SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
4 ottobre 2024 (*)
« Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato – Decisione della Commissione europea che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Decisione adottata in seguito all’annullamento di precedenti decisioni – Svolgimento di una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Requisito d’imparzialità – Termine ragionevole – Obbligo di motivazione – Proporzionalità – Principio del ne bis in idem – Eccezione di illegittimità – Circostanze aggravanti – Recidiva – Circostanze attenuanti – Parità di trattamento »
Nella causa C‑31/23 P,
avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 19 gennaio 2023,
Ferriere Nord SpA, con sede in Osoppo (Italia), rappresentata da B. Comparini, G. Donà e W. Viscardini, avvocati,
ricorrente,
procedimento in cui le altre parti sono:
Commissione europea, rappresentata da G. Conte, P. Rossi e C. Sjödin, in qualità di agenti, assistiti da M. Moretto, avvocato,
convenuta in primo grado,
Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da E. Ambrosini e O. Segnana, in qualità di agenti,
interveniente in primo grado,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, P.G. Xuereb (relatore) e A. Kumin, giudici,
avvocato generale: N. Emiliou
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con la sua impugnazione, la Ferriere Nord SpA chiede, in via principale, l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 9 novembre 2022, Ferriere Nord/Commissione (T‑667/19; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2022:692), con cui quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto, in via principale, all’annullamento della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione controversa»), nella parte in cui la riguarda. In subordine, tale impresa chiede, da un lato, l’annullamento della sentenza impugnata nei limiti in cui essa ha respinto la sua domanda formulata in subordine diretta all’annullamento parziale della decisione controversa e, dall’altro, l’annullamento parziale di tale decisione nonché la riduzione dell’ammenda che le è stata inflitta.
Contesto normativo
Regolamento (CE) n. 1/2003
2 L’articolo 7 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), intitolato «Constatazione ed eliminazione delle infrazioni», al paragrafo 1, prevede quanto segue:
«Se la Commissione constata, in seguito a denuncia o d’ufficio, un’infrazione all’articolo [101] o all’articolo [102 TFUE], può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all’infrazione constatata. A tal fine può imporre loro l’adozione di tutti i rimedi comportamentali o strutturali, proporzionati all’infrazione commessa e necessari a far cessare effettivamente l’infrazione stessa. I rimedi strutturali possono essere imposti solo quando non esiste un rimedio comportamentale parimenti efficace o quando un rimedio comportamentale parimenti efficace risulterebbe più oneroso, per l’impresa interessata, del rimedio strutturale. Qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso, essa può inoltre procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata».
3 L’articolo 14 di tale regolamento, intitolato «Comitato consultivo», così dispone:
«1. La Commissione consulta un comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti prima dell’adozione di qualsiasi decisione ai sensi degli articoli 7, 8, 9, 10, 23, dell’articolo 24, paragrafo 2 e dell’articolo 29, paragrafo 1.
2. Ai fini della discussione di casi individuali il comitato consultivo è composto da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. (...)
(...)
5. La Commissione tiene in massima considerazione il parere del comitato consultivo. Essa lo informa del modo in cui ha tenuto conto del parere.
(...)».
4 In base all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento, la Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 101 o dell’articolo 102 TFUE.
5 L’articolo 25 del medesimo regolamento, intitolato «Prescrizione in materia di imposizione di sanzioni», è così formulato:
«1. I poteri conferiti alla Commissione in virtù degli articoli 23 e 24 sono soggetti ai termini di prescrizione seguenti:
a) tre anni per le infrazioni alle disposizioni relative alla richiesta di informazioni o all’esecuzione di accertamenti;
b) cinque anni per le altre infrazioni.
2. La prescrizione decorre dal giorno in cui è stata commessa l’infrazione. Tuttavia, per quanto concerne le infrazioni continuate o ripetute, la prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata l’infrazione.
3. La prescrizione riguardante l’imposizione di ammende o di penalità di mora si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o dell’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione. La prescrizione è interrotta a partire dal giorno in cui l’atto è notificato ad almeno un’impresa, o associazione di imprese, che abbia partecipato all’infrazione. Gli atti interruttivi della prescrizione comprendono in particolare:
a) le domande scritte di informazioni formulate dalla Commissione o da un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro;
b) i mandati scritti ad eseguire accertamenti rilasciati ai propri agenti dalla Commissione o da un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro;
c) l’avvio di un procedimento da parte della Commissione o di un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro;
d) la comunicazione degli addebiti mossi dalla Commissione o da un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro.
