere se tale terzo conservi un interesse sufficiente a far conoscere il proprio punto di vista. Infatti, la garanzia dei diritti della difesa non impone che la Commissione, quando riapre il suddetto procedimento, proceda all’audizione di terzi che non dispongono più di un siffatto interesse sufficiente (v., per analogia, sentenze del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 406, e dell’11 luglio 2019, Silver Plastics e Johannes Reifenhäuser/Commissione, T‑582/15, non pubblicata, EU:T:2019:497, punto 202 e giurisprudenza ivi citata).
119 Nell’interesse di una buona amministrazione, occorre infatti evitare una moltiplicazione di intervenienti garantendo al contempo la partecipazione di coloro che possono fornire un effettivo contributo, a carico o a discarico, all’analisi del fascicolo e al rispetto dei diritti della difesa, in modo da garantire che il parere sia emesso dal comitato consultivo e che la decisione sia adottata dalla Commissione con piena cognizione di causa e nel rispetto delle garanzie procedurali.
120 È al termine di tale valutazione che, nella fattispecie, l’Ansfer è stata invitata come «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» a partecipare all’audizione del 13 giugno 2002 e a quella del 30 settembre 2002.
121 Successivamente, considerata l’assenza di risposta dell’Ansfer all’invito a partecipare alla seconda audizione del 30 settembre 2002 e della sua mancata partecipazione a tale audizione, la Commissione, senza commettere errori, ha potuto considerare che quest’ultima aveva rinunciato ad intervenire nel prosieguo del procedimento o, quanto meno, non intendeva sviluppare ulteriormente i suoi argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018 e che il suo contributo, già inserito nel fascicolo e ripreso successivamente nel progetto della decisione impugnata, non motivava la circostanza di informarla della riapertura del procedimento per consentirle di manifestare nuovamente il suo interesse ed essere così invitata, eventualmente, a partecipare a detta audizione.
122 L’argomento deve quindi essere respinto.
123 In terzo luogo, le ricorrenti sostengono di avere, nella loro lettera del 1º febbraio 2018, attirato l’attenzione della Commissione sul fatto che il procedimento non poteva essere validamente riaperto, dal momento che non tutti i soggetti presenti nel 2002 avrebbero potuto essere presenti alla nuova audizione, con la conseguenza di fornire solo una visione parziale del caso alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, i cui rappresentanti sono incaricati di esprimere un’opinione per consentire al comitato consultivo di emettere il proprio parere conformemente alla normativa.
124 A tal riguardo, occorre rilevare che, così formulata, una siffatta osservazione non può essere considerata come una domanda rivolta alla Commissione e diretta a ottenere che quest’ultima invitasse all’audizione l’Ansfer o altri terzi in applicazione dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004, che consente alle parti di proporre nelle loro osservazioni scritte «che la Commissione senta le persone in grado di confermare i fatti esposti nelle osservazioni».
125 Come sottolineato dalla Commissione, spettava alle ricorrenti, se ritenevano che l’intervento dell’Ansfer fosse necessario, o anche solo utile, per la difesa dei loro argomenti, informare tale associazione della riapertura del procedimento affinché essa si manifestasse presso la Commissione oppure chiedere a quest’ultima, in modo specifico, di invitare suddetta entità.
126 Orbene, le ricorrenti, nelle loro risposte scritte ai quesiti del Tribunale, hanno ammesso di non aver intrapreso alcuna iniziativa in tal senso presso la Commissione o presso l’Ansfer.
127 Occorre aggiungere che, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri possono chiedere alla Commissione di sentire terzi, qualora lo ritengano opportuno.
128 Nulla impediva alle ricorrenti di suggerire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018, o prima di quest’ultima, di chiedere alla Commissione di ascoltare l’Ansfer.
129 Orbene, le ricorrenti non hanno proceduto in tal senso presso le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, né tantomeno, dal canto loro, le suddette autorità hanno chiesto alla Commissione di sentire l’Ansfer.
130 Di conseguenza, poiché Ansfer non disponeva più di un interesse sufficiente a far conoscere il proprio punto di vista al momento della ripresa del procedimento (v. punti da 112 a 122 supra), e poiché nessuna richiesta di essere sentita è stata presentata alla Commissione, a quest’ultima non può essere validamente addebitato di non averla invitata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018.
131 L’argomento dev’essere quindi respinto.
– Sulla situazione degli altri terzi
132 Nella misura in cui gli argomenti addotti dalle ricorrenti possono essere interpretati come a ciò riferiti, occorre notare che il regolamento prevede, per l’organizzazione delle audizioni, una terza situazione, riguardante i terzi che non dispongono di un interesse sufficiente ai sensi dei punti 81 e 82 supra.
133 L’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004 prevede la possibilità di invitare qualsiasi persona fisica o giuridica diversa dalle imprese oggetto del procedimento o dai terzi che dimostrino un tale interesse, a presentare osservazioni scritte e ad assistere, se del caso, all’audizione. Oltre a poter essere autorizzate ad assistervi, siffatte persone possono essere invitate ad esprimersi nel corso dell’audizione.
134 Questa era proprio la situazione in cui si trovava l’Ansfer, dato che, come è stato accertato, la Commissione ha potuto considerare che tale associazione non disponeva più di un interesse sufficiente a far conoscere il proprio punto di vista al momento della ripresa del procedimento (v. punti da 112 a 122 supra).
135 Orbene, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità per stabilire se la partecipazione di terzi non interessati possa essere utile nel dibattito, fermo restando che la garanzia dei diritti della difesa delle ricorrenti non impone, in ogni caso, che la Commissione proceda alle audizioni richieste (v., in tal senso, la giurisprudenza citata al punto 118 supra).
136 Pertanto, nel caso di specie la Commissione, senza commettere errori, ha potuto considerare che, per le ragioni esposte ai punti da 112 a 122 supra, invitare l’Ansfer all’udienza del 23 aprile 2018 non avrebbe apportato alcun elemento nuovo al dibattito.
137 Ciò considerato, non si può validamente contestare alla Commissione di aver violato, omettendo di invitare altri terzi all’audizione del 23 aprile 2018, una norma procedurale che avrebbe potuto incidere sull’esercizio dei loro diritti della difesa da parte delle ricorrenti.
138 L’argomento deve quindi essere respinto.
139 Alla luce degli elementi che precedono, si può concludere che la Commissione non ha violato norme procedurali relative all’audizione di altre persone o entità e, di conseguenza, che l’esercizio dei diritti della difesa fatti valere dalle ricorrenti non ha potuto essere in alcun modo ostacolato dalla violazione di tali norme.
140 Ad ogni buon conto, si deve rilevare che le ricorrenti non hanno dimostrato di essere state ostacolate nell’esercizio dei loro diritti della difesa a prescindere dalla violazione di una norma, a causa dell’assenza di un’impresa o di un terzo durante l’audizione organizzata ai fini dell’adozione della decisione impugnata.
141 La censura in esame va pertanto respinta.
Sulla terza censura, relativa all’impossibilità, per la Commissione, di porre rimedio al vizio procedurale censurato dalla Corte
142 Le ricorrenti sostengono, in sostanza, che fosse impossibile rimediare al vizio procedurale censurato dalla Corte. A causa del periodo trascorso, i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato erano tali, a loro avviso, che nessuna audizione poteva ancora essere organizzata a condizioni identiche o, quantomeno, equivalenti a quelle esistenti nel 2002.
143 A tal riguardo, occorre rilevare che, a causa dell’ampiezza di compiti che essi comportano, il contesto nel quale sono organizzati i procedimenti di concorrenza è inevitabilmente alterato dal decorso del tempo.
144 In un contesto siffatto, in cui la concorrenza comporta costantemente modifiche dei soggetti, dei prodotti e delle quote di mercato, la possibilità che simili cambiamenti rendano impossibile, di per sé soli, l’adozione di una nuova decisione pregiudicherebbe, per sua natura stessa, la possibilità per la Commissione di riprendere un procedimento al fine di applicare le regole di concorrenza in esecuzione della missione affidatale dai Trattati.
145 Quando la Commissione decide di riaprire un procedimento a seguito di un annullamento di una delle sue decisioni da parte di una sentenza della Corte o del Tribunale, essa deve tuttavia procedere ad una valutazione destinata a determinare, alla luce delle circostanze esistenti al momento della riapertura, e in particolare degli effetti che possono aver potuto risultare dal decorso del tempo, se la prosecuzione del procedimento appaia ancora una soluzione adeguata alla situazione, cosa che essa ha fatto nel caso di specie, come spiegato in risposta alla prima censura del secondo motivo dedotto dalle ricorrenti a sostegno del ricorso (v. punti da 149 a 173 infra).
146 La censura dev’essere quindi respinta e, pertanto, il primo motivo nel suo complesso.
Sul secondo motivo, vertente sul rifiuto illegittimo della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale decisione con il principio del termine ragionevole del procedimento
147 Le ricorrenti sostengono che la Commissione non abbia verificato in modo giuridicamente sufficiente se la decisione impugnata potesse essere adottata, laddove, a loro avviso, vi ostava il principio del termine ragionevole, sancito all’articolo 41 della Carta. Da un lato, esse addebitano alla Commissione un errore di diritto al riguardo. Dall’altro, esse lamentano che la Commissione non avrebbe rispettato l’obbligo di motivazione ad essa incombente.
148 La Commissione contesta l’argomentazione delle ricorrenti.
Sulla prima censura, vertente su un errore di diritto
149 Le ricorrenti ritengono che la Commissione, rifiutandosi di valutare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità dell’adozione di tale decisione con il principio del termine ragionevole, abbia violato l’articolo 41 della Carta.
150 A tal riguardo, occorre rilevare che, come sottolineato dalle ricorrenti, la Commissione è tenuta a rispettare il principio del termine ragionevole ripreso all’articolo 41 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 179, e del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 285).
151 Pertanto, il decorso del termine deve essere preso in considerazione quando, avvalendosi del potere discrezionale conferitole dal diritto dell’Unione, la Commissione valuta se, nell’applicazione delle regole di concorrenza, occorra avviare azioni e adottare una decisione.
152 Dalla decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non ha violato l’obbligo di tener conto della scadenza del termine quando valuta se debbano essere avviate siffatte azioni e adottata una decisione sanzionatoria. La decisione impugnata mostra, infatti, che tale istituzione ha esaminato, prima di pronunciarsi, se, nel caso di specie, il procedimento potesse essere riaperto e se esso potesse sfociare nell’adozione di una siffatta decisione, imponendo un’ammenda.
153 Pertanto, la Commissione ha analizzato, in diversi passaggi della decisione impugnata, da un lato, se il procedimento che aveva portato all’adozione di quest’ultima fosse stato condotto in modo soddisfacente per quanto riguarda i termini e, dall’altro, se si dovessero trarre conseguenze dalla durata delle fasi che avevano portato a tale adozione.
154 Ad esempio, la Commissione ha rilevato che, secondo l’analisi che essa aveva potuto effettuare, da un lato, le attività di indagine erano state svolte con diligenza e, dall’altro, le interruzioni intervenute nel corso del procedimento amministrativo erano dovute al sindacato giurisdizionale (punti 528 e 555 della decisione impugnata).
155 In tale contesto, la Commissione ha riconosciuto che, come affermato dal Tribunale e dalla Corte nelle sentenze del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317), e del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), essa aveva commesso taluni errori procedurali. Tuttavia, essa ha fatto valere che detti errori, che avevano potuto prolungare la durata del procedimento, erano dovuti all’incertezza giuridica in cui si era trovata a seguito della scadenza del trattato CECA (punto 555 della decisione impugnata).
156 Allo stesso modo, la Commissione ha ammesso che, a seguito degli errori procedurali che erano stati commessi, le diverse fasi succedutesi avevano potuto condurre, per il procedimento considerato nel suo complesso – fasi amministrative e interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse – a una durata «oggettivamente» lunga (punto 528 della decisione impugnata).
157 La Commissione ha aggiunto, nell’ambito di tale valutazione, che, a suo avviso, la lunghezza di cui trattasi non superava i termini considerati accettabili alla luce della giurisprudenza (punto 528 della decisione impugnata).
158 A titolo complementare, la Commissione ha indicato che, in forza della giurisprudenza, una durata contraria al principio del termine ragionevole non poteva comportare, di per sé sola, l’annullamento di una decisione. Infatti, secondo la Corte, un risultato del genere potrebbe essere raggiunto solo se la durata irragionevole avesse pregiudicato i diritti della difesa compromettendo la facoltà, per le imprese interessate, di raccogliere le prove e di presentare i loro argomenti. Orbene, secondo la Commissione, le ricorrenti non avevano dimostrato che ciò fosse avvenuto nel caso di specie (punti 556 e 557 della decisione impugnata).
159 Peraltro, la Commissione ha indicato, al punto 536 della decisione impugnata, che, alla luce della normativa applicabile, e conformemente alla giurisprudenza elaborata in materia, essa aveva il potere di adottare una nuova decisione.
160 La Commissione ha ammesso che l’adozione di una nuova decisione doveva essere preceduta da un esame volto, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutole in materia di repressione delle infrazioni al diritto della concorrenza, a effettuare un bilanciamento tra, da un lato, l’interesse pubblico a garantire l’effettiva applicazione delle regole di concorrenza e, dall’altro, quello delle parti ad ottenere una decisione entro un termine ragionevole e la mitigazione delle possibili conseguenze degli errori eventualmente commessi durante il procedimento (punti 536 e 559 della decisione impugnata).
161 Nel caso di specie, la Commissione ha effettuato un simile bilanciamento, concludendo, alla luce della gravità dell’infrazione constatata, da un lato, che era necessario adottare una decisione e, dall’altro, che doveva essere inflitta una sanzione alle imprese destinatarie (punti da 560 a 568 della decisione impugnata).
162 Infine, la Commissione ha ridotto l’importo dell’ammenda conformemente al suggerimento formulato dal consigliere-auditore, in modo da mitigare, in una certa misura (50%), le conseguenze negative che avrebbero potuto risultare, per le imprese interessate, dalla lunghezza del procedimento e dagli errori procedurali commessi (punti da 570 a 573 della decisione impugnata).
163 Pertanto, dalla decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione ha verificato, prima di adottare tale decisione, se il principio del termine ragionevole fosse stato rispettato, analizzando la lunghezza del procedimento amministrativo, fasi amministrative e interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, le cause che potevano spiegare la durata del procedimento e le conseguenze che potevano esserne tratte.
164 Tale conclusione è contestata dalle ricorrenti, secondo le quali la Commissione, nella decisione impugnata, ha rifiutato di pronunciarsi sulla lunghezza irragionevole del procedimento con la motivazione che tale valutazione doveva essere riservata al giudice dell’Unione senza che essa potesse pronunciarsi al riguardo.
165 A tal riguardo, occorre rilevare che al giudice dell’Unione possono essere sottoposte questioni relative alla durata di procedimenti. Nel contenzioso in materia di responsabilità, esso deve condannare le istituzioni, gli organi o gli organismi dell’Unione laddove questi ultimi abbiano causato un danno violando il principio del termine ragionevole (sentenze del 26 novembre 2013, Kendrion/Commissione, C‑50/12 P, EU:C:2013:771, punto 94, e dell’11 luglio 2019, Italmobiliare e a./Commissione, T‑523/15, non pubblicata, EU:T:2019:499, punto 159). Nel contenzioso di annullamento, la durata di un procedimento può avere come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata se due condizioni sono soddisfatte in modo cumulativo, la prima delle quali è che siffatta durata appaia essere stata irragionevole e la seconda che il superamento del termine ragionevole abbia ostacolato i diritti della difesa (sentenze del 21 settembre 2006, Technische Unie/Commissione, C‑113/04 P, EU:C:2006:593, punti 47 e 48; dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punti 84 e 85, e del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione, C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punti da 74 a 76).
166 Come segnalato dalle ricorrenti, la competenza così attribuita al giudice dell’Unione non può dispensare la Commissione dalla valutazione che essa deve effettuare al momento di determinare il seguito da dare a una sentenza di annullamento in applicazione dell’articolo 266 TFUE.
167 Come è stato indicato, la Commissione deve prendere in considerazione, quando effettua una siffatta valutazione, il complesso degli elementi della causa, in particolare l’opportunità di adottare una nuova decisione, quella di infliggere una sanzione e quella, se del caso, di ridurre la sanzione prevista qualora risulti, segnatamente, che, senza costituire di per sé un inadempimento colpevole, la durata del procedimento, in quanto ha comportato fasi amministrative ma anche, eventualmente, interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale, può aver influito sugli elementi di cui tenere conto per fissare l’importo dell’ammenda, e in particolare sul suo eventuale effetto deterrente quando essa viene irrogata molto tempo dopo i fatti che costituiscono l’infrazione.
168 Tale valutazione, vertente in particolare sulla durata complessiva del procedimento, fasi giurisdizionali incluse, è stata principalmente effettuata al punto 528 della decisione impugnata.
169 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione ha verificato, nella decisione impugnata, se la durata del procedimento potesse ostare alla riapertura del procedimento pur riconoscendo che una siffatta valutazione era posta sotto il controllo del giudice dell’Unione nel contenzioso in materia di legittimità e, se del caso, di responsabilità.
170 Nel ricorso, le ricorrenti invocano l’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), relativamente all’obbligo, che incomberebbe alla Commissione, di verificare, prima di adottare una nuova decisione, se tale adozione sarebbe conforme al principio del termine ragionevole.
171 A tal riguardo, occorre rilevare che, al pari dell’articolo 47 della Carta, pure invocato dalle ricorrenti, l’articolo 6 della CEDU comporta l’obbligo di rispettare il principio del termine ragionevole nei procedimenti giurisdizionali.
172 Nel caso di specie, l’articolo 6 della CEDU e l’articolo 47 della Carta non possono in ogni caso incidere sulla soluzione da dare alla controversia per quanto riguarda il motivo qui esaminato, dato che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione ha proceduto, di fatto, come risulta dalla decisione impugnata, alla verifica cui fa riferimento l’argomentazione da esse sviluppata.
173 La censura in esame deve pertanto essere respinta.
Sulla seconda censura, vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione
174 Le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver violato l’obbligo di motivazione in quanto non ha spiegato in modo giuridicamente sufficiente i motivi per i quali riteneva di non essere tenuta a valutare il rispetto del principio del termine ragionevole.
175 A tal riguardo, si deve dichiarare che la censura è infondata in fatto.
176 Invero, come dichiarato in risposta alla prima censura del presente motivo, la Commissione non ha rifiutato di verificare, nella decisione impugnata, la compatibilità dell’adozione di quest’ultima con il principio del termine ragionevole.