4. L’interruzione della prescrizione vale nei confronti di tutte le imprese ed associazioni di imprese che abbiano partecipato all’infrazione.
5. Per effetto dell’interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione. La prescrizione opera tuttavia al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto, se la Commissione non ha irrogato un’ammenda o una penalità di mora entro tale termine. Detto termine è prolungato della durata della sospensione in conformità al paragrafo 6.
6. La prescrizione in materia di imposizione di ammende o di penalità di mora rimane sospesa per il tempo in cui pende dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso contro la decisione della Commissione».
6 L’articolo 27 del regolamento n. 1/2003, intitolato «Audizione delle parti, dei ricorrenti e degli altri terzi», prevede quanto segue:
«1. Prima di adottare qualsiasi decisione prevista dagli articoli 7, 8, 23 e 24, paragrafo 2, la Commissione dà modo alle imprese e associazioni di imprese oggetto del procedimento avviato dalla Commissione di essere sentite relativamente agli addebiti su cui essa si basa. La Commissione basa le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite. I ricorrenti sono strettamente associati al procedimento.
2. Nel corso del procedimento sono pienamente garantiti i diritti di difesa delle parti interessate. (...)
3. La Commissione può sentire, nella misura in cui lo ritenga necessario, ogni altra persona fisica o giuridica. Qualora persone fisiche o giuridiche chiedano di essere sentite, dimostrando di avervi un interesse sufficiente, la loro domanda è accolta. Le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri possono inoltre chiedere alla Commissione di sentire altre persone fisiche o giuridiche.
(...)».
Regolamento n. 773/2004
7 L’articolo 11 del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L123, pag. 18), come modificato dal regolamento (CE) n. 622/2008 della Commissione, del 30 giugno 2008 (GU 2008, L 171, pag. 3) (in prosieguo: il «regolamento n. 773/2004»), intitolato «Diritto ad essere sentiti», così dispone:
«1. La Commissione accorda alle parti cui invia la comunicazione degli addebiti la possibilità di essere sentite prima di consultare il Comitato consultivo ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003.
2. Nelle sue decisioni la Commissione esamina solo gli addebiti rispetto ai quali le parti di cui al paragrafo 1 hanno avuto la possibilità di esprimersi».
8 L’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 è così formulato:
«1. La Commissione accorda alle parti cui è inviata la comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un’audizione orale, qualora lo richiedano nella loro proposta scritta.
2. Tuttavia, nel presentare le loro proposte di transazione, le parti confermano alla Commissione che chiederanno di avere la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un’audizione orale unicamente qualora la comunicazione degli addebiti non rispecchi il contenuto delle loro proposte di transazione».
9 L’articolo 13 di tale regolamento, intitolato «Audizione di terzi», prevede quanto segue:
«1. Alle persone fisiche o giuridiche non contemplate negli articoli 5 e 11 che chiedano di essere sentite e dimostrino di avervi un interesse sufficiente, la Commissione comunica per iscritto la natura e l’oggetto del procedimento e assegna un termine per la presentazione delle osservazioni scritte.
2. All’occorrenza la Commissione può invitare i soggetti di cui al paragrafo 1 a sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti, sempre che essi lo richiedano nelle osservazioni scritte.
3. La Commissione può invitare eventuali altre persone a presentare osservazioni scritte e ad assistere all’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti. La Commissione può inoltre invitare tali persone ad esprimersi nel corso dell’audizione».
10 L’articolo 14 di detto regolamento, intitolato «Svolgimento delle audizioni», è formulato come segue:
«1. Le audizioni vengono condotte in piena indipendenza da un consigliere-auditore.
2. La Commissione invita le persone che devono essere sentite a partecipare all’audizione alla data da essa fissata.
3. La Commissione invita le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri a prendere parte all’audizione. Essa può inoltre invitare anche funzionari di altre autorità degli Stati membri.
(...)».
Comunicazione del 2011
11 La comunicazione della Commissione sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 del TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6) (in prosieguo: la «comunicazione del 2011»), ha quale scopo principale, come emerge dal punto 1, quello di fornire orientamenti pratici sui procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 TFUE.