177 Al contrario, dalla risposta alla prima censura emerge che essa ha proceduto a tale verifica in modo giuridicamente sufficiente concludendo che nessuna considerazione poteva ostare alla riapertura del procedimento, all’adozione di una nuova decisione e all’irrogazione di un’ammenda.
178 La seconda censura deve pertanto essere respinta e, di conseguenza, il secondo motivo nel suo complesso.
Sul terzo e, in parte, sul quarto motivo, entrambi vertenti sulla violazione del principio del termine ragionevole del procedimento
179 A sostegno del terzo motivo, le ricorrenti deducono che la decisione impugnata deve essere annullata, giacché è stata adottata al termine di un procedimento che avrebbe oltrepassato il termine ragionevole. A loro avviso, la durata eccessiva del procedimento comporta l’effetto che la Commissione non disponesse più del potere sanzionatorio e che la decisione impugnata sia, pertanto, illegittima anche per eccesso di potere. L’argomentazione sviluppata a sostegno del terzo motivo compare altresì, in parte, nel quarto motivo. In sostanza, le ricorrenti deducono tre censure, riguardanti rispettivamente la durata delle fasi amministrative, la durata complessiva del procedimento e l’effetto, sui diritti della difesa, della lunghezza del procedimento, tutte respinte dalla Commissione.
180 Prima di esaminare tali censure, si deve ricordare che, secondo la Corte, la durata del procedimento può comportare l’annullamento di una decisione impugnata se ricorrono cumulativamente due condizioni, la prima, che la durata del procedimento appaia irragionevole e, la seconda, che il superamento del termine ragionevole abbia impedito l’esercizio dei diritti della difesa (v. punto 165 supra).
181 Ne consegue che una decisione della Commissione non potrebbe essere annullata per il solo motivo del superamento del termine ragionevole qualora tale superamento non abbia pregiudicato i diritti della difesa delle ricorrenti. Pertanto, l’argomento delle ricorrenti secondo cui il mero superamento del termine ragionevole avrebbe dovuto indurre la Commissione a rinunciare ad adottare la decisione impugnata deve essere respinto de plano.
182 Per l’analisi del motivo, il Tribunale esaminerà la prima condizione, considerando in successione la durata delle fasi amministrative (prima censura) e la durata complessiva del procedimento amministrativo, incluse le interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale (seconda censura). Successivamente, esso analizzerà, a titolo della seconda condizione, se l’esercizio dei diritti della difesa delle ricorrenti sia stato ostacolato (terza censura).
Sulla prima censura, relativa alla durata delle fasi amministrative
183 Le ricorrenti sostengono che, essendo scaglionata su oltre sei anni, la durata delle fasi amministrative si è rivelata contraria al principio del termine ragionevole. Esse criticano, in particolare, la lentezza con cui la Commissione ha reagito agli annullamenti pronunciati in successione dal Tribunale e dalla Corte:
– tra la pronuncia della sentenza del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317), e l’adozione della decisione del 2009, vale a dire nel corso di oltre due anni, la Commissione si sarebbe limitata ad inviare la lettera del 30 giugno 2008 menzionata al punto 10 supra, annunciando la riapertura del procedimento, nonché talune richieste di informazioni e non vi sarebbe stata, durante tale periodo, né una nuova comunicazione degli addebiti né una nuova audizione, sebbene fosse facile per la Commissione correggere il vizio che aveva invalidato la decisione annullata, dato che detto vizio era stato chiaramente identificato dal Tribunale;
– analogamente, tra la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), e l’adozione della decisione impugnata, ossia per un anno e nove mesi, l’attività svolta dalla Commissione si sarebbe limitata all’invio della lettera del 15 dicembre 2017 che annunciava la riapertura del procedimento, a quello delle lettere che annunciavano e spiegavano l’audizione del 23 aprile 2018 nonché a talune limitate richieste di informazioni in merito al fatturato delle ricorrenti.
184 Secondo le ricorrenti, la lunghezza di tali fasi è ingiustificabile alla luce della giurisprudenza:
– nella causa decisa con la sentenza del 16 giugno 2011, Bavaria/Commissione (T‑235/07, EU:T:2011:283, punto 323), una durata di 20 mesi a titolo della seconda fase amministrativa, che andava dalla ricezione della comunicazione degli addebiti all’adozione della decisione controversa in tale causa, sarebbe stata giudicata irragionevole;
– nella causa decisa con la sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582), il procedimento di riadozione sarebbe durato soltanto dieci mesi;
– peraltro, il procedimento di riadozione sarebbe durato meno di otto mesi nella causa Solvay/Commissione (conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 242), nove mesi nella causa decisa con la sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione (C‑414/12 P, EU:C:2014:301), tre mesi nella causa decisa con la sentenza del 12 febbraio 2019, Printeos/Commissione (T‑201/17, EU:T:2019:81), e quattro mesi nella causa decisa con la sentenza del 18 ottobre 2018, GEA/Commissione (T‑640/16, EU:T:2018:700).
185 A tal riguardo, occorre ricordare che il diritto dell’Unione impone alle istituzioni di trattare entro un termine ragionevole i casi nell’ambito dei procedimenti amministrativi da esse condotti (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 284).
186 Infatti, l’obbligo di osservare un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto ripreso, in particolare, dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta (sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 167; dell’11 aprile 2006, Angeletti/Commissione, T‑394/03, EU:T:2006:111, punto 162, e del 7 giugno 2013, Italia/Commissione, T‑267/07, EU:T:2013:305, punto 61).
187 Nel caso di specie, dal fascicolo risulta che quattro fasi, durate complessivamente sei anni e un mese, si sono succedute dinanzi alla Commissione nel corso della trattazione del caso:
– una prima fase, durata un anno e cinque mesi, ha separato le prime misure di indagine dall’invio della comunicazione degli addebiti alla Federacciai e alle imprese interessate;
– le tre fasi successive sono quelle che hanno condotto, rispettivamente, all’adozione della decisione del 2002, di quella del 2009 e della decisione impugnata, ciascuna delle quali è durata, rispettivamente, nove mesi, due anni e un mese e un anno e nove mesi.
188 Secondo la giurisprudenza, il carattere ragionevole del termine deve essere valutato prendendo in considerazione le circostanze proprie di ciascun caso di specie e, segnatamente, la rilevanza della controversia per l’interessato, la complessità del caso nonché il comportamento della parte ricorrente e quello delle autorità competenti (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 187 e 188).
189 Pertanto, anche supponendo che, in altri casi, la fase amministrativa che ha seguito l’annullamento di una decisione della Commissione da parte del giudice dell’Unione, nell’ambito di un procedimento riaperto per adottare una nuova decisione, sia stata più breve che nelle circostanze del caso di specie, come sostengono le ricorrenti, ciò non consentirebbe, di per sé, di concludere nel senso della violazione del principio del termine ragionevole.
190 Infatti, occorre esaminare la ragionevolezza del termine considerando le circostanze proprie di ciascun caso di specie alla luce, in particolare, dei criteri menzionati al punto 188 supra.
191 In primo luogo, per quanto riguarda la rilevanza della controversia per l’interessato, occorre ricordare che, in caso di controversia riguardante un’infrazione al diritto della concorrenza, il precetto fondamentale della certezza del diritto, sulla quale gli operatori economici devono poter contare, nonché l’obiettivo di garantire che la concorrenza non sia falsata sul mercato interno presentano un rilevante interesse non solo per le parti ricorrenti e per i loro concorrenti, bensì anche per i terzi, in ragione del vasto numero di persone coinvolte e degli interessi economici in gioco (v. sentenza del 1° febbraio 2017, Aalberts Industries/Unione europea, T‑725/14, EU:T:2017:47, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
192 Nel caso di specie, la Commissione ha constatato nella decisione impugnata che le ricorrenti avevano violato l’articolo 65, paragrafo 1, CA, partecipando, dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000, a un accordo continuato o a pratiche concertate riguardanti il tondo per cemento armato aventi per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite nel mercato interno.
193 Sulla base di tale constatazione, la Commissione ha inflitto alle ricorrenti, condannate in solido, un’ammenda di EUR 5,125 milioni.
194 Tenendo conto di tali elementi, è lecito ritenere che la rilevanza del caso fosse notevole per le ricorrenti.
195 In secondo luogo, per quanto concerne la complessità del caso, si deve rilevare che gli errori in cui è incorsa la Commissione riguardano le conseguenze che occorreva trarre, per il procedimento, dalla scadenza del Trattato CECA.
196 Orbene, occorre ricordare che le questioni connesse alle norme applicabili ai fatti in discussione, sia per quanto riguarda il merito sia per quanto riguarda il procedimento, a causa della scadenza del Trattato CECA, presentavano, come indicato dalla Commissione, una certa complessità.
197 Inoltre, l’intesa ha coperto un periodo relativamente lungo (10 anni e 7 mesi), ha coinvolto un numero significativo di attori (8 imprese, comprendenti in totale 11 società, e un’associazione di categoria) e ha comportato un volume imponente di documenti forniti o ottenuti nel corso delle ispezioni (circa 20 000 pagine).
198 Alla luce di tali elementi, il caso deve essere considerato complesso.
199 In terzo luogo, per quanto concerne il comportamento delle parti, va constatato che la Commissione ha svolto un’attività continua a causa dei numerosi solleciti che le pervenivano dalle parti del procedimento amministrativo.
200 Così, la Commissione ha dovuto esaminare, nel contesto dell’adozione della decisione impugnata, numerose lettere, mentre al contempo doveva preparare l’audizione del 23 aprile 2018 e verificare una proposta di transazione presentata da talune parti del procedimento amministrativo il 4 dicembre 2018.
201 Da tali elementi considerati nel loro complesso risulta che la durata delle fasi amministrative del procedimento non appare irragionevole alla luce delle circostanze proprie del caso di specie e, in particolare, della sua complessità, in un contesto in cui nessun periodo di inerzia ingiustificata può essere addebitato alla Commissione nel corso delle tappe che hanno punteggiato le suddette fasi amministrative.
202 La censura in esame deve pertanto essere respinta.
Sulla seconda censura, relativa alla durata complessiva del procedimento
203 Le ricorrenti contestano la durata complessiva richiesta per il trattamento del fascicolo, dai primi atti istruttori fino all’adozione della decisione impugnata. A loro avviso, il fatto che, al momento della suddetta adozione, tale durata fosse pari a quasi 19 anni e riguardasse condotte alcune delle quali si erano verificate oltre 30 anni prima rende siffatta durata contraria al principio del termine ragionevole.
204 A tal riguardo, occorre rammentare che l’obbligo di osservare un termine ragionevole nello svolgimento dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto ripreso in particolare all’articolo 41, paragrafo 1, della Carta. Inoltre, il mancato rispetto di una durata ragionevole del processo costituisce un’irregolarità procedurale (sentenza del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, C‑385/07 P, EU:C:2009:456, punto 191). Difatti, ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti, conformemente all’articolo 47 della Carta e all’articolo 6 della CEDU (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, C‑385/07 P, EU:C:2009:456, punti da 177 a 179, e del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punti 282 e 283).
205 Il diritto dell’Unione impone infatti alle istituzioni di trattare entro un termine ragionevole i casi nell’ambito dei procedimenti amministrativi da esse condotti (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 284).
206 L’obbligo di rispettare un termine ragionevole si applica a ciascuna fase che s’inscriva in un procedimento nonché al complesso da quest’ultimo formato (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 230 e 231, e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 239).
207 Nel caso di specie, si deve constatare che il periodo nel corso del quale si è svolto l’insieme del procedimento amministrativo è stato eccezionalmente lungo, ciò che, del resto, ha indotto la Commissione a ridurre l’ammenda infine irrogata alle ricorrenti (v. punto 162 supra).
208 Tuttavia, la lunghezza complessiva del procedimento amministrativo può essere spiegata, nella fattispecie, con la complessità del fascicolo, fermo restando che, per taluni aspetti, essa è dovuta ad elementi relativi al caso vero e proprio, mentre, per altri, è legata al contesto in cui è da inquadrare il fascicolo, vale a dire la scadenza del trattato CECA (v. punti da 195 a 198 supra).
209 È vero che la Commissione è incorsa in taluni errori nella valutazione delle conseguenze da trarre dalla scadenza del trattato CECA e che tali errori hanno dato luogo ad annullamenti pronunciati, in successione, dal Tribunale e dalla Corte.
210 Tuttavia, tali errori, così come l’impatto che essi hanno potuto avere sulla durata del procedimento amministrativo, devono essere valutati tenendo conto della complessità delle questioni sollevate.
211 Peraltro, la durata complessiva del procedimento amministrativo è in parte imputabile alle interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale legate al numero di ricorsi proposti dinanzi al giudice dell’Unione sui diversi aspetti del caso.
212 A detto riguardo occorre notare che la possibilità che talune imprese, in una situazione come quella delle ricorrenti, vedano i propri casi esaminati più di una volta dalle autorità amministrative ed eventualmente dai giudici dell’Unione è insita nel sistema realizzato previsto dagli autori dei trattati per il controllo delle condotte e delle operazioni in materia di concorrenza. Quindi, l’obbligo per le autorità amministrative di svolgere svariate formalità e adempimenti prima di poter adottare una decisione finale nell’ambito della concorrenza, e la possibilità che suddetti formalità o adempimenti possano dare origine ad un ricorso, non possono essere utilizzati da un’impresa, come argomento al termine dell’iter procedimentale, per far valere che si sia superato il termine ragionevole (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause Feralpi e a./Commissione, C‑85/15 P, C‑86/15 P e C‑87/15 P, C‑88/15 P e C‑89/15 P, EU:C:2016:940, paragrafo 70).
213 In siffatto contesto, non si può considerare che, valutata nel suo complesso, la durata del procedimento amministrativo sia stata eccessiva e, pertanto, che essa abbia potuto ostare all’adozione, da parte della Commissione, di una nuova decisione irrogativa di un’ammenda.
214 La censura in esame deve conseguentemente essere respinta.
Sulla terza censura, concernente l’effetto della durata del procedimento sui diritti della difesa
215 Le ricorrenti ritengono che la durata del procedimento amministrativo abbia leso i loro diritti della difesa. A loro avviso, a causa di tale durata, l’audizione del 23 aprile 2018 non ha consentito alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di sentire tutti i soggetti le cui opinioni potessero influire sulla loro capacità di difendersi.
216 A tal riguardo, occorre ricordare che, come indicato al punto 180 supra, affinché il giudice pronunci l’annullamento della decisione adottata dalla Commissione a motivo di una violazione del principio del termine ragionevole, devono essere soddisfatte due condizioni. Poiché la prima (durata irragionevole del procedimento) non è soddisfatta, non è necessario, in linea di principio, verificare, in risposta alla terza censura, se la lunghezza del procedimento amministrativo abbia ostacolato l’esercizio dei diritti della difesa. Occorre tuttavia procedere a tale esame, ad abundantiam, per fornire una piena risposta alle preoccupazioni formulate dalle ricorrenti.
217 Da un lato, occorre constatare che, nel corso del procedimento considerato nel suo complesso, le ricorrenti hanno avuto, almeno sette volte, l’occasione di esprimere il loro punto di vista e di esporre i loro argomenti (v. punti da 3 a 6, 10, 22 e 23 supra).
218 In particolare, le ricorrenti hanno potuto esprimere il loro punto di vista, durante la terza fase amministrativa, nelle loro osservazioni del 1º febbraio 2018 e durante l’audizione del 23 aprile 2018 (v. punti 22 e 23 supra).
219 D’altro lato, l’esame del primo motivo ha consentito di dimostrare che i diritti della difesa delle ricorrenti non erano stati pregiudicati né dal fatto che non tutti i soggetti che avevano partecipato alle precedenti audizioni erano presenti all’audizione del 23 aprile 2018, né dal fatto che i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sapessero, al momento di esprimere il loro parere all’interno del comitato consultivo, che due decisioni, una delle quali era stata confermata dal Tribunale, erano state adottate precedentemente nei confronti delle imprese interessate (v. punti da 66 a 146 supra).
220 Da tali elementi risulta che, anche supponendo che la durata del procedimento amministrativo possa essere considerata contraria al principio del termine ragionevole, le condizioni da soddisfare per ottenere un annullamento della decisione impugnata non sarebbero soddisfatte, dal momento che le ricorrenti non hanno potuto dimostrare alcuna lesione dei diritti della difesa derivanti da detta durata.
221 Ciò considerato, si deve ritenere che non sia soddisfatto alcuno dei requisiti necessari affinché il Tribunale possa pronunciare l’annullamento della decisione impugnata a titolo di violazione del principio del termine ragionevole.
222 La censura dev’essere quindi respinta e, con essa, il motivo considerato nel suo complesso.
Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione e ad errori manifesti di valutazione
223 Nell’ambito del quarto motivo, le ricorrenti deducono tre censure, relative, la prima, alla mancanza di spiegazioni sufficienti sulle ragioni che hanno indotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda, la seconda, ad un errore manifesto di valutazione in cui è incorsa la Commissione a proposito dell’effetto deterrente che può essere prodotto dall’adozione di una siffatta decisione e, la terza, ad un errore in cui è incorsa la Commissione nella valutazione della possibilità, per i terzi, di proporre un ricorso per responsabilità dinanzi ai giudici nazionali, nonché ad altri argomenti, tutti respinti dalla Commissione.
Sulla prima censura, relativa alla mancanza di spiegazioni sufficienti sulle ragioni che hanno indotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda
224 Le ricorrenti lamentano che la Commissione non avrebbe sufficientemente spiegato le ragioni che hanno potuto indurla a riprendere il procedimento:
– da un lato, la motivazione non giustificherebbe l’adozione di una decisione irrogativa di un’ammenda oltre a constatare un’infrazione;
– dall’altro, la Commissione non avrebbe suffragato la sua affermazione secondo la quale un’ammenda è necessaria al fine di garantire un effetto deterrente sul mercato in questione, mentre quest’ultimo sarebbe radicalmente cambiato.
225 In primo luogo, occorre rilevare che la Commissione è investita dall’articolo 105, paragrafo 1, TFUE del compito di vigilare sull’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE.
226 A tale titolo, la Commissione è chiamata a definire e ad attuare, secondo la giurisprudenza, la politica dell’Unione in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2013, Vivendi/Commissione, T‑432/10, non pubblicata, EU:T:2013:538, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
227 In tale contesto, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale attestato dal regolamento n. 1/2003, secondo il quale, qualora constati l’esistenza di un’infrazione, essa «può», da un lato, obbligare le imprese interessate a porvi fine (articolo 7, paragrafo 1) e, dall’altro, infliggere ammende alle imprese che contravvengono (articolo 23, paragrafo 2).