12 Il punto 6 di tale comunicazione prevede che essa era applicabile, a partire dalla data di pubblicazione, «ai casi ancora aperti e ai casi futuri». Quanto ai casi pendenti, essa si applicava, secondo la nota a piè pagina n. 16 di detta comunicazione, «a tutte le fasi procedurali che restano da adottare dopo la pubblicazione».
13 Ai sensi dei punti 84, 86 e 109 della medesima comunicazione:
«84. La comunicazione degli addebiti specificherà chiaramente se la Commissione intende infliggere ammende alle imprese nel caso in cui gli addebiti dovessero essere confermati (...). Nella comunicazione degli addebiti la Commissione indicherà gli elementi di fatto e di diritto che possono portare ad irrogare un’ammenda, come la durata e la gravità dell’infrazione, e precisare se l’infrazione è stata commessa intenzionalmente o per negligenza. La comunicazione degli addebiti deve inoltre precisare in maniera sufficientemente precisa quali fatti possono costituire circostanze aggravanti e, limiti per quanto possibile, le circostanze attenuanti.
(...)
86. Qualora nella decisione definitiva la Commissione intenda discostarsi dagli elementi di fatto o di diritto contenuti nella comunicazione degli addebiti a svantaggio di una o più parti o qualora la Commissione intenda tener conto di elementi supplementari a carico, sarà sempre data la possibilità alla parte o alle parti interessate di rendere note le loro osservazioni in modo appropriato.
(...)
109. Se, dopo l’emanazione della comunicazione degli addebiti, vengono individuati nuovi elementi di prova sui quali la Commissione intende basarsi oppure nel caso in cui la Commissione preveda di modificare la propria valutazione giuridica a danno delle imprese interessate, viene data alle imprese in questione la possibilità di presentare osservazioni su tali nuovi aspetti».
Fatti e decisione controversa
14 I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 1 a 31 della sentenza impugnata:
«1 La ricorrente, Ferriere Nord SpA, è una società di diritto italiano operante nel settore del tondo per cemento armato dall’aprile 1992.
A. Prima decisione della Commissione (2002)
2 Dall’ottobre al dicembre 2000 la Commissione delle Comunità europee ha effettuato, conformemente all’articolo 47 CA, accertamenti presso imprese italiane produttrici di tondo per cemento armato, tra cui la ricorrente, e presso un’associazione di imprese, la Federazione Imprese Siderurgiche Italiane (in prosieguo: la «Federazione»). Essa ha anche inviato loro richieste di informazioni ai sensi di tale disposizione.
3 Il 26 marzo 2002 la Commissione ha avviato un procedimento di applicazione dell’articolo 65 CA e formulato taluni addebiti ai sensi dell’articolo 36 CA (in prosieguo: la “comunicazione degli addebiti”) notificati, in particolare, alla ricorrente. Quest’ultima ha risposto alla comunicazione degli addebiti il 31 maggio 2002.
4 Il 13 giugno 2002 si è svolta un’audizione delle parti nell’ambito del procedimento amministrativo.
5 Il 12 agosto 2002 la Commissione ha inviato agli stessi destinatari taluni addebiti supplementari (in prosieguo: la “comunicazione degli addebiti supplementari”), ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204). In tale comunicazione, la Commissione ha precisato la sua posizione in merito alla prosecuzione del procedimento dopo la scadenza del Trattato CECA, avvenuta il 23 luglio 2002. La ricorrente ha risposto alla comunicazione degli addebiti supplementari il 20 settembre 2002.
6 Il 30 settembre 2002 si è svolta una nuova audizione delle parti nel procedimento amministrativo, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Essa riguardava l’oggetto della comunicazione degli addebiti supplementari, ossia le conseguenze giuridiche della scadenza del Trattato CECA sulla prosecuzione del procedimento.
7 Al termine del procedimento amministrativo, la Commissione ha adottato la decisione C (2002) 5087 definitivo, del 17 dicembre 2002, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 65 del trattato CECA (COMP/37.956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la “decisione del 2002”), indirizzata alla [Federazione] e a otto imprese, tra cui la ricorrente. In detta decisione essa ha constatato che queste ultime, tra il dicembre 1989 e il luglio 2000, avevano attuato un’intesa unica, complessa e continuata nel mercato italiano del tondo per cemento armato in barre o in rotoli (in prosieguo: il “tondo per cemento armato”») avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite, in violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA.