228 In materia di concorrenza, alla Commissione è stato quindi affidato, indipendentemente dalla via seguita per portare il fascicolo a sua conoscenza, ovverosia, segnatamente, nell’ambito di una denuncia oppure di propria iniziativa, il potere di decidere se determinati comportamenti debbano essere oggetto di un’istruttoria, di una decisione e di un’ammenda, in funzione delle priorità da essa definite nell’ambito della sua politica di concorrenza.
229 Tuttavia, l’esistenza di tale potere non esime la Commissione dal suo obbligo di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 12 marzo 2020, LL-Carpenter/Commissione, T‑531/18, non pubblicata, EU:T:2020:91, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).
230 In un contesto in cui, come nel caso di specie, da un lato, una decisione adottata dalla Commissione è stata annullata due volte e in cui, dall’altro, il tempo trascorso tra i primi atti istruttori e l’adozione della decisione è stato eccezionalmente lungo, spetta a detta istituzione, in base al principio di buona amministrazione, tener conto della durata del procedimento e delle conseguenze che una simile durata ha potuto avere sulla sua decisione di perseguire le imprese interessate, e tale valutazione deve allora risultare nella motivazione della decisione.
231 Orbene, è proprio quanto ha fatto la Commissione indicando dettagliatamente, da un lato, ai punti da 526 a 529 della decisione impugnata e, dall’altro, ai punti da 536 a 573 di tale decisione, le ragioni per le quali essa ha ritenuto che occorresse adottare una nuova decisione che accertasse l’esistenza dell’infrazione e infliggesse un’ammenda alle imprese interessate. In particolare, essa ha indicato che l’irrogazione di un’ammenda consentirebbe di garantire che le imprese destinatarie, le quali hanno partecipato ad un’intesa di lunga durata, non siano lasciate impunite, aggiungendo che, a suo avviso, solo l’irrogazione di un’ammenda garantirebbe un’applicazione coerente delle norme in materia di concorrenza e produrrebbe un effetto deterrente nei confronti delle imprese (punto 565 della suddetta decisione).
232 Il primo argomento deve pertanto essere respinto.
233 In secondo luogo, occorre rilevare che, al punto 505 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato di aver informato le imprese destinatarie, al termine della sua valutazione secondo cui essa intendeva riaprire il procedimento per accertare, a seguito di un’audizione relativa al merito e tenuta conformemente ai regolamenti nn. 1/2003 e 773/2004, se la partecipazione di dette imprese all’infrazione loro contestata nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari fosse emersa o meno con sufficiente evidenza.
234 Per quanto riguarda la sanzione, come rilevato al punto 231 supra, la Commissione ha affermato, al punto 565 della decisione impugnata, che l’imposizione di un’ammenda avrebbe consentito di prevenire qualsiasi impunità delle imprese interessate e che solo una siffatta imposizione di ammenda avrebbe garantito un’applicazione coerente delle norme in materia di concorrenza dell’Unione e un effetto deterrente.
235 Per quanto riguarda, infine, il cambiamento conosciuto dal mercato, il quale, secondo le ricorrenti, dovrebbe giustificare che la Commissione sia più indulgente in materia di ammende, tale questione è trattata al punto 567 della decisione impugnata, nel quale essa ha indicato che, sebbene l’infrazione fosse cessata da un tempo relativamente lungo, l’adozione di una decisione irrogativa di un’ammenda conservava la sua importanza, in particolare per il mercato del tondo per cemento armato in Italia, al fine di dissuadere le imprese destinatarie dall’adottare nuovamente condotte di tale gravità.
236 Da questi elementi si può concludere che la motivazione fornita dalla Commissione nella decisione impugnata fa apparire in forma chiara e non equivoca il ragionamento da essa seguito per giustificare l’adozione di una nuova decisione che infligge un’ammenda nonostante gli annullamenti in precedenza intervenuti, ivi incluso l’intento di conferire alla decisione impugnata un effetto deterrente.
237 Il secondo argomento deve quindi essere respinto e, con esso, la censura considerata nel suo complesso.
Sulla seconda censura, relativa ad un errore manifesto di valutazione in cui è incorsa la Commissione riguardo all’effetto deterrente che può essere prodotto con l’adozione di una nuova decisione irrogativa di un’ammenda
238 Le ricorrenti sostengono che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione nel considerare, nonostante i cambiamenti intervenuti sul mercato del tondo per cemento armato, che adottare una decisione ed infliggere una sanzione fosse ancora necessario per dissuadere le imprese destinatarie dall’adottare un siffatto comportamento in futuro e per dissuadere tutti gli operatori eventualmente interessati dal commettere in futuro infrazioni analoghe.
239 A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione ha potuto considerare, alla luce del carattere grave dell’infrazione constatata, che adottare una decisione e infliggere una sanzione era ancora giustificato, al momento in cui la decisione impugnata è stata adottata, in considerazione dell’effetto deterrente che avrebbero potuto produrre, sui mercati, tale decisione e tale sanzione.
240 È difatti la sanzione, vale a dire il fatto di dover versare l’ammenda inflitta, che dissuade effettivamente un’impresa, e in modo generale i soggetti del mercato, dal commettere una violazione delle regole di concorrenza previste agli articoli 101 e 102 TFUE.
241 È vero che alle ricorrenti è stata inflitta una sanzione in due occasioni nel corso del procedimento, la prima volta con la decisione del 2002 e la seconda volta con quella del 2009. Tuttavia, tali decisioni sono state annullate dal giudice dell’Unione, rispettivamente, nelle sentenze del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317) e del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717). In siffatto contesto, imporre una sanzione nella decisione impugnata ha potuto trovare una giustificazione alla luce della necessità di garantire l’effetto deterrente.
242 Si può aggiungere che l’imposizione di un’ammenda da parte della Commissione non aveva come unico obiettivo, nel caso di specie, quello di conferire un certo effetto deterrente alla decisione impugnata, ma anche quello di evitare una totale impunità alle imprese interessate, il che sarebbe avvenuto qualora esse non fossero state sanzionate nella decisione impugnata (v. punto 527 della decisione impugnata).
243 Orbene, quest’ultimo obiettivo era sufficiente, di per sé solo, alla luce degli elementi menzionati nella decisione impugnata, e tenuto conto con particolare rilievo, da un lato, della gravità dell’infrazione constatata dalla Commissione e, dall’altro, della durata di tale infrazione quale accertata da detta istituzione, per giustificare nel caso di specie l’adozione di una decisione irrogativa di una sanzione.
244 La censura in esame deve conseguentemente essere respinta.
Sulla terza censura, riguardante un errore in cui è incorsa la Commissione nella valutazione della possibilità, per taluni terzi, di proporre un’azione risarcitoria dinanzi ai giudici nazionali
245 Le ricorrenti contestano uno degli argomenti dedotti dalla Commissione per giustificare la riapertura del procedimento amministrativo, vale a dire il fatto che occorresse garantire ai terzi la possibilità di proporre ancora azioni risarcitorie a seguito dell’adozione della decisione impugnata. A loro avviso, nessuna azione civile poteva più essere esperita nel momento in cui è stata adottata tale decisione, poiché una siffatta azione si prescrive dopo cinque anni in Italia e alcuni dei comportamenti oggetto del presente procedimento erano risalenti ad oltre trent’anni.
246 A tal riguardo, occorre rilevare che, al punto 564 della decisione impugnata, la Commissione ha spiegato che, a suo avviso, la riapertura del procedimento e l’adozione di una nuova decisione potevano agevolare il compito dei terzi intenzionati ad esperire, se del caso, dinanzi ai giudici nazionali, un’azione risarcitoria.
247 Siffatta valutazione è fondata. La Commissione, in effetti, non poteva escludere, adottando la decisione impugnata, la possibilità che talune vittime avessero interrotto la prescrizione e che tale decisione potesse quindi agevolare la presentazione, da parte di queste ultime,, di un’azione risarcitoria volta ad ottenere il risarcimento di un eventuale danno.
248 Occorre, peraltro, rilevare che le ricorrenti concentrano la loro argomentazione sul termine di prescrizione in materia civile in Italia.
249 Tuttavia, paesi diversi dall’Italia potevano essere interessati dall’esperimento di azioni volte ad ottenere il risarcimento di un eventuale danno risultante dall’intesa, dato che i prodotti su cui detta intesa aveva inciso hanno potuto essere acquistati da clienti situati all’estero.
250 In tale contesto, l’applicazione di altri diritti nazionali, prevedendo, se del caso, norme diverse sul termine di prescrizione o sulle cause che potevano sospendere, o addirittura interrompere, quest’ultima, non poteva essere esclusa dalla Commissione.
251 Pertanto, le ricorrenti, nella loro argomentazione, non sono riuscite a dimostrare l’esistenza di un errore, giacché la loro posizione si limita ad indicare che esse non hanno la stessa opinione della Commissione sulla questione in esame, vale a dire l’interesse dell’esistenza di una decisione della Commissione ai fini della proposizione di azioni risarcitorie dinanzi ai giudici nazionali da parte di terzi eventualmente lesi.
252 La censura deve conseguentemente essere respinta.
Sugli ulteriori argomenti
253 A sostegno del quarto motivo, le ricorrenti sollevano, ancora, due argomenti analizzati, parzialmente in ogni caso, nella risposta data agli altri motivi precedentemente esaminati.
254 Con il primo argomento, le ricorrenti fanno valere che, nella decisione impugnata, la Commissione non avrebbe esaminato in termini giuridicamente sufficienti se la durata del procedimento amministrativo avesse superato il termine ragionevole.
255 In particolare, le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver spiegato in modo giuridicamente sufficiente perché, nell’ambito della sua analisi, essa doveva esaminare solo la durata del procedimento amministrativo.
256 A questo proposito, occorre rilevare che, come indicato ai precedenti punti da 152 a 169 in risposta alla prima censura del secondo motivo, la Commissione, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, ha verificato la durata complessiva del procedimento amministrativo, fasi amministrative ed interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, ed ha esaminato se tale durata potesse o dovesse avere conseguenze sulla possibilità di riaprire tale procedimento e sulla situazione delle imprese interessate.
257 In tale contesto, la Commissione ha ammesso che, a seguito degli errori procedurali che erano stati commessi, le diverse fasi succedutesi avevano potuto condurre, per il procedimento amministrativo considerato nel suo complesso, fasi amministrative ed interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, a una durata «oggettivamente» lunga, come indicato ai precedenti punti 156 e 157.
258 Ponderando poi l’interesse pubblico ad ottenere l’applicazione concreta delle regole di concorrenza e l’interesse delle parti a che le possibili conseguenze degli errori procedurali commessi vengano prese in considerazione, la Commissione ha deciso di adottare una decisione che constata un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, ma di ridurre l’ammenda inflitta del 50%.
259 Il primo argomento deve pertanto essere respinto.
260 Con il secondo argomento, le ricorrenti fanno valere che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione quando ha considerato che il termine ragionevole non era stato superato.
261 In particolare, le ricorrenti sostengono che la Commissione non poteva affermare, come ha fatto, che il procedimento amministrativo si era svolto speditamente.
262 A questo proposito, alla luce degli elementi menzionati in risposta al terzo motivo di ricorso (v. punti da 183 a 214 supra), si deve ritenere che la Commissione, quando ha concluso che la durata del procedimento amministrativo non era irragionevole, non ha commesso alcun errore di valutazione.
263 Da tali considerazioni e, in particolare, dai punti da 185 a 202 supra, risulta, nello stesso senso, che non contiene un errore di valutazione neppure l’affermazione della Commissione al punto 555 della decisione impugnata secondo cui «[n]el presente caso, per quanto concerne la fase amministrativa, [essa] ritiene di aver sempre condotto la propria attività istruttoria speditamente e senza ingiustificate interruzioni».
264 Il secondo argomento deve pertanto essere respinto.
265 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere il quarto motivo nel suo complesso, in quanto infondato.
Sulla domanda presentata all’udienza dalle ricorrenti relativa alla riforma dell’ammenda
266 Le ricorrenti hanno fatto presente, all’udienza, di aver contestato la legittimità della decisione impugnata nel loro ricorso, ma del pari, implicitamente, l’importo dell’ammenda, così che il Tribunale sarebbe altresì investito di una domanda di riforma dell’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito.
267 A tal riguardo, occorre ricordare che, come rilevato dalla Commissione in udienza, secondo la giurisprudenza, il giudice dell’Unione non può esercitare d’ufficio la competenza estesa al merito prevista dall’articolo 261 TFUE e dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003.
268 Infatti, poiché il procedimento dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione si svolge in contraddittorio, spetta alla parte ricorrente sollevare tale domanda avverso la decisione impugnata, articolare i motivi che giustificano la domanda in parola e produrre gli elementi di prova a sostegno di suddetti motivi (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Siemens e a./Commissione, C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:866, punto 335).
269 Orbene, è giocoforza constatare che, nel caso di specie, il ricorso non contiene alcuna domanda di riforma dell’ammenda. È vero che le ricorrenti hanno sostenuto in udienza che una siffatta domanda risultava dall’economia del ricorso. Tuttavia, esse non hanno esposto alcun elemento a sostegno di tale affermazione. In tali circostanze, occorre considerare che i requisiti derivanti dall’articolo 76, lettera e), del regolamento di procedura, secondo i quali la parte ricorrente è tenuta ad indicare le sue conclusioni nel ricorso, non sono rispettati. In applicazione di suddetta disposizione, possono essere prese in considerazione solo le conclusioni esposte nell’atto introduttivo del giudizio e la fondatezza del ricorso può essere esaminata solo alla luce delle conclusioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio (sentenza del 18 novembre 2020, H/Consiglio, T‑271/10 RENV II, EU:T:2020:548, punto 84 e giurisprudenza ivi citata).
270 Occorre quindi considerare che la domanda di riforma dell’ammenda è stata formulata, nel corso del procedimento, tardivamente e, traendo le conseguenze da tale carattere tardivo, che, in applicazione dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura, essa è irricevibile.
271 In ogni caso, poiché gli argomenti a sostegno del ricorso sono integralmente respinti, l’ammenda non può essere ridotta, né a fortiori annullata, a titolo dei motivi dedotti a sostegno del ricorso.
Conclusione
272 In considerazione di tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Sulle spese
273 Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a sopportare, oltre che le proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) La Ferriera Valsabbia SpA e la Valsabbia Investimenti SpA sono condannate alle spese.
Gervasoni |
Madise |
Nihoul |
Frendo |
Martín y Pérez de Nanclares |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 novembre 2022.
Il cancelliere |
Il presidente |
E. Coulon |
M. van der Woude |
* Lingua processuale: l’italiano.
SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata) 9 novembre 2022 (*) «Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Fissazione dei prezzi – Limitazione e controllo della produzione e delle vendite – Decisione adottata in seguito all’annullamento di decisioni anteriori – Tenuta di una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Termine ragionevole – Obbligo di motivazione» Nella causa T‑655/19, Ferriera Valsabbia SpA, con sede a Odolo (Italia), Valsabbia Investimenti SpA, con sede a Odolo, rappresentate da D. Fosselard, D. Slater e G. Carnazza, avvocati, ricorrenti, contro Commissione europea, rappresentata da P. Rossi, G. Conte e C. Sjödin, in qualità di agenti, assistiti da P. Manzini, avvocato, convenuta, avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato), nella parte in cui essa constata che le ricorrenti hanno violato tale disposizione e nella parte in cui essa le condanna in solido a un’ammenda di EUR 5,125 milioni, IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata), composto, in sede di deliberazione, da S. Gervasoni, presidente, L. Madise, P. Nihoul (relatore), R. Frendo e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici, cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 giugno 2021, ha pronunciato la seguente Sentenza Fatti all’origine della controversia 1 Le ricorrenti, Ferriera Valsabbia SpA e Valsabbia Investimenti SpA, sono società di diritto italiano, derivanti dalla scissione, avvenuta il 1º marzo 2000, della Ferriera Valsabbia SpA, società di diritto italiano operante nel settore del tondo per cemento armato dal 1954. Il ramo operativo di quest’ultima è stato conferito alla Enifer Srl, che ha assunto la denominazione Ferriera Valsabbia. La Valsabbia Investimenti controlla il 100% del capitale dell’attuale Ferriera Valsabbia. Prima decisione della Commissione (2002) 2 Dall’ottobre al dicembre 2000 la Commissione delle Comunità europee ha effettuato, conformemente all’articolo 47 CA, accertamenti presso imprese italiane produttrici di tondo per cemento armato, tra cui le ricorrenti, e presso un’associazione di imprese, la Federazione imprese siderurgiche italiane (in prosieguo: la «Federacciai»). Essa ha anche inviato loro richieste di informazioni ai sensi di tale disposizione. 3 Il 26 marzo 2002 la Commissione ha avviato un procedimento di applicazione dell’articolo 65 CA e formulato taluni addebiti ai sensi dell’articolo 36 CA (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti») notificati, in particolare, alle ricorrenti. Queste ultime hanno risposto alla comunicazione degli addebiti il 14 maggio 2002. 4 Il 13 giugno 2002 si è svolta un’audizione delle parti nell’ambito del procedimento amministrativo. 5 Il 12 agosto 2002 la Commissione ha inviato agli stessi destinatari taluni addebiti supplementari (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti supplementari»), ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204). In tale comunicazione, la Commissione ha precisato la sua posizione in merito alla prosecuzione del procedimento dopo la scadenza del Trattato CECA, avvenuta il 23 luglio 2002. Le ricorrenti hanno risposto alla comunicazione degli addebiti supplementari il 20 settembre 2002. 6 Il 30 settembre 2002 si è svolta una nuova audizione delle parti nel procedimento amministrativo, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Essa riguardava l’oggetto della comunicazione degli addebiti supplementari, ossia le conseguenze giuridiche della scadenza del Trattato CECA sulla prosecuzione del procedimento. 7 Al termine del procedimento, la Commissione ha adottato la decisione C (2002) 5087 definitivo, del 17 dicembre 2002, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 65 del trattato CECA (COMP/37.956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione del 2002»), indirizzata alla Federacciai e a otto imprese, tra cui le ricorrenti. Essa ha constatato che queste ultime, tra il dicembre 1989 e il luglio 2000, avevano attuato un’intesa unica, complessa e continuata nel mercato italiano del tondo per cemento armato in barre o in rotoli (in prosieguo: il «tondo per cemento armato») avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite, in violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA. A detto titolo, la Commissione ha inflitto in solido alle ricorrenti un’ammenda di importo pari a EUR 10,25 milioni. 8 Il 5 marzo 2003 le ricorrenti hanno proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione del 2002. Il Tribunale ha annullato detta decisione nei confronti delle ricorrenti (sentenza del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione, T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317) e delle altre imprese destinatarie, con la motivazione che la base giuridica utilizzata, ossia l’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA, non era più in vigore al momento dell’adozione della decisione. Pertanto, la Commissione non era competente, in base a tali disposizioni, a constatare e a sanzionare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA dopo la scadenza del Trattato CECA. Il Tribunale non ha esaminato gli altri aspetti della suddetta decisione. 9 La decisione del 2002 è divenuta definitiva nei confronti della Federacciai, che non ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale. Seconda decisione della Commissione (2009) 10 Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione ha informato le ricorrenti e le altre imprese interessate della sua intenzione di adottare una nuova decisione, previa correzione della base giuridica utilizzata. Essa ha inoltre precisato che la decisione in parola sarebbe stata fondata sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari. Su invito della Commissione, le ricorrenti hanno presentato osservazioni scritte il 4 settembre 2008. 11 Il 30 settembre 2009 la Commissione ha adottato una nuova decisione, la C(2009) 7492 definitivo, relativa a una violazione dell’articolo 65 del trattato CECA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione), indirizzata alle stesse imprese di cui alla decisione del 2002, ivi incluse le ricorrenti. Detta decisione è stata adottata sulla base delle norme procedurali del trattato CE e del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1). Essa si basava sugli elementi oggetto della comunicazione degli addebiti e della comunicazione degli addebiti supplementari e riproduceva, in sostanza, il contenuto e le conclusioni della decisione del 2002. In particolare, l’importo dell’ammenda inflitta, in solido, alle ricorrenti, pari a EUR 10,25 milioni, rimaneva invariato. 12 L’8 dicembre 2009, la Commissione ha adottato una decisione di modifica, che integrava, nel suo allegato, le tabelle indicanti le variazioni dei prezzi omesse dalla sua decisione del 30 settembre 2009 e rettificava i riferimenti numerati alle suddette tabelle in otto note a piè di pagina. 13 Il 17 febbraio 2010 le ricorrenti hanno proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione della Commissione del 30 settembre 2009, come modificata (in prosieguo: la «decisione del 2009»). Il 9 dicembre 2014 il Tribunale ha respinto tale ricorso (sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione, T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032). Il Tribunale ha annullato parzialmente la decisione del 2009 nei confronti di un altro dei suoi destinatari, ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta ad altri due dei suoi destinatari e ha respinto gli altri ricorsi proposti. 14 Il 20 febbraio 2015 le ricorrenti hanno proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione (T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032). Con sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Corte ha annullato detta sentenza del Tribunale nonché la decisione del 2009 nei confronti, in particolare, delle ricorrenti. 15 Nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Corte ha dichiarato che, quando una decisione era stata adottata sulla base del regolamento n. 1/2003, il procedimento che si concludeva con tale decisione doveva essere conforme alle norme di procedura previste da suddetto regolamento nonché dal regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18), anche se detto procedimento era iniziato prima della loro entrata in vigore. 16 Orbene, la Corte ha constatato che, nel caso di specie, l’audizione del 13 giugno 2002, la sola riguardante il merito del procedimento, non poteva essere considerata conforme ai requisiti procedurali relativi all’adozione di una decisione in base al regolamento n. 1/2003, mancando la partecipazione delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. 17 La Corte ha concluso che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non era tenuta, prima dell’adozione della decisione del 2009, ad organizzare una nuova audizione, per il motivo che le imprese avevano già avuto la possibilità di essere ascoltate durante le audizioni del 13 giugno e del 30 settembre 2002. 18 Nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Corte ha ricordato l’importanza dello svolgimento, su richiesta delle parti interessate, di un’audizione alla quale siano invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, costituendo la sua omissione una violazione delle forme sostanziali. 19 La Corte ha dichiarato che, poiché il diritto in parola, previsto espressamente dal regolamento n. 773/2004, non era stato rispettato, non era necessario che l’impresa il cui diritto fosse stato così violato dimostrasse che tale violazione era stata idonea ad influenzare a suo svantaggio lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione controversa. 20 La Corte ha altresì annullato, per gli stessi motivi, altre sentenze del Tribunale pronunciate il 9 dicembre 2014 che statuivano sulla legittimità della decisione del 2009, nonché la decisione stessa, nei confronti di altre quattro imprese. La decisione del 2009 è invece divenuta definitiva per le imprese destinatarie che non hanno proposto impugnazione avverso le suddette sentenze. Terza decisione della Commissione (2019) 21 Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha informato le ricorrenti della propria intenzione di riprendere il procedimento amministrativo e di organizzare, in tale contesto, una nuova audizione delle parti di detto procedimento in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. 22 Con lettera del 1° febbraio 2018, le ricorrenti hanno presentato osservazioni nelle quali hanno contestato il potere della Commissione di riassumere il procedimento amministrativo e ha pertanto invitato quest’ultima a non procedere a tale riassunzione. 23 Il 23 aprile 2018 la Commissione ha tenuto una nuova audizione relativa al merito del procedimento, alla quale hanno partecipato, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e del consigliere-auditore, le ricorrenti nonché altre tre imprese destinatarie della decisione del 2009. 24 Con lettere del 19 novembre 2018 nonché del 18 gennaio e del 6 maggio 2019, la Commissione ha inviato alle ricorrenti tre richieste di informazioni riguardanti il loro fatturato. 25 Il 4 luglio 2019 la Commissione ha adottato la decisione C(2019) 4969 final, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (AT.37956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), destinata alle cinque imprese nei confronti delle quali la decisione del 2009 era stata annullata, vale a dire, oltre alle ricorrenti, l’Alfa Acciai SpA, la Feralpi Holding SpA (già Feralpi Siderurgica SpA e Federalpi Siderurgica SRL), la Partecipazioni Industriali SpA (già Riva Acciaio SpA e successivamente Riva Fire SpA; in prosieguo: la «Riva») nonché la Ferriere Nord SpA. 26 Con la decisione impugnata, la Commissione ha constatato la stessa infrazione oggetto della decisione del 2009, al contempo riducendo del 50% le ammende inflitte alle imprese destinatarie a motivo della durata del procedimento. Con l’articolo 2 della decisione impugnata, la Commissione ha quindi inflitto alle ricorrenti, solidalmente, un’ammenda di importo pari a EUR 5,125 milioni. 27 In data 8 luglio 2019 è stata notificata alle ricorrenti una copia incompleta della decisione impugnata, contenente solo le pagine dispari. 28 Il 18 luglio 2019 è stata notificata alle ricorrenti una versione completa della decisione impugnata. Procedimento e conclusioni delle parti 29 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 settembre 2019, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso. 30 Su proposta della Quarta Sezione, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rimettere la causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato. 31 Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto alcuni quesiti scritti alle parti e ha chiesto loro di produrre taluni documenti. Le parti hanno risposto a tali quesiti e a tali richieste di produzione di documenti entro il termine impartito. 32 Con decisione del presidente della Quarta Sezione del Tribunale del 16 aprile 2021, le cause T‑655/19 e T‑656/19 sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento, conformemente all’articolo 68 del regolamento di procedura. 33 All’udienza del 2 giugno 2021, le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti scritti e orali posti dal Tribunale. 34 Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia: – annullare la decisione impugnata nella parte in cui essa le riguarda; – condannare la Commissione alle spese. 35 La Commissione chiede che il Tribunale voglia: – respingere il ricorso; – condannare le ricorrenti alle spese. In diritto 36 A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono i seguenti quattro motivi, vertenti: – il primo, sulla violazione di norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018, che avrebbe comportato una violazione dei diritti della difesa; – il secondo, sull’illegittimo rifiuto della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale adozione con il principio della durata ragionevole del procedimento; – il terzo, e una parte del quarto, sulla violazione del principio della durata ragionevole del procedimento; – il quarto, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e su errori manifesti di valutazione. Sul primo motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa e delle norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 37 Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata è stata adottata al termine di un procedimento inficiato dall’esistenza di irregolarità commesse nell’organizzazione dell’audizione successiva alla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717). 38 In particolare, le ricorrenti deducono tre censure, riguardanti l’imparzialità che si esige da parte del comitato consultivo, l’assenza di soggetti importanti durante l’audizione del 23 aprile 2018 e l’impossibilità, per la Commissione, di porre rimedio al vizio procedurale censurato dalla Corte, tutte contestate dalla Commissione. Sull’audizione organizzata a seguito della riapertura del procedimento amministrativo 39 In via preliminare, occorre ricordare che, nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717, punti da 42 a 47), la Corte ha addebitato alla Commissione di non aver dato alle ricorrenti la possibilità di sviluppare i loro argomenti nel corso di un’audizione vertente sul merito del caso in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. 40 La Corte ha poi affermato che il vizio così individuato doveva essere analizzato come una violazione delle forme sostanziali che inficia il procedimento indipendentemente dalle conseguenze pregiudizievoli per le ricorrenti che potrebbero risultarne (sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717, punti da 48 a 50). 41 Analizzando la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), la Commissione ha ritenuto che, se tale difetto fosse stato corretto, il procedimento amministrativo avrebbe potuto essere riaperto nei confronti delle imprese ancora interessate (punto 15 della decisione impugnata). 42 Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha comunicato alle imprese interessate che intendeva riaprire il procedimento amministrativo a partire dal punto in cui era emerso il vizio identificato dalla Corte, vale a dire a partire dall’audizione. 43 Nella sua lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha chiesto alle imprese interessate di manifestare per iscritto, qualora lo desiderassero, il loro interesse a partecipare ad una nuova audizione, che, vertente sul merito del caso, sarebbe stata organizzata in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri conformemente alla normativa applicabile. 44 Avendo ricevuto le risposte fornite dalle imprese interessate, il 23 aprile 2018 la Commissione ha organizzato una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Sull’esecuzione delle sentenze di annullamento 45 Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 266, paragrafo 1, TFUE, l’istituzione da cui emana l’atto annullato è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta. 46 Per conformarsi a una sentenza di annullamento e darle piena esecuzione, le istituzioni devono rispettare non soltanto il dispositivo della sentenza, ma anche i motivi che ne costituiscono il fondamento necessario, nel senso che sono indispensabili per determinare il significato esatto di ciò che è stato deciso nel dispositivo (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2017, Francia/Commissione, T‑74/14, non pubblicata, EU:T:2017:471, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). 47 L’annullamento di un atto che pone fine a un procedimento amministrativo non incide su tutte le fasi precedenti alla sua adozione, ma unicamente su quelle interessate dalle ragioni, di merito o procedurali, che hanno giustificato l’annullamento (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2017, Francia/Commissione, T‑74/14, non pubblicata, EU:T:2017:471, punto 47 e giurisprudenza ivi citata). 48 Pertanto, la procedura volta alla sostituzione di un atto annullato può, in linea di principio, essere riaperta a partire dalla fase inficiata dall’illegittimità (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 73, e del 6 luglio 2017, Francia/Commissione, T‑74/14, non pubblicata, EU:T:2017:471, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 49 Nel caso di specie, poiché l’atto è stato annullato a seguito di una violazione di forme sostanziali intervenuta nell’organizzazione dell’audizione (sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), ben poteva la Commissione riaprire il procedimento, come ha fatto, a partire da tale fase. 50 È in siffatto contesto che devono essere esaminate le censure dedotte dalle ricorrenti a sostegno del primo motivo. Sulla prima censura, relativa all’imparzialità che si esige da parte del comitato consultivo 51 Le ricorrenti sostengono che il comitato consultivo non è stato validamente consultato, poiché le modalità messe in atto per organizzare l’audizione alla quale dovevano essere invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, i cui rappresentanti compongono detto comitato, non hanno consentito di garantirne l’imparzialità nel momento in cui quest’ultimo doveva emettere il proprio parere in applicazione della normativa. 52 A tal riguardo, occorre ricordare che il procedimento per l’adozione delle decisioni fondate sugli articoli 101 e 102 TFUE è disciplinato, per quanto concerne gli aspetti coinvolti dalla presente controversia, dal regolamento n. 1/2003: – ai sensi dell’articolo 14, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, la Commissione, prima di adottare la sua decisione, consulta un comitato composto da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri; – l’articolo 14, paragrafo 3, di detto regolamento specifica che tale comitato emette per iscritto un parere sul progetto preliminare di decisione presentato dalla Commissione; – l’articolo 14, paragrafo 5, del medesimo regolamento precisa che la Commissione tiene in massima considerazione il parere espresso da tale comitato, informandolo del modo in cui essa ha adempiuto tale obbligo. 53 Per l’organizzazione delle audizioni, il regolamento n. 773/2004 stabilisce le seguenti regole: – l’articolo 12 di tale regolamento impone alla Commissione di accordare alle parti cui è inviata la comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un'audizione orale, qualora lo richiedano nella loro proposta scritta; – l’articolo 14, paragrafo 3, di detto regolamento prevede che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri siano invitate a prendere parte all’audizione. 54 Secondo la giurisprudenza, la consultazione del comitato consultivo costituisce una formalità sostanziale la cui violazione incide sulla legittimità della decisione controversa e comporta il suo annullamento qualora sia dimostrato che il mancato rispetto della normativa ha impedito a tale comitato di emettere il proprio parere con piena cognizione di causa (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2018, Servier e a./Commissione, T‑691/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:922, punto 148 e giurisprudenza ivi citata). 