8 Per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente all’infrazione, la Commissione ha rilevato che essa si era protratta dal 1º aprile 1993 al 4 luglio 2000. A detto titolo, quest’ultima le ha inflitto un’ammenda di importo pari a EUR 3,57 milioni. Tale importo includeva una riduzione del 20% dell’ammenda a favore della ricorrente, in applicazione del punto D, paragrafo 1, della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4 (...)), che prevede la possibilità di far beneficiare di una riduzione dell’ammenda che avrebbero dovuto versare, le imprese che cooperano nel fornire alla Commissione, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione commessa.
9 Il 10 marzo 2003 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione del 2002. Il Tribunale ha annullato detta decisione nei confronti della ricorrente (sentenza del 25 ottobre 2007, Ferriere Nord/Commissione, T‑94/03, [...], EU:T:2007:320) e delle altre imprese destinatarie, con la motivazione che la base giuridica utilizzata, ossia l’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA, non era più in vigore al momento dell’adozione di tale decisione. Pertanto, la Commissione non era competente, in base alle menzionate disposizioni, a constatare e a sanzionare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA dopo la scadenza del Trattato CECA. Il Tribunale non ha esaminato gli altri aspetti della decisione in parola.
10 La decisione del 2002 è divenuta definitiva nei confronti della [Federazione], che non ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale.
B. Seconda decisione della Commissione (2009)
11 Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione ha informato la ricorrente e le altre imprese interessate della sua intenzione di adottare una nuova decisione, previa correzione della base giuridica utilizzata. Essa ha inoltre precisato che la decisione in parola sarebbe stata fondata sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari. La ricorrente, su invito della Commissione, ha presentato osservazioni scritte il 1° agosto 2008.
12 Con telefax del 24 luglio e del 25 settembre 2008, poi del 13 marzo, del 30 giugno e del 27 agosto 2009, la Commissione ha chiesto alla ricorrente informazioni relative all’azionariato e alla situazione patrimoniale dell’impresa. La ricorrente ha risposto a tali richieste di informazioni, rispettivamente, con e‑mail del 1° agosto e del 1° ottobre 2008, poi del 18 marzo, del 1° luglio e dell’8 settembre 2009.
13 Il 30 settembre 2009 la Commissione ha adottato una nuova decisione C(2009) 7492 definitivo, relativa a una violazione dell’articolo 65 del trattato CECA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione), indirizzata alle stesse imprese di cui alla decisione del 2002, ivi inclusa la ricorrente. Detta decisione è stata adottata sulla base delle norme procedurali del trattato CE e del [regolamento n. 1/2003]. Essa si basava sugli elementi oggetto della comunicazione degli addebiti e della comunicazione degli addebiti supplementari e riproduceva, in sostanza, il contenuto e le conclusioni della decisione del 2002. In particolare, l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, pari a EUR 3,57 milioni, rimaneva invariato.
14 L’8 dicembre 2009, la Commissione ha adottato una decisione di modifica, che integrava, nel suo allegato, le tabelle indicanti le variazioni dei prezzi omesse dalla sua decisione del 30 settembre 2009 e rettificava i riferimenti numerati alle suddette tabelle in otto note a piè di pagina.
15 Il 19 febbraio 2010 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione della Commissione del 30 settembre 2009, come modificata (in prosieguo: la «decisione del 2009»). Il 9 dicembre 2014 il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente a EUR 3,42144 milioni, per il motivo che quest’ultima non aveva partecipato, per tre anni, alla componente dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite, e ha respinto il ricorso quanto al resto (sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione, T‑90/10, [...], EU:T:2014:1035). Il Tribunale ha annullato parzialmente la decisione del 2009 nei confronti di un altro dei suoi destinatari, ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta ad un altro dei suoi destinatari e ha respinto gli altri ricorsi proposti.
16 Il 20 febbraio 2015 la ricorrente ha proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, [...], EU:T:2014:1035). Con sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha annullato detta sentenza del Tribunale nonché la decisione del 2009 nei confronti, in particolare, della ricorrente.