55 Le ricorrenti non affermano che le regole enunciate ai punti 52 e 53 supra non sono state rispettate in quanto tali. Esse ritengono, tuttavia, che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, quando hanno partecipato all’audizione del 23 aprile 2018 e hanno, successivamente, emesso il loro parere, non si trovassero in una situazione idonea a garantirne l’imparzialità. Ad avviso delle ricorrenti, le autorità in parola conoscevano, infatti, al momento di esprimere suddetto parere, la posizione che era stata adottata dalla Commissione e dagli organi giurisdizionali dell’Unione europea nelle decisioni e nelle sentenze che avevano punteggiato il procedimento. Esse osservano, da un lato, che, prima di adottare la decisione impugnata, la Commissione già aveva adottato, in due occasioni (nel 2002 e nel 2009), una decisione sanzionatoria senza consultare le suddette autorità riguardo al merito del caso e che, dall’altro, nel 2014, il Tribunale aveva pronunciato una sentenza confermativa della posizione assunta dalla Commissione. A loro avviso, essendo caratterizzato dall’esistenza di tali decisioni e di tale sentenza, il contesto ha inevitabilmente influenzato le medesime autorità in un modo tale da rendere impossibile la formulazione di un parere con assoluta imparzialità. 56 A tal riguardo, si deve rammentare che, quando un atto viene annullato, esso scompare dall’ordinamento giuridico ed è considerato come mai esistito (v. sentenza del 13 dicembre 2017, Crédit mutuel Arkéa/BCE, T‑712/15, EU:T:2017:900, punto 42 e giurisprudenza ivi citata), anche se, quando l’annullamento ha portata individuale, ne traggono vantaggio, o stanti determinate circostanze, unicamente le parti del processo (v. sentenza dell’8 maggio 2019, Lucchini/Commissione, T‑185/18, non pubblicata, EU:T:2019:298, punti da 33 a 37 e giurisprudenza ivi citata). 57 Così, le sentenze del Tribunale, che sono atti adottati da una delle istituzioni dell’Unione, scompaiono retroattivamente dall’ordinamento giuridico quando sono annullate in sede di impugnazione. 58 Pertanto, nel caso di specie, sebbene il comitato consultivo abbia reso il suo parere, da un lato, dopo che la Commissione aveva adottato la decisione del 2002 e poi quella del 2009 e, dall’altro, dopo che il Tribunale si era pronunciato nella sua sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione (T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032), resta comunque il fatto che, essendo state annullate, tali decisioni e tale sentenza erano scomparse dall’ordinamento giuridico dell’Unione e che, in applicazione di detta giurisprudenza, dovevano essere considerate mai esistite. 59 Relativamente all’asserita mancanza di imparzialità delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, che renderebbe impossibile la formulazione, da parte del comitato consultivo, di un parere con assoluta imparzialità, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), ogni persona ha diritto, in particolare, a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione. 60 L’esigenza di imparzialità prevista dall’articolo 41 della Carta riguarda, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricato della questione manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (v. sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 155 e giurisprudenza ivi citata). 61 Nel caso di specie, l’imparzialità del comitato consultivo quando ha emesso il suo parere è messa in discussione perché, secondo le ricorrenti, l’atteggiamento dei rappresentanti delle autorità che compongono detto comitato avrebbe potuto essere influenzato dal fatto che dette autorità erano venute a conoscenza della posizione adottata sul caso, da un lato, dalla Commissione nelle sue decisioni del 2002 e del 2009 e, dall’altro, dal Tribunale nella sua sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriera Valsabbia e Valsabbia Investimenti/Commissione (T‑92/10, non pubblicata, EU:T:2014:1032). 62 Da una simile conoscenza, anche volendo ritenerla dimostrata, non si può tuttavia inferire una mancanza di imparzialità idonea a pregiudicare la legittimità della decisione impugnata, a meno di mettere in dubbio le disposizioni del Trattato in forza delle quali atti dichiarati illegittimi possono essere sostituiti, senza che sia necessario determinare se quella messa in discussione dalle ricorrenti sia imparzialità soggettiva o oggettiva. 63 Infatti, la possibile conoscenza di una soluzione adottata in precedenza e, se del caso, confermata in una sentenza del Tribunale successivamente annullata dalla Corte in sede di impugnazione è insita nell’obbligo di trarre le conseguenze di un annullamento. Il fatto di decidere che la conoscenza di una situazione siffatta potrebbe, in quanto tale, impedire una riapertura del procedimento, inciderebbe, di per sé, sul meccanismo dell’annullamento, indicando che quest’ultimo implica non solo la scomparsa retroattiva dell’atto annullato, ma anche il divieto di riapertura del procedimento. Una simile eventualità sarebbe incompatibile con l’articolo 266 TFUE, che, in caso di annullamento sulla base dell’articolo 263 TFUE, impone alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione di prendere i provvedimenti che l’esecuzione delle sentenze emesse nei loro confronti comporta, senza tuttavia esonerarle dal compito consistente nell’assicurare, nei settori rientranti nella loro competenza, l’applicazione del diritto dell’Unione. 64 La censura in esame va pertanto respinta. Sulla seconda censura, relativa all’assenza di soggetti importanti durante l’audizione del 23 aprile 2018 65 Le ricorrenti sostengono che la Commissione, da un lato, abbia violato diverse norme relative all’organizzazione delle audizioni e, dall’altro, abbia commesso un errore omettendo di invitare svariate entità all’audizione del 23 aprile 2018, laddove, avendo svolto un ruolo centrale nella vicenda, tali entità avrebbero potuto fornire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri elementi idonei a consentire a queste ultime di adottare la loro posizione con piena cognizione di causa. Ad avviso delle ricorrenti, non avendo potuto beneficiare di un parere reso con piena cognizione di causa da parte delle autorità in parola, i loro diritti della difesa sono stati violati per le seguenti ragioni: – la Federacciai avrebbe dovuto partecipare a detta audizione, così come la Leali SpA, nel frattempo fallita, tenuto conto del ruolo centrale svolto da queste ultime nel complesso dei fatti oggetto dell’indagine; – la Lucchini SpA, anch’essa fallita, e la Riva, posta in amministrazione straordinaria, che erano i leader del mercato, avrebbero anch’esse dovuto partecipare alla suddetta audizione; – la Industrie Riunite Odolesi SpA (in prosieguo: la «IRO»), che, dal canto suo, non aveva impugnato la sentenza del 9 dicembre 2014, IRO/Commissione (T‑69/10, non pubblicata, EU:T:2014:1030), avrebbe anch’essa dovuto partecipare alla suddetta audizione; – l’Associazione Nazionale Sagomatori Ferro (in prosieguo: l’«Ansfer») avrebbe dovuto essere invitata, giacché l’associazione in parola, rappresentante di clienti delle imprese interessate, era intervenuta in qualità di terzo nel corso dell’audizione del 13 giugno 2002 e in tale sede aveva dichiarato che l’esistenza di intese restrittive della concorrenza non era mai stata avvertita sul mercato. 66 Occorre, dunque, esaminare se, nell’organizzazione dell’audizione, la Commissione abbia violato una norma per essa vincolante e se, in tal modo, o in qualsiasi altro modo, essa abbia ostacolato i diritti della difesa delle ricorrenti in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018. 67 In primo luogo, occorre rilevare che la partecipazione all’audizione fa parte dei diritti procedurali la cui violazione, a causa della loro natura soggettiva, deve essere invocata dall’impresa o dal terzo che ne è titolare (v., in tal senso, sentenze del 1° luglio 2010, ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni/Commissione, T‑62/08, EU:T:2010:268, punto 186; del 12 maggio 2011, Région Nord-Pas-de-Calais e Communauté d’agglomération du Douaisis/Commissione, T‑267/08 e T‑279/08, EU:T:2011:209, punto 77, e del 19 settembre 2019, Zhejiang Jndia Pipeline Industry/Commissione, T‑228/17, EU:T:2019:619, punto 36). 68 Pertanto, le ricorrenti non possono utilmente chiedere l’annullamento di una decisione per il solo motivo che, nel caso di specie, sarebbero stati violati diritti procedurali a favore di terzi o di altre parti. 69 Peraltro, si deve rilevare che, sebbene le audizioni tenute nell’ambito dei procedimenti in materia di intese si svolgano, nella maggior parte dei casi, in forma collettiva nella prassi della Commissione, la normativa non riconosce alle imprese alle quali è stata inviata una comunicazione degli addebiti alcun diritto ad un’audizione collettiva. 70 Per contro, l’articolo 14, paragrafo 6, del regolamento n. 773/2004 precisa che ogni persona può essere sentita o separatamente o in presenza di altre persone invitate a partecipare, tenuto conto dell’interesse legittimo delle imprese alla riservatezza dei loro segreti aziendali e di altre informazioni riservate (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 697). 71 In secondo luogo, occorre esaminare se – al di là del rispetto dovuto ai diritti di cui dispongono altre persone o entità – la Commissione abbia violato talune norme relative all’organizzazione delle audizioni in un modo che abbia potuto ostacolare la difesa delle ricorrenti. 72 A tal riguardo, occorre rilevare che i diritti della difesa sono diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui il giudice dell’Unione garantisce il rispetto. Siffatto rispetto nell’ambito di un procedimento dinanzi alla Commissione avente ad oggetto l’irrogazione di un’ammenda a un’impresa per violazione delle norme in materia di concorrenza esige che l’impresa interessata sia stata posta in grado di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare la propria affermazione dell’esistenza di un’infrazione al Trattato. Tali diritti sono contemplati all’articolo 41, paragrafo 2, lettere a) e b), della Carta (v. sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:686, punti 52 e 53 e giurisprudenza ivi citata). 73 Nel caso di specie, le ricorrenti hanno insistito sul fatto che l’assenza di talune entità avesse comportato l’impossibilità per il comitato consultivo di esprimere il suo parere con piena cognizione di causa. A loro avviso, se suddette entità fossero state sentite, il contenuto del suo parere e, di conseguenza, quello della decisione impugnata, avrebbe quindi potuto essere diverso. Tale problematica è stata oggetto di articolati scambi tra le parti, sia per iscritto che durante l’udienza. 74 A tal riguardo, occorre operare una distinzione tra la situazione delle imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti e della decisione impugnata, la situazione dei terzi che dimostrino un interesse sufficiente e la situazione degli altri terzi. – Sulla situazione delle imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti e della decisione impugnata 75 Ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, le imprese e le associazioni di imprese oggetto del procedimento avviato devono avere modo di essere sentite relativamente agli addebiti mossi nei loro confronti prima che sia adottata nei loro riguardi una decisione applicativa dell’articolo 101 o 102 TFUE. La Commissione può basare le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite. 76 L’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 precisa che la Commissione accorda alle parti cui è inviata la comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un'audizione orale, qualora lo richiedano nella loro proposta scritta. 77 Nel caso di specie, l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 erano quindi destinati ad applicarsi a tutte le imprese che avevano partecipato all’intesa e per le quali la decisione del 2002 o la decisione del 2009 non era divenuta definitiva, ivi inclusa la Riva. 78 Secondo le ricorrenti, l’assenza della Riva all’udienza del 23 aprile 2018 ha potuto contribuire ad inficiare il procedimento, incidendo sulle condizioni nelle quali esse potevano esercitare la loro difesa. 79 A tal riguardo, occorre rilevare che, come indicato ai punti 45 e 46 della decisione impugnata, e senza che ciò sia contestato dalle parti: – la Riva è stata informata dalla Commissione, con lettera del 15 dicembre 2017, della riapertura del procedimento; – in risposta a suddetta lettera, la Riva ha depositato osservazioni scritte senza tuttavia chiedere di partecipare a un’audizione; – poiché la Riva non aveva formulato una richiesta in tal senso, la Commissione non l’ha invitata a prendere parte all’audizione del 23 aprile 2018. 80 Alla luce di tali elementi, non si può ritenere che, astenendosi dall’invitare la Riva a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018, la Commissione abbia violato l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004. Non avendo chiesto di partecipare all’audizione, la Riva non doveva esservi invitata dalla Commissione. Le ricorrenti non possono quindi validamente dedurre una violazione delle disposizioni summenzionate che abbiano potuto pregiudicare la loro difesa. – Sulla situazione dei terzi che dimostrino un interesse sufficiente 81 L’audizione dei terzi interessati è disciplinata dall’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003. Tale disposizione prevede che, qualora persone fisiche o giuridiche chiedano di essere sentite, dimostrando di avervi un interesse sufficiente, la loro domanda è accolta. 82 L’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004 precisa quanto segue: – alle persone fisiche o giuridiche che chiedano di essere sentite e dimostrino di avervi un interesse sufficiente, la Commissione comunica per iscritto la natura e l’oggetto del procedimento; – essa assegna a tali persone un termine per la presentazione di osservazioni scritte; – essa può invitarle a sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione, sempre che esse lo richiedano nelle osservazioni scritte. 83 Nel caso di specie, l’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004 erano quindi destinati ad applicarsi, in particolare, a cinque entità la cui presenza era necessaria, secondo le ricorrenti, affinché l’audizione del 23 aprile 2018 fosse validamente organizzata, ossia, da un lato, la Federacciai, la Leali, la IRO e la Lucchini e, dall’altro, l’Ansfer. 84 In primo luogo, per quanto riguarda le prime quattro entità menzionate al punto 83 supra, occorre rilevare che queste ultime hanno rinunciato, in una fase anteriore del procedimento, a contestare la decisione che era stata loro indirizzata: – la Federacciai non ha depositato alcun ricorso di annullamento avverso la decisione del 2002; – la Leali, la IRO e la Lucchini non hanno impugnato le sentenze del 9 dicembre 2014, Leali e Acciaierie e Ferriere Leali Luigi/Commissione (T‑489/09, T‑490/09 e T‑56/10, non pubblicata, EU:T:2014:1039), del 9 dicembre 2014, IRO/Commissione (T‑69/10, non pubblicata, EU:T:2014:1030), e del 9 dicembre 2014 Lucchini/Commissione (T‑91/10, EU:T:2014:1033), che avevano respinto i loro ricorsi di annullamento avverso la decisione del 2009. 85 Pertanto, secondo la giurisprudenza, la decisione della Commissione adottata nei confronti di tali entità è divenuta definitiva per la parte che le riguarda e, di conseguenza, essendo il procedimento per loro concluso, esse non erano più parti del procedimento riaperto il 15 dicembre 2017 (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 1999, Commissione/AssiDomän Kraft Products e a., C‑310/97 P, EU:C:1999:407, punto 63). 86 In tali circostanze, le prime quattro entità di cui al punto 83 supra non disponevano di un diritto a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 nella qualità di parti del procedimento. 87 È certo vero che le prime quattro entità di cui al punto 83 supra avevano la possibilità di chiedere alla Commissione, dimostrando di avere un interesse sufficiente, di essere autorizzate a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 nella qualità di terzi interessati, conformemente alle disposizioni ricordate ai punti 81 e 82 supra. 88 Tuttavia, la Federacciai, la Leali e la IRO non hanno compiuto suddetto passaggio e, pertanto, non si può sostenere che la Commissione abbia potuto, in tale contesto, violare una qualsivoglia regola, con la conseguenza di aver potuto incidere sull’esercizio, da parte delle ricorrenti, dei loro diritti della difesa. 89 Di contro, va osservato che la Lucchini ha affermato, dal canto suo, di dover beneficiare dell’annullamento pronunciato dalla Corte nelle sue sentenze del 21 settembre 2017, Feralpi/Commissione (C‑85/15 P, EU:C:2017:709), del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), e del 21 settembre 2017, Riva Fire/Commissione (C‑89/15 P, EU:C:2017:713), benché non avesse proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Lucchini/Commissione (T‑91/10, EU:T:2014:1033). Sulla base di suddetto argomento, essa ha chiesto alla Commissione di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. Tale domanda, tuttavia, è stata presentata dalla Lucchini in qualità di parte del procedimento riaperto il 15 dicembre 2017, allo stesso titolo, in particolare, delle ricorrenti, e non già in qualità di terzo interessato. Siffatta domanda è stata giustamente respinta dalla Commissione per le ragioni esposte ai punti 84 e 85 supra (sentenza dell’8 maggio 2019, Lucchini/Commissione, T‑185/18, non pubblicata, EU:T:2019:298, punti 41 e 42). Essendosi vista negare la summenzionata possibilità nella qualità di parte nel procedimento, la Lucchini non ha fatto valere, in seguito, che essa poteva essere invitata all’audizione in qualità di terzo in possesso di un interesse sufficiente. 90 In tali circostanze, non si può ritenere che la Commissione, astenendosi dall’invitare, da un lato, la Federacciai e, dall’altro, la Leali, la IRO e la Lucchini a partecipare all’audizione, abbia violato una norma procedurale idonea ad incidere sull’esercizio, da parte delle ricorrenti, dei loro diritti della difesa. 91 In secondo luogo, per quanto riguarda la quinta entità menzionata al punto 83 supra, ossia l’Ansfer, le ricorrenti ritengono che essa avrebbe dovuto essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018, alla luce delle informazioni da essa detenute e che erano tali da influenzare le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, relativamente alla conoscenza che esse avevano del fascicolo. 92 A sostegno della loro posizione, le ricorrenti deducono tre argomenti. 93 In primo luogo, esse sostengono che, con ogni probabilità, se l’Ansfer fosse stata informata dalla Commissione della riapertura del procedimento, essa avrebbe partecipato all’audizione del 23 aprile 2018, come aveva fatto per l’audizione del 13 giugno 2002. 94 A questo proposito, occorre rammentare in che modo è stato avviato nel 2002 il procedimento a carico delle ricorrenti e delle altre imprese allora interessate. 95 Come indicato dalla Commissione nella sua risposta ai quesiti del Tribunale e all’udienza senza essere contraddetta dalle ricorrenti, l’avvio di cui trattasi è avvenuto il 26 marzo 2002, seguito dalla notifica alle parti interessate della comunicazione degli addebiti, conformemente all’articolo 36 CA. 96 Pertanto, l’avvio di cui trattasi non è stato accompagnato da alcuna misura di pubblicità, giacché la normativa non prescriveva che la Commissione rendesse pubblica la decisione di avviare un procedimento amministrativo, l’adozione di una comunicazione degli addebiti o quella, come nel caso di specie, di una comunicazione degli addebiti supplementari. 97 Il modo di procedere non è stato diverso dopo che il Tribunale ebbe pronunciato la sentenza del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317), e che la Corte ebbe pronunciato la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717). 98 Dopo aver esaminato le sentenze indicate al punto 97 supra, la Commissione ha informato le ricorrenti, per la prima volta con lettera del 30 giugno 2008 e per seconda con lettera del 15 dicembre 2017, della sua intenzione di «riprendere» il procedimento. 99 In particolare, la seconda lettera è stata notificata alle imprese destinatarie della decisione impugnata, ma non è stata comunicata ad alcun’altra persona o entità, così come non è stata oggetto di alcuna misura di pubblicità. 100 Secondo le ricorrenti, la Commissione era tenuta ad informare il pubblico della riapertura del procedimento dopo l’annullamento della decisione del 2009 e, se tale obbligo fosse stato rispettato nel caso di specie, l’Ansfer sarebbe stata informata e avrebbe potuto chiedere di partecipare alla nuova audizione. 101 A tal riguardo, occorre notare che nessuna norma impone alla Commissione di rendere pubblica la riapertura di un procedimento a seguito dell’annullamento di una delle sue decisioni con sentenza della Corte o del Tribunale. 102 In effetti, una simile riapertura del procedimento avviene nell’ambito dell’esecuzione di una sentenza di annullamento. 103 Orbene, l’articolo 266 TFUE vincola l’istituzione dalla quale promana l’atto annullato soltanto nei limiti di quanto necessario per garantire l’esecuzione della sentenza di annullamento. In tal senso, detta disposizione impone all’istituzione interessata di evitare che qualsiasi atto destinato a sostituire l’atto annullato sia inficiato dalle stesse irregolarità individuate nella sentenza stessa. Le istituzioni dispongono comunque di un ampio potere discrezionale per decidere i provvedimenti da attuare al fine di trarre le conseguenze da una sentenza di annullamento o d’invalidità, fermo restando che tali provvedimenti devono essere compatibili con il dispositivo della sentenza di cui trattasi e con la motivazione, che ne costituisce il sostegno necessario. Fatta salva l’ipotesi in cui l’illegittimità accertata abbia determinato la nullità di tutto il procedimento, le istituzioni interessate possono, al fine di adottare un atto volto a sostituire un precedente atto annullato o dichiarato invalido, riaprire il procedimento alla fase in cui tale illegittimità si è verificata (v. sentenza dell’11 dicembre 2017, Léon Van Parys/Commissione, T‑125/16, EU:T:2017:884, punti 49 e 52 e giurisprudenza ivi citata). 104 Al termine della valutazione effettuata dalla Commissione in siffatto contesto, essa può quindi decidere di riprendere il procedimento, come ha fatto nella presente causa, così come può abbandonare il procedimento ove ritenga che il fascicolo possa essere chiuso oppure, se reputa necessarie misure di indagine, può avviare un nuovo procedimento, idoneo, in tal caso, a condurre alla notifica di una nuova comunicazione degli addebiti alle imprese destinatarie ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003. 105 Nel caso di specie, la Commissione, avendo effettuato detta valutazione, ha deciso di riprendere il procedimento a partire dal punto in cui esso era stato interrotto, come consentito dalla giurisprudenza menzionata ai punti 47 e 48 supra. 106 Nel corso dell’udienza, le parti hanno discusso della comunicazione della Commissione del 20 ottobre 2011 sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6) (v., in particolare, il suo punto 20), nella quale la Commissione si è impegnata, da un lato, a pubblicare l’avvio di ciascun procedimento di applicazione delle disposizioni in parola sul sito web della sua Direzione generale della Concorrenza e, dall’altro, a diramare un comunicato stampa al riguardo, tranne quando tali misure di pubblicità siano idonee a pregiudicare lo svolgimento dell’indagine. 107 Tuttavia, la comunicazione di cui trattasi non imponeva nel caso di specie alla Commissione di attuare gli impegni indicati al punto 106 supra. Infatti, in assenza di disposizioni esplicite in tal senso, non occorre estendere la portata di detti impegni quando la Commissione riprende un procedimento a partire dalla fase di un’audizione precedentemente tenuta in modo irregolare, che è la fase in cui siffatto procedimento è stato interrotto, come deciso dalla Commissione nella fattispecie nel contesto dell’esecuzione della sentenza di annullamento della Corte, situazione che si distingue da quella dell’avvio del procedimento previsto nella comunicazione in parola. 108 L’argomento deve pertanto essere respinto. 109 In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che, per la determinazione dei terzi da invitare all’audizione, l’Ansfer non poteva essere considerata come un semplice membro del pubblico, ma aveva lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004. 110 A sostegno della loro posizione, le ricorrenti ricordano che lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» era stato riconosciuto nel 2002 all’Ansfer dal consigliere auditore, circostanza che aveva consentito la partecipazione di tale associazione all’audizione del 13 giugno 2002. 111 Poiché, dunque, disponeva dello status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente», l’Ansfer non può averlo perso nel frattempo e avrebbe dovuto essere invitata a partecipare, a detto titolo, all’audizione del 23 aprile 2018. 112 A detto proposito, occorre rilevare che l’argomento delle ricorrenti relativo al mantenimento dello status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» è conforme alla posizione difesa dalla Commissione sulla continuità esistente tra le fasi del procedimento amministrativo, anche se quest’ultimo è stato interrotto da procedimenti giurisdizionali che hanno dato luogo a sentenze di annullamento. 113 In siffatta prospettiva, sarebbe legittimo ritenere che un soggetto cui sia stato riconosciuto lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» in una fase precedente del procedimento abbia potuto conservarlo durante tutto il procedimento, anche se quest’ultimo ha potuto essere interrotto da un procedimento giurisdizionale che ha dato luogo a un annullamento pronunciato dal giudice dell’Unione. 114 Occorre quindi stabilire se, nel caso di specie, essendosi vista riconoscere lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» in un determinato momento del procedimento, l’Ansfer abbia potuto conservare tale status per tutta la durata di quest’ultimo e avrebbe dovuto essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018 o, quanto meno, essere informata della riapertura del procedimento per consentirle di manifestare il proprio interesse e, pertanto, di essere invitata, se del caso, a partecipare a detta audizione. 115 A tal riguardo, si deve constatare che, come risulta dal fascicolo, senza che ciò sia contestato dalle ricorrenti, l’interesse manifestato dall’Ansfer a partecipare al procedimento non è stato conservato per tutta la durata di quest’ultimo. 116 Infatti, ricapitolando le fasi che si sono succedute, la Commissione ha precisato, all’udienza, senza essere contraddetta dalle ricorrenti, in risposta ai quesiti posti dal Tribunale, che: – nel 2002 l’Ansfer aveva appreso l’avvio del procedimento attraverso informazioni apparse sulla stampa italiana; – sulla base di suddette informazioni, l’Ansfer aveva chiesto alla Commissione di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 13 giugno 2002 facendo valere che poteva dimostrare, a tal fine, l’esistenza, per quanto la riguardava, di un interesse sufficiente; – invitata a partecipare, l’Ansfer si era presentata a detta audizione, dove, senza che il suo rappresentante vi prendesse la parola, aveva presentato osservazioni scritte; – su tale base, quest’ultima era stata invitata a partecipare alla seconda audizione del 30 settembre 2002, relativa alle conseguenze della scadenza del Trattato CECA sul procedimento; – tuttavia, essa non aveva risposto all’invito in parola e non si era neppure presentata nel corso di tale audizione; – non avendo l’Ansfer risposto all’invito alla nuova audizione che le era stato trasmesso e non essendosi presentata alla stessa, la Commissione aveva ritenuto che quest’ultima non intendesse più partecipare al seguito del procedimento e non dovesse quindi essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018; – in siffatto contesto, la Commissione aveva tenuto conto del fatto che, da un lato, la partecipazione dell’Ansfer durante l’audizione del 13 giugno 2002 si era limitata alla presentazione di osservazioni scritte, senza presa di parola, e che, dall’altro, che le suddette osservazioni erano state versate agli atti. 117 Orbene, in forza della normativa, i terzi possono partecipare ad un’audizione organizzata in un procedimento relativo all’applicazione delle regole di concorrenza, ma, a tal fine, essi devono comunicare simile desiderio alla Commissione e dimostrare a quest’ultima di presentare un interesse sufficiente a consentire loro di parteciparvi (v. punti 81 e 82 supra). 118 Inoltre, occorre considerare che, qualora a un terzo sia stato riconosciuto lo status di «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» nel corso di un procedimento amministrativo che è stato interrotto da un sindacato giurisdizionale al termine del quale il giudice dell’Unione ha pronunciato un annullamento, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità per decidere se tale terzo conservi un interesse sufficiente a far conoscere il proprio punto di vista. Infatti, la garanzia dei diritti della difesa non impone che la Commissione, quando riapre il suddetto procedimento, proceda all’audizione di terzi che non dispongono più di un siffatto interesse sufficiente (v., per analogia, sentenze del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 406, e dell’11 luglio 2019, Silver Plastics e Johannes Reifenhäuser/Commissione, T‑582/15, non pubblicata, EU:T:2019:497, punto 202 e giurisprudenza ivi citata). 119 Nell’interesse di una buona amministrazione, occorre infatti evitare una moltiplicazione di intervenienti garantendo al contempo la partecipazione di coloro che possono fornire un effettivo contributo, a carico o a discarico, all’analisi del fascicolo e al rispetto dei diritti della difesa, in modo da garantire che il parere sia emesso dal comitato consultivo e che la decisione sia adottata dalla Commissione con piena cognizione di causa e nel rispetto delle garanzie procedurali. 120 È al termine di tale valutazione che, nella fattispecie, l’Ansfer è stata invitata come «terzo che dimostri di avere un interesse sufficiente» a partecipare all’audizione del 13 giugno 2002 e a quella del 30 settembre 2002. 121 Successivamente, considerata l’assenza di risposta dell’Ansfer all’invito a partecipare alla seconda audizione del 30 settembre 2002 e della sua mancata partecipazione a tale audizione, la Commissione, senza commettere errori, ha potuto considerare che quest’ultima aveva rinunciato ad intervenire nel prosieguo del procedimento o, quanto meno, non intendeva sviluppare ulteriormente i suoi argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018 e che il suo contributo, già inserito nel fascicolo e ripreso successivamente nel progetto della decisione impugnata, non motivava la circostanza di informarla della riapertura del procedimento per consentirle di manifestare nuovamente il suo interesse ed essere così invitata, eventualmente, a partecipare a detta audizione. 122 L’argomento deve quindi essere respinto. 123 In terzo luogo, le ricorrenti sostengono di avere, nella loro lettera del 1º febbraio 2018, attirato l’attenzione della Commissione sul fatto che il procedimento non poteva essere validamente riaperto, dal momento che non tutti i soggetti presenti nel 2002 avrebbero potuto essere presenti alla nuova audizione, con la conseguenza di fornire solo una visione parziale del caso alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, i cui rappresentanti sono incaricati di esprimere un’opinione per consentire al comitato consultivo di emettere il proprio parere conformemente alla normativa. 124 A tal riguardo, occorre rilevare che, così formulata, una siffatta osservazione non può essere considerata come una domanda rivolta alla Commissione e diretta a ottenere che quest’ultima invitasse all’audizione l’Ansfer o altri terzi in applicazione dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004, che consente alle parti di proporre nelle loro osservazioni scritte «che la Commissione senta le persone in grado di confermare i fatti esposti nelle osservazioni». 125 Come sottolineato dalla Commissione, spettava alle ricorrenti, se ritenevano che l’intervento dell’Ansfer fosse necessario, o anche solo utile, per la difesa dei loro argomenti, informare tale associazione della riapertura del procedimento affinché essa si manifestasse presso la Commissione oppure chiedere a quest’ultima, in modo specifico, di invitare suddetta entità. 126 Orbene, le ricorrenti, nelle loro risposte scritte ai quesiti del Tribunale, hanno ammesso di non aver intrapreso alcuna iniziativa in tal senso presso la Commissione o presso l’Ansfer. 127 Occorre aggiungere che, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri possono chiedere alla Commissione di sentire terzi, qualora lo ritengano opportuno. 128 Nulla impediva alle ricorrenti di suggerire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018, o prima di quest’ultima, di chiedere alla Commissione di ascoltare l’Ansfer. 129 Orbene, le ricorrenti non hanno proceduto in tal senso presso le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, né tantomeno, dal canto loro, le suddette autorità hanno chiesto alla Commissione di sentire l’Ansfer. 130 Di conseguenza, poiché Ansfer non disponeva più di un interesse sufficiente a far conoscere il proprio punto di vista al momento della ripresa del procedimento (v. punti da 112 a 122 supra), e poiché nessuna richiesta di essere sentita è stata presentata alla Commissione, a quest’ultima non può essere validamente addebitato di non averla invitata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. 131 L’argomento dev’essere quindi respinto. – Sulla situazione degli altri terzi 132 Nella misura in cui gli argomenti addotti dalle ricorrenti possono essere interpretati come a ciò riferiti, occorre notare che il regolamento prevede, per l’organizzazione delle audizioni, una terza situazione, riguardante i terzi che non dispongono di un interesse sufficiente ai sensi dei punti 81 e 82 supra. 133 L’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004 prevede la possibilità di invitare qualsiasi persona fisica o giuridica diversa dalle imprese oggetto del procedimento o dai terzi che dimostrino un tale interesse, a presentare osservazioni scritte e ad assistere, se del caso, all’audizione. Oltre a poter essere autorizzate ad assistervi, siffatte persone possono essere invitate ad esprimersi nel corso dell’audizione. 134 Questa era proprio la situazione in cui si trovava l’Ansfer, dato che, come è stato accertato, la Commissione ha potuto considerare che tale associazione non disponeva più di un interesse sufficiente a far conoscere il proprio punto di vista al momento della ripresa del procedimento (v. punti da 112 a 122 supra). 135 Orbene, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità per stabilire se la partecipazione di terzi non interessati possa essere utile nel dibattito, fermo restando che la garanzia dei diritti della difesa delle ricorrenti non impone, in ogni caso, che la Commissione proceda alle audizioni richieste (v., in tal senso, la giurisprudenza citata al punto 118 supra). 136 Pertanto, nel caso di specie la Commissione, senza commettere errori, ha potuto considerare che, per le ragioni esposte ai punti da 112 a 122 supra, invitare l’Ansfer all’udienza del 23 aprile 2018 non avrebbe apportato alcun elemento nuovo al dibattito. 137 Ciò considerato, non si può validamente contestare alla Commissione di aver violato, omettendo di invitare altri terzi all’audizione del 23 aprile 2018, una norma procedurale che avrebbe potuto incidere sull’esercizio dei loro diritti della difesa da parte delle ricorrenti. 138 L’argomento deve quindi essere respinto. 139 Alla luce degli elementi che precedono, si può concludere che la Commissione non ha violato norme procedurali relative all’audizione di altre persone o entità e, di conseguenza, che l’esercizio dei diritti della difesa fatti valere dalle ricorrenti non ha potuto essere in alcun modo ostacolato dalla violazione di tali norme. 140 Ad ogni buon conto, si deve rilevare che le ricorrenti non hanno dimostrato di essere state ostacolate nell’esercizio dei loro diritti della difesa a prescindere dalla violazione di una norma, a causa dell’assenza di un’impresa o di un terzo durante l’audizione organizzata ai fini dell’adozione della decisione impugnata. 141 La censura in esame va pertanto respinta. Sulla terza censura, relativa all’impossibilità, per la Commissione, di porre rimedio al vizio procedurale censurato dalla Corte 142 Le ricorrenti sostengono, in sostanza, che fosse impossibile rimediare al vizio procedurale censurato dalla Corte. A causa del periodo trascorso, i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato erano tali, a loro avviso, che nessuna audizione poteva ancora essere organizzata a condizioni identiche o, quantomeno, equivalenti a quelle esistenti nel 2002. 143 A tal riguardo, occorre rilevare che, a causa dell’ampiezza di compiti che essi comportano, il contesto nel quale sono organizzati i procedimenti di concorrenza è inevitabilmente alterato dal decorso del tempo. 144 In un contesto siffatto, in cui la concorrenza comporta costantemente modifiche dei soggetti, dei prodotti e delle quote di mercato, la possibilità che simili cambiamenti rendano impossibile, di per sé soli, l’adozione di una nuova decisione pregiudicherebbe, per sua natura stessa, la possibilità per la Commissione di riprendere un procedimento al fine di applicare le regole di concorrenza in esecuzione della missione affidatale dai Trattati. 145 Quando la Commissione decide di riaprire un procedimento a seguito di un annullamento di una delle sue decisioni da parte di una sentenza della Corte o del Tribunale, essa deve tuttavia procedere ad una valutazione destinata a determinare, alla luce delle circostanze esistenti al momento della riapertura, e in particolare degli effetti che possono aver potuto risultare dal decorso del tempo, se la prosecuzione del procedimento appaia ancora una soluzione adeguata alla situazione, cosa che essa ha fatto nel caso di specie, come spiegato in risposta alla prima censura del secondo motivo dedotto dalle ricorrenti a sostegno del ricorso (v. punti da 149 a 173 infra). 146 La censura dev’essere quindi respinta e, pertanto, il primo motivo nel suo complesso. Sul secondo motivo, vertente sul rifiuto illegittimo della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale decisione con il principio del termine ragionevole del procedimento 147 Le ricorrenti sostengono che la Commissione non abbia verificato in modo giuridicamente sufficiente se la decisione impugnata potesse essere adottata, laddove, a loro avviso, vi ostava il principio del termine ragionevole, sancito all’articolo 41 della Carta. Da un lato, esse addebitano alla Commissione un errore di diritto al riguardo. Dall’altro, esse lamentano che la Commissione non avrebbe rispettato l’obbligo di motivazione ad essa incombente. 148 La Commissione contesta l’argomentazione delle ricorrenti. Sulla prima censura, vertente su un errore di diritto 149 Le ricorrenti ritengono che la Commissione, rifiutandosi di valutare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità dell’adozione di tale decisione con il principio del termine ragionevole, abbia violato l’articolo 41 della Carta. 150 A tal riguardo, occorre rilevare che, come sottolineato dalle ricorrenti, la Commissione è tenuta a rispettare il principio del termine ragionevole ripreso all’articolo 41 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 179, e del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 285). 151 Pertanto, il decorso del termine deve essere preso in considerazione quando, avvalendosi del potere discrezionale conferitole dal diritto dell’Unione, la Commissione valuta se, nell’applicazione delle regole di concorrenza, occorra avviare azioni e adottare una decisione. 152 Dalla decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non ha violato l’obbligo di tener conto della scadenza del termine quando valuta se debbano essere avviate siffatte azioni e adottata una decisione sanzionatoria. La decisione impugnata mostra, infatti, che tale istituzione ha esaminato, prima di pronunciarsi, se, nel caso di specie, il procedimento potesse essere riaperto e se esso potesse sfociare nell’adozione di una siffatta decisione, imponendo un’ammenda. 153 Pertanto, la Commissione ha analizzato, in diversi passaggi della decisione impugnata, da un lato, se il procedimento che aveva portato all’adozione di quest’ultima fosse stato condotto in modo soddisfacente per quanto riguarda i termini e, dall’altro, se si dovessero trarre conseguenze dalla durata delle fasi che avevano portato a tale adozione. 154 Ad esempio, la Commissione ha rilevato che, secondo l’analisi che essa aveva potuto effettuare, da un lato, le attività di indagine erano state svolte con diligenza e, dall’altro, le interruzioni intervenute nel corso del procedimento amministrativo erano dovute al sindacato giurisdizionale (punti 528 e 555 della decisione impugnata). 155 In tale contesto, la Commissione ha riconosciuto che, come affermato dal Tribunale e dalla Corte nelle sentenze del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317), e del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), essa aveva commesso taluni errori procedurali. Tuttavia, essa ha fatto valere che detti errori, che avevano potuto prolungare la durata del procedimento, erano dovuti all’incertezza giuridica in cui si era trovata a seguito della scadenza del trattato CECA (punto 555 della decisione impugnata). 156 Allo stesso modo, la Commissione ha ammesso che, a seguito degli errori procedurali che erano stati commessi, le diverse fasi succedutesi avevano potuto condurre, per il procedimento considerato nel suo complesso – fasi amministrative e interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse – a una durata «oggettivamente» lunga (punto 528 della decisione impugnata). 157 La Commissione ha aggiunto, nell’ambito di tale valutazione, che, a suo avviso, la lunghezza di cui trattasi non superava i termini considerati accettabili alla luce della giurisprudenza (punto 528 della decisione impugnata). 158 A titolo complementare, la Commissione ha indicato che, in forza della giurisprudenza, una durata contraria al principio del termine ragionevole non poteva comportare, di per sé sola, l’annullamento di una decisione. Infatti, secondo la Corte, un risultato del genere potrebbe essere raggiunto solo se la durata irragionevole avesse pregiudicato i diritti della difesa compromettendo la facoltà, per le imprese interessate, di raccogliere le prove e di presentare i loro argomenti. Orbene, secondo la Commissione, le ricorrenti non avevano dimostrato che ciò fosse avvenuto nel caso di specie (punti 556 e 557 della decisione impugnata). 159 Peraltro, la Commissione ha indicato, al punto 536 della decisione impugnata, che, alla luce della normativa applicabile, e conformemente alla giurisprudenza elaborata in materia, essa aveva il potere di adottare una nuova decisione. 160 La Commissione ha ammesso che l’adozione di una nuova decisione doveva essere preceduta da un esame volto, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutole in materia di repressione delle infrazioni al diritto della concorrenza, a effettuare un bilanciamento tra, da un lato, l’interesse pubblico a garantire l’effettiva applicazione delle regole di concorrenza e, dall’altro, quello delle parti ad ottenere una decisione entro un termine ragionevole e la mitigazione delle possibili conseguenze degli errori eventualmente commessi durante il procedimento (punti 536 e 559 della decisione impugnata). 161 Nel caso di specie, la Commissione ha effettuato un simile bilanciamento, concludendo, alla luce della gravità dell’infrazione constatata, da un lato, che era necessario adottare una decisione e, dall’altro, che doveva essere inflitta una sanzione alle imprese destinatarie (punti da 560 a 568 della decisione impugnata). 162 Infine, la Commissione ha ridotto l’importo dell’ammenda conformemente al suggerimento formulato dal consigliere-auditore, in modo da mitigare, in una certa misura (50%), le conseguenze negative che avrebbero potuto risultare, per le imprese interessate, dalla lunghezza del procedimento e dagli errori procedurali commessi (punti da 570 a 573 della decisione impugnata). 163 Pertanto, dalla decisione impugnata risulta che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione ha verificato, prima di adottare tale decisione, se il principio del termine ragionevole fosse stato rispettato, analizzando la lunghezza del procedimento amministrativo, fasi amministrative e interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, le cause che potevano spiegare la durata del procedimento e le conseguenze che potevano esserne tratte. 164 Tale conclusione è contestata dalle ricorrenti, secondo le quali la Commissione, nella decisione impugnata, ha rifiutato di pronunciarsi sulla lunghezza irragionevole del procedimento con la motivazione che tale valutazione doveva essere riservata al giudice dell’Unione senza che essa potesse pronunciarsi al riguardo. 165 A tal riguardo, occorre rilevare che al giudice dell’Unione possono essere sottoposte questioni relative alla durata di procedimenti. Nel contenzioso in materia di responsabilità, esso deve condannare le istituzioni, gli organi o gli organismi dell’Unione laddove questi ultimi abbiano causato un danno violando il principio del termine ragionevole (sentenze del 26 novembre 2013, Kendrion/Commissione, C‑50/12 P, EU:C:2013:771, punto 94, e dell’11 luglio 2019, Italmobiliare e a./Commissione, T‑523/15, non pubblicata, EU:T:2019:499, punto 159). Nel contenzioso di annullamento, la durata di un procedimento può avere come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata se due condizioni sono soddisfatte in modo cumulativo, la prima delle quali è che siffatta durata appaia essere stata irragionevole e la seconda che il superamento del termine ragionevole abbia ostacolato i diritti della difesa (sentenze del 21 settembre 2006, Technische Unie/Commissione, C‑113/04 P, EU:C:2006:593, punti 47 e 48; dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punti 84 e 85, e del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione, C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punti da 74 a 76). 166 Come segnalato dalle ricorrenti, la competenza così attribuita al giudice dell’Unione non può dispensare la Commissione dalla valutazione che essa deve effettuare al momento di determinare il seguito da dare a una sentenza di annullamento in applicazione dell’articolo 266 TFUE. 167 Come è stato indicato, la Commissione deve prendere in considerazione, quando effettua una siffatta valutazione, il complesso degli elementi della causa, in particolare l’opportunità di adottare una nuova decisione, quella di infliggere una sanzione e quella, se del caso, di ridurre la sanzione prevista qualora risulti, segnatamente, che, senza costituire di per sé un inadempimento colpevole, la durata del procedimento, in quanto ha comportato fasi amministrative ma anche, eventualmente, interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale, può aver influito sugli elementi di cui tenere conto per fissare l’importo dell’ammenda, e in particolare sul suo eventuale effetto deterrente quando essa viene irrogata molto tempo dopo i fatti che costituiscono l’infrazione. 168 Tale valutazione, vertente in particolare sulla durata complessiva del procedimento, fasi giurisdizionali incluse, è stata principalmente effettuata al punto 528 della decisione impugnata. 169 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione ha verificato, nella decisione impugnata, se la durata del procedimento potesse ostare alla riapertura del procedimento pur riconoscendo che una siffatta valutazione era posta sotto il controllo del giudice dell’Unione nel contenzioso in materia di legittimità e, se del caso, di responsabilità. 170 Nel ricorso, le ricorrenti invocano l’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), relativamente all’obbligo, che incomberebbe alla Commissione, di verificare, prima di adottare una nuova decisione, se tale adozione sarebbe conforme al principio del termine ragionevole. 171 A tal riguardo, occorre rilevare che, al pari dell’articolo 47 della Carta, pure invocato dalle ricorrenti, l’articolo 6 della CEDU comporta l’obbligo di rispettare il principio del termine ragionevole nei procedimenti giurisdizionali. 172 Nel caso di specie, l’articolo 6 della CEDU e l’articolo 47 della Carta non possono in ogni caso incidere sulla soluzione da dare alla controversia per quanto riguarda il motivo qui esaminato, dato che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione ha proceduto, di fatto, come risulta dalla decisione impugnata, alla verifica cui fa riferimento l’argomentazione da esse sviluppata. 173 La censura in esame deve pertanto essere respinta. Sulla seconda censura, vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione 174 Le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver violato l’obbligo di motivazione in quanto non ha spiegato in modo giuridicamente sufficiente i motivi per i quali riteneva di non essere tenuta a valutare il rispetto del principio del termine ragionevole. 175 A tal riguardo, si deve dichiarare che la censura è infondata in fatto. 176 Invero, come dichiarato in risposta alla prima censura del presente motivo, la Commissione non ha rifiutato di verificare, nella decisione impugnata, la compatibilità dell’adozione di quest’ultima con il principio del termine ragionevole. 177 Al contrario, dalla risposta alla prima censura emerge che essa ha proceduto a tale verifica in modo giuridicamente sufficiente concludendo che nessuna considerazione poteva ostare alla riapertura del procedimento, all’adozione di una nuova decisione e all’irrogazione di un’ammenda. 178 La seconda censura deve pertanto essere respinta e, di conseguenza, il secondo motivo nel suo complesso. Sul terzo e, in parte, sul quarto motivo, entrambi vertenti sulla violazione del principio del termine ragionevole del procedimento 179 A sostegno del terzo motivo, le ricorrenti deducono che la decisione impugnata deve essere annullata, giacché è stata adottata al termine di un procedimento che avrebbe oltrepassato il termine ragionevole. A loro avviso, la durata eccessiva del procedimento comporta l’effetto che la Commissione non disponesse più del potere sanzionatorio e che la decisione impugnata sia, pertanto, illegittima anche per eccesso di potere. L’argomentazione sviluppata a sostegno del terzo motivo compare altresì, in parte, nel quarto motivo. In sostanza, le ricorrenti deducono tre censure, riguardanti rispettivamente la durata delle fasi amministrative, la durata complessiva del procedimento e l’effetto, sui diritti della difesa, della lunghezza del procedimento, tutte respinte dalla Commissione. 180 Prima di esaminare tali censure, si deve ricordare che, secondo la Corte, la durata del procedimento può comportare l’annullamento di una decisione impugnata se ricorrono cumulativamente due condizioni, la prima, che la durata del procedimento appaia irragionevole e, la seconda, che il superamento del termine ragionevole abbia impedito l’esercizio dei diritti della difesa (v. punto 165 supra). 181 Ne consegue che una decisione della Commissione non potrebbe essere annullata per il solo motivo del superamento del termine ragionevole qualora tale superamento non abbia pregiudicato i diritti della difesa delle ricorrenti. Pertanto, l’argomento delle ricorrenti secondo cui il mero superamento del termine ragionevole avrebbe dovuto indurre la Commissione a rinunciare ad adottare la decisione impugnata deve essere respinto de plano. 182 Per l’analisi del motivo, il Tribunale esaminerà la prima condizione, considerando in successione la durata delle fasi amministrative (prima censura) e la durata complessiva del procedimento amministrativo, incluse le interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale (seconda censura). Successivamente, esso analizzerà, a titolo della seconda condizione, se l’esercizio dei diritti della difesa delle ricorrenti sia stato ostacolato (terza censura). Sulla prima censura, relativa alla durata delle fasi amministrative 183 Le ricorrenti sostengono che, essendo scaglionata su oltre sei anni, la durata delle fasi amministrative si è rivelata contraria al principio del termine ragionevole. Esse criticano, in particolare, la lentezza con cui la Commissione ha reagito agli annullamenti pronunciati in successione dal Tribunale e dalla Corte: – tra la pronuncia della sentenza del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317), e l’adozione della decisione del 2009, vale a dire nel corso di oltre due anni, la Commissione si sarebbe limitata ad inviare la lettera del 30 giugno 2008 menzionata al punto 10 supra, annunciando la riapertura del procedimento, nonché talune richieste di informazioni e non vi sarebbe stata, durante tale periodo, né una nuova comunicazione degli addebiti né una nuova audizione, sebbene fosse facile per la Commissione correggere il vizio che aveva invalidato la decisione annullata, dato che detto vizio era stato chiaramente identificato dal Tribunale; – analogamente, tra la sentenza del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717), e l’adozione della decisione impugnata, ossia per un anno e nove mesi, l’attività svolta dalla Commissione si sarebbe limitata all’invio della lettera del 15 dicembre 2017 che annunciava la riapertura del procedimento, a quello delle lettere che annunciavano e spiegavano l’audizione del 23 aprile 2018 nonché a talune limitate richieste di informazioni in merito al fatturato delle ricorrenti. 184 Secondo le ricorrenti, la lunghezza di tali fasi è ingiustificabile alla luce della giurisprudenza: – nella causa decisa con la sentenza del 16 giugno 2011, Bavaria/Commissione (T‑235/07, EU:T:2011:283, punto 323), una durata di 20 mesi a titolo della seconda fase amministrativa, che andava dalla ricezione della comunicazione degli addebiti all’adozione della decisione controversa in tale causa, sarebbe stata giudicata irragionevole; – nella causa decisa con la sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582), il procedimento di riadozione sarebbe durato soltanto dieci mesi; – peraltro, il procedimento di riadozione sarebbe durato meno di otto mesi nella causa Solvay/Commissione (conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 242), nove mesi nella causa decisa con la sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione (C‑414/12 P, EU:C:2014:301), tre mesi nella causa decisa con la sentenza del 12 febbraio 2019, Printeos/Commissione (T‑201/17, EU:T:2019:81), e quattro mesi nella causa decisa con la sentenza del 18 ottobre 2018, GEA/Commissione (T‑640/16, EU:T:2018:700). 185 A tal riguardo, occorre ricordare che il diritto dell’Unione impone alle istituzioni di trattare entro un termine ragionevole i casi nell’ambito dei procedimenti amministrativi da esse condotti (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 284). 186 Infatti, l’obbligo di osservare un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto ripreso, in particolare, dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta (sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 167; dell’11 aprile 2006, Angeletti/Commissione, T‑394/03, EU:T:2006:111, punto 162, e del 7 giugno 2013, Italia/Commissione, T‑267/07, EU:T:2013:305, punto 61). 187 Nel caso di specie, dal fascicolo risulta che quattro fasi, durate complessivamente sei anni e un mese, si sono succedute dinanzi alla Commissione nel corso della trattazione del caso: – una prima fase, durata un anno e cinque mesi, ha separato le prime misure di indagine dall’invio della comunicazione degli addebiti alla Federacciai e alle imprese interessate; – le tre fasi successive sono quelle che hanno condotto, rispettivamente, all’adozione della decisione del 2002, di quella del 2009 e della decisione impugnata, ciascuna delle quali è durata, rispettivamente, nove mesi, due anni e un mese e un anno e nove mesi. 188 Secondo la giurisprudenza, il carattere ragionevole del termine deve essere valutato prendendo in considerazione le circostanze proprie di ciascun caso di specie e, segnatamente, la rilevanza della controversia per l’interessato, la complessità del caso nonché il comportamento della parte ricorrente e quello delle autorità competenti (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 187 e 188). 189 Pertanto, anche supponendo che, in altri casi, la fase amministrativa che ha seguito l’annullamento di una decisione della Commissione da parte del giudice dell’Unione, nell’ambito di un procedimento riaperto per adottare una nuova decisione, sia stata più breve che nelle circostanze del caso di specie, come sostengono le ricorrenti, ciò non consentirebbe, di per sé, di concludere nel senso della violazione del principio del termine ragionevole. 190 Infatti, occorre esaminare la ragionevolezza del termine considerando le circostanze proprie di ciascun caso di specie alla luce, in particolare, dei criteri menzionati al punto 188 supra. 191 In primo luogo, per quanto riguarda la rilevanza della controversia per l’interessato, occorre ricordare che, in caso di controversia riguardante un’infrazione al diritto della concorrenza, il precetto fondamentale della certezza del diritto, sulla quale gli operatori economici devono poter contare, nonché l’obiettivo di garantire che la concorrenza non sia falsata sul mercato interno presentano un rilevante interesse non solo per le parti ricorrenti e per i loro concorrenti, bensì anche per i terzi, in ragione del vasto numero di persone coinvolte e degli interessi economici in gioco (v. sentenza del 1° febbraio 2017, Aalberts Industries/Unione europea, T‑725/14, EU:T:2017:47, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). 192 Nel caso di specie, la Commissione ha constatato nella decisione impugnata che le ricorrenti avevano violato l’articolo 65, paragrafo 1, CA, partecipando, dal 6 dicembre 1989 al 27 giugno 2000, a un accordo continuato o a pratiche concertate riguardanti il tondo per cemento armato aventi per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite nel mercato interno. 193 Sulla base di tale constatazione, la Commissione ha inflitto alle ricorrenti, condannate in solido, un’ammenda di EUR 5,125 milioni. 194 Tenendo conto di tali elementi, è lecito ritenere che la rilevanza del caso fosse notevole per le ricorrenti. 195 In secondo luogo, per quanto concerne la complessità del caso, si deve rilevare che gli errori in cui è incorsa la Commissione riguardano le conseguenze che occorreva trarre, per il procedimento, dalla scadenza del Trattato CECA. 196 Orbene, occorre ricordare che le questioni connesse alle norme applicabili ai fatti in discussione, sia per quanto riguarda il merito sia per quanto riguarda il procedimento, a causa della scadenza del Trattato CECA, presentavano, come indicato dalla Commissione, una certa complessità. 197 Inoltre, l’intesa ha coperto un periodo relativamente lungo (10 anni e 7 mesi), ha coinvolto un numero significativo di attori (8 imprese, comprendenti in totale 11 società, e un’associazione di categoria) e ha comportato un volume imponente di documenti forniti o ottenuti nel corso delle ispezioni (circa 20 000 pagine). 198 Alla luce di tali elementi, il caso deve essere considerato complesso. 199 In terzo luogo, per quanto concerne il comportamento delle parti, va constatato che la Commissione ha svolto un’attività continua a causa dei numerosi solleciti che le pervenivano dalle parti del procedimento amministrativo. 200 Così, la Commissione ha dovuto esaminare, nel contesto dell’adozione della decisione impugnata, numerose lettere, mentre al contempo doveva preparare l’audizione del 23 aprile 2018 e verificare una proposta di transazione presentata da talune parti del procedimento amministrativo il 4 dicembre 2018. 201 Da tali elementi considerati nel loro complesso risulta che la durata delle fasi amministrative del procedimento non appare irragionevole alla luce delle circostanze proprie del caso di specie e, in particolare, della sua complessità, in un contesto in cui nessun periodo di inerzia ingiustificata può essere addebitato alla Commissione nel corso delle tappe che hanno punteggiato le suddette fasi amministrative. 202 La censura in esame deve pertanto essere respinta. Sulla seconda censura, relativa alla durata complessiva del procedimento 203 Le ricorrenti contestano la durata complessiva richiesta per il trattamento del fascicolo, dai primi atti istruttori fino all’adozione della decisione impugnata. A loro avviso, il fatto che, al momento della suddetta adozione, tale durata fosse pari a quasi 19 anni e riguardasse condotte alcune delle quali si erano verificate oltre 30 anni prima rende siffatta durata contraria al principio del termine ragionevole. 204 A tal riguardo, occorre rammentare che l’obbligo di osservare un termine ragionevole nello svolgimento dei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto ripreso in particolare all’articolo 41, paragrafo 1, della Carta. Inoltre, il mancato rispetto di una durata ragionevole del processo costituisce un’irregolarità procedurale (sentenza del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, C‑385/07 P, EU:C:2009:456, punto 191). Difatti, ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti, conformemente all’articolo 47 della Carta e all’articolo 6 della CEDU (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, C‑385/07 P, EU:C:2009:456, punti da 177 a 179, e del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punti 282 e 283). 205 Il diritto dell’Unione impone infatti alle istituzioni di trattare entro un termine ragionevole i casi nell’ambito dei procedimenti amministrativi da esse condotti (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 284). 206 L’obbligo di rispettare un termine ragionevole si applica a ciascuna fase che s’inscriva in un procedimento nonché al complesso da quest’ultimo formato (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punti 230 e 231, e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 239). 207 Nel caso di specie, si deve constatare che il periodo nel corso del quale si è svolto l’insieme del procedimento amministrativo è stato eccezionalmente lungo, ciò che, del resto, ha indotto la Commissione a ridurre l’ammenda infine irrogata alle ricorrenti (v. punto 162 supra). 208 Tuttavia, la lunghezza complessiva del procedimento amministrativo può essere spiegata, nella fattispecie, con la complessità del fascicolo, fermo restando che, per taluni aspetti, essa è dovuta ad elementi relativi al caso vero e proprio, mentre, per altri, è legata al contesto in cui è da inquadrare il fascicolo, vale a dire la scadenza del trattato CECA (v. punti da 195 a 198 supra). 209 È vero che la Commissione è incorsa in taluni errori nella valutazione delle conseguenze da trarre dalla scadenza del trattato CECA e che tali errori hanno dato luogo ad annullamenti pronunciati, in successione, dal Tribunale e dalla Corte. 210 Tuttavia, tali errori, così come l’impatto che essi hanno potuto avere sulla durata del procedimento amministrativo, devono essere valutati tenendo conto della complessità delle questioni sollevate. 211 Peraltro, la durata complessiva del procedimento amministrativo è in parte imputabile alle interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale legate al numero di ricorsi proposti dinanzi al giudice dell’Unione sui diversi aspetti del caso. 212 A detto riguardo occorre notare che la possibilità che talune imprese, in una situazione come quella delle ricorrenti, vedano i propri casi esaminati più di una volta dalle autorità amministrative ed eventualmente dai giudici dell’Unione è insita nel sistema realizzato previsto dagli autori dei trattati per il controllo delle condotte e delle operazioni in materia di concorrenza. Quindi, l’obbligo per le autorità amministrative di svolgere svariate formalità e adempimenti prima di poter adottare una decisione finale nell’ambito della concorrenza, e la possibilità che suddetti formalità o adempimenti possano dare origine ad un ricorso, non possono essere utilizzati da un’impresa, come argomento al termine dell’iter procedimentale, per far valere che si sia superato il termine ragionevole (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause Feralpi e a./Commissione, C‑85/15 P, C‑86/15 P e C‑87/15 P, C‑88/15 P e C‑89/15 P, EU:C:2016:940, paragrafo 70). 213 In siffatto contesto, non si può considerare che, valutata nel suo complesso, la durata del procedimento amministrativo sia stata eccessiva e, pertanto, che essa abbia potuto ostare all’adozione, da parte della Commissione, di una nuova decisione irrogativa di un’ammenda. 214 La censura in esame deve conseguentemente essere respinta. Sulla terza censura, concernente l’effetto della durata del procedimento sui diritti della difesa 215 Le ricorrenti ritengono che la durata del procedimento amministrativo abbia leso i loro diritti della difesa. A loro avviso, a causa di tale durata, l’audizione del 23 aprile 2018 non ha consentito alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di sentire tutti i soggetti le cui opinioni potessero influire sulla loro capacità di difendersi. 216 A tal riguardo, occorre ricordare che, come indicato al punto 180 supra, affinché il giudice pronunci l’annullamento della decisione adottata dalla Commissione a motivo di una violazione del principio del termine ragionevole, devono essere soddisfatte due condizioni. Poiché la prima (durata irragionevole del procedimento) non è soddisfatta, non è necessario, in linea di principio, verificare, in risposta alla terza censura, se la lunghezza del procedimento amministrativo abbia ostacolato l’esercizio dei diritti della difesa. Occorre tuttavia procedere a tale esame, ad abundantiam, per fornire una piena risposta alle preoccupazioni formulate dalle ricorrenti. 217 Da un lato, occorre constatare che, nel corso del procedimento considerato nel suo complesso, le ricorrenti hanno avuto, almeno sette volte, l’occasione di esprimere il loro punto di vista e di esporre i loro argomenti (v. punti da 3 a 6, 10, 22 e 23 supra). 218 In particolare, le ricorrenti hanno potuto esprimere il loro punto di vista, durante la terza fase amministrativa, nelle loro osservazioni del 1º febbraio 2018 e durante l’audizione del 23 aprile 2018 (v. punti 22 e 23 supra). 219 D’altro lato, l’esame del primo motivo ha consentito di dimostrare che i diritti della difesa delle ricorrenti non erano stati pregiudicati né dal fatto che non tutti i soggetti che avevano partecipato alle precedenti audizioni erano presenti all’audizione del 23 aprile 2018, né dal fatto che i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sapessero, al momento di esprimere il loro parere all’interno del comitato consultivo, che due decisioni, una delle quali era stata confermata dal Tribunale, erano state adottate precedentemente nei confronti delle imprese interessate (v. punti da 66 a 146 supra). 220 Da tali elementi risulta che, anche supponendo che la durata del procedimento amministrativo possa essere considerata contraria al principio del termine ragionevole, le condizioni da soddisfare per ottenere un annullamento della decisione impugnata non sarebbero soddisfatte, dal momento che le ricorrenti non hanno potuto dimostrare alcuna lesione dei diritti della difesa derivanti da detta durata. 221 Ciò considerato, si deve ritenere che non sia soddisfatto alcuno dei requisiti necessari affinché il Tribunale possa pronunciare l’annullamento della decisione impugnata a titolo di violazione del principio del termine ragionevole. 222 La censura dev’essere quindi respinta e, con essa, il motivo considerato nel suo complesso. Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione e ad errori manifesti di valutazione 223 Nell’ambito del quarto motivo, le ricorrenti deducono tre censure, relative, la prima, alla mancanza di spiegazioni sufficienti sulle ragioni che hanno indotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda, la seconda, ad un errore manifesto di valutazione in cui è incorsa la Commissione a proposito dell’effetto deterrente che può essere prodotto dall’adozione di una siffatta decisione e, la terza, ad un errore in cui è incorsa la Commissione nella valutazione della possibilità, per i terzi, di proporre un ricorso per responsabilità dinanzi ai giudici nazionali, nonché ad altri argomenti, tutti respinti dalla Commissione. Sulla prima censura, relativa alla mancanza di spiegazioni sufficienti sulle ragioni che hanno indotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda 224 Le ricorrenti lamentano che la Commissione non avrebbe sufficientemente spiegato le ragioni che hanno potuto indurla a riprendere il procedimento: – da un lato, la motivazione non giustificherebbe l’adozione di una decisione irrogativa di un’ammenda oltre a constatare un’infrazione; – dall’altro, la Commissione non avrebbe suffragato la sua affermazione secondo la quale un’ammenda è necessaria al fine di garantire un effetto deterrente sul mercato in questione, mentre quest’ultimo sarebbe radicalmente cambiato. 225 In primo luogo, occorre rilevare che la Commissione è investita dall’articolo 105, paragrafo 1, TFUE del compito di vigilare sull’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE. 226 A tale titolo, la Commissione è chiamata a definire e ad attuare, secondo la giurisprudenza, la politica dell’Unione in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2013, Vivendi/Commissione, T‑432/10, non pubblicata, EU:T:2013:538, punto 22 e giurisprudenza ivi citata). 227 In tale contesto, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale attestato dal regolamento n. 1/2003, secondo il quale, qualora constati l’esistenza di un’infrazione, essa «può», da un lato, obbligare le imprese interessate a porvi fine (articolo 7, paragrafo 1) e, dall’altro, infliggere ammende alle imprese che contravvengono (articolo 23, paragrafo 2). 228 In materia di concorrenza, alla Commissione è stato quindi affidato, indipendentemente dalla via seguita per portare il fascicolo a sua conoscenza, ovverosia, segnatamente, nell’ambito di una denuncia oppure di propria iniziativa, il potere di decidere se determinati comportamenti debbano essere oggetto di un’istruttoria, di una decisione e di un’ammenda, in funzione delle priorità da essa definite nell’ambito della sua politica di concorrenza. 229 Tuttavia, l’esistenza di tale potere non esime la Commissione dal suo obbligo di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 12 marzo 2020, LL-Carpenter/Commissione, T‑531/18, non pubblicata, EU:T:2020:91, punto 90 e giurisprudenza ivi citata). 230 In un contesto in cui, come nel caso di specie, da un lato, una decisione adottata dalla Commissione è stata annullata due volte e in cui, dall’altro, il tempo trascorso tra i primi atti istruttori e l’adozione della decisione è stato eccezionalmente lungo, spetta a detta istituzione, in base al principio di buona amministrazione, tener conto della durata del procedimento e delle conseguenze che una simile durata ha potuto avere sulla sua decisione di perseguire le imprese interessate, e tale valutazione deve allora risultare nella motivazione della decisione. 231 Orbene, è proprio quanto ha fatto la Commissione indicando dettagliatamente, da un lato, ai punti da 526 a 529 della decisione impugnata e, dall’altro, ai punti da 536 a 573 di tale decisione, le ragioni per le quali essa ha ritenuto che occorresse adottare una nuova decisione che accertasse l’esistenza dell’infrazione e infliggesse un’ammenda alle imprese interessate. In particolare, essa ha indicato che l’irrogazione di un’ammenda consentirebbe di garantire che le imprese destinatarie, le quali hanno partecipato ad un’intesa di lunga durata, non siano lasciate impunite, aggiungendo che, a suo avviso, solo l’irrogazione di un’ammenda garantirebbe un’applicazione coerente delle norme in materia di concorrenza e produrrebbe un effetto deterrente nei confronti delle imprese (punto 565 della suddetta decisione). 232 Il primo argomento deve pertanto essere respinto. 233 In secondo luogo, occorre rilevare che, al punto 505 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato di aver informato le imprese destinatarie, al termine della sua valutazione secondo cui essa intendeva riaprire il procedimento per accertare, a seguito di un’audizione relativa al merito e tenuta conformemente ai regolamenti nn. 1/2003 e 773/2004, se la partecipazione di dette imprese all’infrazione loro contestata nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari fosse emersa o meno con sufficiente evidenza. 234 Per quanto riguarda la sanzione, come rilevato al punto 231 supra, la Commissione ha affermato, al punto 565 della decisione impugnata, che l’imposizione di un’ammenda avrebbe consentito di prevenire qualsiasi impunità delle imprese interessate e che solo una siffatta imposizione di ammenda avrebbe garantito un’applicazione coerente delle norme in materia di concorrenza dell’Unione e un effetto deterrente. 235 Per quanto riguarda, infine, il cambiamento conosciuto dal mercato, il quale, secondo le ricorrenti, dovrebbe giustificare che la Commissione sia più indulgente in materia di ammende, tale questione è trattata al punto 567 della decisione impugnata, nel quale essa ha indicato che, sebbene l’infrazione fosse cessata da un tempo relativamente lungo, l’adozione di una decisione irrogativa di un’ammenda conservava la sua importanza, in particolare per il mercato del tondo per cemento armato in Italia, al fine di dissuadere le imprese destinatarie dall’adottare nuovamente condotte di tale gravità. 236 Da questi elementi si può concludere che la motivazione fornita dalla Commissione nella decisione impugnata fa apparire in forma chiara e non equivoca il ragionamento da essa seguito per giustificare l’adozione di una nuova decisione che infligge un’ammenda nonostante gli annullamenti in precedenza intervenuti, ivi incluso l’intento di conferire alla decisione impugnata un effetto deterrente. 237 Il secondo argomento deve quindi essere respinto e, con esso, la censura considerata nel suo complesso. Sulla seconda censura, relativa ad un errore manifesto di valutazione in cui è incorsa la Commissione riguardo all’effetto deterrente che può essere prodotto con l’adozione di una nuova decisione irrogativa di un’ammenda 238 Le ricorrenti sostengono che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione nel considerare, nonostante i cambiamenti intervenuti sul mercato del tondo per cemento armato, che adottare una decisione ed infliggere una sanzione fosse ancora necessario per dissuadere le imprese destinatarie dall’adottare un siffatto comportamento in futuro e per dissuadere tutti gli operatori eventualmente interessati dal commettere in futuro infrazioni analoghe. 239 A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione ha potuto considerare, alla luce del carattere grave dell’infrazione constatata, che adottare una decisione e infliggere una sanzione era ancora giustificato, al momento in cui la decisione impugnata è stata adottata, in considerazione dell’effetto deterrente che avrebbero potuto produrre, sui mercati, tale decisione e tale sanzione. 240 È difatti la sanzione, vale a dire il fatto di dover versare l’ammenda inflitta, che dissuade effettivamente un’impresa, e in modo generale i soggetti del mercato, dal commettere una violazione delle regole di concorrenza previste agli articoli 101 e 102 TFUE. 241 È vero che alle ricorrenti è stata inflitta una sanzione in due occasioni nel corso del procedimento, la prima volta con la decisione del 2002 e la seconda volta con quella del 2009. Tuttavia, tali decisioni sono state annullate dal giudice dell’Unione, rispettivamente, nelle sentenze del 25 ottobre 2007, SP e a./Commissione (T‑27/03, T‑46/03, T‑58/03, T‑79/03, T‑80/03, T‑97/03 e T‑98/03, EU:T:2007:317) e del 21 settembre 2017, Ferriera Valsabbia e a./Commissione (C‑86/15 P e C‑87/15 P, EU:C:2017:717). In siffatto contesto, imporre una sanzione nella decisione impugnata ha potuto trovare una giustificazione alla luce della necessità di garantire l’effetto deterrente. 242 Si può aggiungere che l’imposizione di un’ammenda da parte della Commissione non aveva come unico obiettivo, nel caso di specie, quello di conferire un certo effetto deterrente alla decisione impugnata, ma anche quello di evitare una totale impunità alle imprese interessate, il che sarebbe avvenuto qualora esse non fossero state sanzionate nella decisione impugnata (v. punto 527 della decisione impugnata). 243 Orbene, quest’ultimo obiettivo era sufficiente, di per sé solo, alla luce degli elementi menzionati nella decisione impugnata, e tenuto conto con particolare rilievo, da un lato, della gravità dell’infrazione constatata dalla Commissione e, dall’altro, della durata di tale infrazione quale accertata da detta istituzione, per giustificare nel caso di specie l’adozione di una decisione irrogativa di una sanzione. 244 La censura in esame deve conseguentemente essere respinta. Sulla terza censura, riguardante un errore in cui è incorsa la Commissione nella valutazione della possibilità, per taluni terzi, di proporre un’azione risarcitoria dinanzi ai giudici nazionali 245 Le ricorrenti contestano uno degli argomenti dedotti dalla Commissione per giustificare la riapertura del procedimento amministrativo, vale a dire il fatto che occorresse garantire ai terzi la possibilità di proporre ancora azioni risarcitorie a seguito dell’adozione della decisione impugnata. A loro avviso, nessuna azione civile poteva più essere esperita nel momento in cui è stata adottata tale decisione, poiché una siffatta azione si prescrive dopo cinque anni in Italia e alcuni dei comportamenti oggetto del presente procedimento erano risalenti ad oltre trent’anni. 246 A tal riguardo, occorre rilevare che, al punto 564 della decisione impugnata, la Commissione ha spiegato che, a suo avviso, la riapertura del procedimento e l’adozione di una nuova decisione potevano agevolare il compito dei terzi intenzionati ad esperire, se del caso, dinanzi ai giudici nazionali, un’azione risarcitoria. 247 Siffatta valutazione è fondata. La Commissione, in effetti, non poteva escludere, adottando la decisione impugnata, la possibilità che talune vittime avessero interrotto la prescrizione e che tale decisione potesse quindi agevolare la presentazione, da parte di queste ultime,, di un’azione risarcitoria volta ad ottenere il risarcimento di un eventuale danno. 248 Occorre, peraltro, rilevare che le ricorrenti concentrano la loro argomentazione sul termine di prescrizione in materia civile in Italia. 249 Tuttavia, paesi diversi dall’Italia potevano essere interessati dall’esperimento di azioni volte ad ottenere il risarcimento di un eventuale danno risultante dall’intesa, dato che i prodotti su cui detta intesa aveva inciso hanno potuto essere acquistati da clienti situati all’estero. 250 In tale contesto, l’applicazione di altri diritti nazionali, prevedendo, se del caso, norme diverse sul termine di prescrizione o sulle cause che potevano sospendere, o addirittura interrompere, quest’ultima, non poteva essere esclusa dalla Commissione. 251 Pertanto, le ricorrenti, nella loro argomentazione, non sono riuscite a dimostrare l’esistenza di un errore, giacché la loro posizione si limita ad indicare che esse non hanno la stessa opinione della Commissione sulla questione in esame, vale a dire l’interesse dell’esistenza di una decisione della Commissione ai fini della proposizione di azioni risarcitorie dinanzi ai giudici nazionali da parte di terzi eventualmente lesi. 252 La censura deve conseguentemente essere respinta. Sugli ulteriori argomenti 253 A sostegno del quarto motivo, le ricorrenti sollevano, ancora, due argomenti analizzati, parzialmente in ogni caso, nella risposta data agli altri motivi precedentemente esaminati. 254 Con il primo argomento, le ricorrenti fanno valere che, nella decisione impugnata, la Commissione non avrebbe esaminato in termini giuridicamente sufficienti se la durata del procedimento amministrativo avesse superato il termine ragionevole. 255 In particolare, le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver spiegato in modo giuridicamente sufficiente perché, nell’ambito della sua analisi, essa doveva esaminare solo la durata del procedimento amministrativo. 256 A questo proposito, occorre rilevare che, come indicato ai precedenti punti da 152 a 169 in risposta alla prima censura del secondo motivo, la Commissione, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, ha verificato la durata complessiva del procedimento amministrativo, fasi amministrative ed interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, ed ha esaminato se tale durata potesse o dovesse avere conseguenze sulla possibilità di riaprire tale procedimento e sulla situazione delle imprese interessate. 257 In tale contesto, la Commissione ha ammesso che, a seguito degli errori procedurali che erano stati commessi, le diverse fasi succedutesi avevano potuto condurre, per il procedimento amministrativo considerato nel suo complesso, fasi amministrative ed interruzioni dovute al sindacato giurisdizionale incluse, a una durata «oggettivamente» lunga, come indicato ai precedenti punti 156 e 157. 258 Ponderando poi l’interesse pubblico ad ottenere l’applicazione concreta delle regole di concorrenza e l’interesse delle parti a che le possibili conseguenze degli errori procedurali commessi vengano prese in considerazione, la Commissione ha deciso di adottare una decisione che constata un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, ma di ridurre l’ammenda inflitta del 50%. 259 Il primo argomento deve pertanto essere respinto. 260 Con il secondo argomento, le ricorrenti fanno valere che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione quando ha considerato che il termine ragionevole non era stato superato. 261 In particolare, le ricorrenti sostengono che la Commissione non poteva affermare, come ha fatto, che il procedimento amministrativo si era svolto speditamente. 262 A questo proposito, alla luce degli elementi menzionati in risposta al terzo motivo di ricorso (v. punti da 183 a 214 supra), si deve ritenere che la Commissione, quando ha concluso che la durata del procedimento amministrativo non era irragionevole, non ha commesso alcun errore di valutazione. 263 Da tali considerazioni e, in particolare, dai punti da 185 a 202 supra, risulta, nello stesso senso, che non contiene un errore di valutazione neppure l’affermazione della Commissione al punto 555 della decisione impugnata secondo cui «[n]el presente caso, per quanto concerne la fase amministrativa, [essa] ritiene di aver sempre condotto la propria attività istruttoria speditamente e senza ingiustificate interruzioni». 264 Il secondo argomento deve pertanto essere respinto. 265 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere il quarto motivo nel suo complesso, in quanto infondato. Sulla domanda presentata all’udienza dalle ricorrenti relativa alla riforma dell’ammenda 266 Le ricorrenti hanno fatto presente, all’udienza, di aver contestato la legittimità della decisione impugnata nel loro ricorso, ma del pari, implicitamente, l’importo dell’ammenda, così che il Tribunale sarebbe altresì investito di una domanda di riforma dell’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito. 267 A tal riguardo, occorre ricordare che, come rilevato dalla Commissione in udienza, secondo la giurisprudenza, il giudice dell’Unione non può esercitare d’ufficio la competenza estesa al merito prevista dall’articolo 261 TFUE e dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003. 268 Infatti, poiché il procedimento dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione si svolge in contraddittorio, spetta alla parte ricorrente sollevare tale domanda avverso la decisione impugnata, articolare i motivi che giustificano la domanda in parola e produrre gli elementi di prova a sostegno di suddetti motivi (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Siemens e a./Commissione, C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:866, punto 335). 269 Orbene, è giocoforza constatare che, nel caso di specie, il ricorso non contiene alcuna domanda di riforma dell’ammenda. È vero che le ricorrenti hanno sostenuto in udienza che una siffatta domanda risultava dall’economia del ricorso. Tuttavia, esse non hanno esposto alcun elemento a sostegno di tale affermazione. In tali circostanze, occorre considerare che i requisiti derivanti dall’articolo 76, lettera e), del regolamento di procedura, secondo i quali la parte ricorrente è tenuta ad indicare le sue conclusioni nel ricorso, non sono rispettati. In applicazione di suddetta disposizione, possono essere prese in considerazione solo le conclusioni esposte nell’atto introduttivo del giudizio e la fondatezza del ricorso può essere esaminata solo alla luce delle conclusioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio (sentenza del 18 novembre 2020, H/Consiglio, T‑271/10 RENV II, EU:T:2020:548, punto 84 e giurisprudenza ivi citata). 270 Occorre quindi considerare che la domanda di riforma dell’ammenda è stata formulata, nel corso del procedimento, tardivamente e, traendo le conseguenze da tale carattere tardivo, che, in applicazione dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura, essa è irricevibile. 271 In ogni caso, poiché gli argomenti a sostegno del ricorso sono integralmente respinti, l’ammenda non può essere ridotta, né a fortiori annullata, a titolo dei motivi dedotti a sostegno del ricorso. Conclusione 272 In considerazione di tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto. Sulle spese 273 Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate a sopportare, oltre che le proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima. Per questi motivi, IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata) dichiara e statuisce: 1) Il ricorso è respinto. 2) La Ferriera Valsabbia SpA e la Valsabbia Investimenti SpA sono condannate alle spese.
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 9 novembre 2022.
* Lingua processuale: l’italiano. | ||||||||||||