17 Nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha dichiarato che, quando una decisione era stata adottata sulla base del regolamento n. 1/2003, il procedimento che si concludeva con tale decisione doveva essere conforme alle norme di procedura previste da suddetto regolamento nonché dal [regolamento n. 773/2004], anche se detto procedimento era iniziato prima della loro entrata in vigore.
18 Orbene, la Corte ha constatato che, nel caso di specie, l’audizione del 13 giugno 2002, la sola riguardante il merito del procedimento, non poteva essere considerata conforme ai requisiti procedurali relativi all’adozione di una decisione in base al regolamento n. 1/2003, mancando la partecipazione delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.
19 La Corte ha concluso che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non era tenuta, prima dell’adozione della decisione del 2009, ad organizzare una nuova audizione, per il motivo che le imprese avevano già avuto la possibilità di essere ascoltate durante le audizioni del 13 giugno e del 30 settembre 2002.
20 Nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha ricordato l’importanza dello svolgimento, su richiesta delle parti interessate, di un’audizione alla quale siano invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, costituendo la sua omissione una violazione delle forme sostanziali.
21 La Corte ha dichiarato che, poiché il diritto in parola, previsto espressamente dal regolamento n. 773/2004, non era stato rispettato, non era necessario che l’impresa il cui diritto era stato così violato dimostrasse che tale violazione era stata idonea ad influenzare, a suo svantaggio, lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione [del 2009].
22 La Corte ha altresì annullato, per gli stessi motivi, altre sentenze del Tribunale pronunciate il 9 dicembre 2014 che statuivano sulla legittimità della decisione del 2009, nonché la decisione stessa, nei confronti di altre quattro imprese. La decisione del 2009 è invece divenuta definitiva per le imprese destinatarie che non hanno proposto impugnazione avverso le suddette sentenze.
C. Terza decisione della Commissione (2019)
23 Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha informato la ricorrente della propria intenzione di riprendere il procedimento amministrativo e di organizzare, in tale contesto, una nuova audizione delle parti di detto procedimento in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri.
24 Con lettera del 1° febbraio 2018, la ricorrente ha presentato osservazioni nelle quali ha contestato il potere della Commissione di riassumere il procedimento amministrativo e ha pertanto invitato quest’ultima a non procedere a tale riassunzione.
25 Il 23 aprile 2018 la Commissione ha tenuto una nuova audizione relativa al merito del procedimento, alla quale hanno partecipato, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e del consigliere-auditore, la ricorrente nonché altre tre imprese destinatarie della decisione del 2009.
26 Con lettere del 19 novembre 2018 nonché del 17 gennaio e del 6 maggio 2019, la Commissione ha inviato alla ricorrente tre richieste di informazioni riguardanti il suo azionariato e la sua situazione patrimoniale. La ricorrente ha risposto a tali richieste di informazioni con lettere, rispettivamente, del 10 dicembre 2018 nonché del 31 gennaio e del 9 maggio 2019.
27 Il 21 giugno 2019 la ricorrente ha partecipato ad una riunione con i servizi della Commissione, nel corso della quale questi ultimi hanno dichiarato di aver deciso di proporre al collegio dei commissari l’adozione di una nuova decisione sanzionatoria, ma che, in considerazione del tempo oggettivamente lungo, essi avrebbero proposto l’applicazione di una circostanza attenuante straordinaria.
28 Il 4 luglio 2019 la Commissione ha adottato la decisione [controversa], destinata alle cinque imprese nei confronti delle quali la decisione del 2009 era stata annullata, vale a dire, oltre alla ricorrente, l’Alfa Acciai SpA, la Feralpi Holding SpA (già Feralpi Siderurgica SpA e Federalpi Siderurgica SRL), la Partecipazioni Industriali SpA (già Riva Acciaio SpA e successivamente Riva Fire SpA; in prosieguo: la «Riva») nonché la Valsabbia Investimenti SpA e la Ferriera Valsabbia SpA.
29 Con la decisione [controversa], la Commissione ha constatato la stessa infrazione oggetto della decisione del 2009, al contempo riducendo del 50% le ammende inflitte alle imprese destinatarie a motivo della durata del procedimento. La ricorrente ha inoltre beneficiato di una riduzione ulteriore, nella misura del 6% dell’ammenda, per il fatto che essa non aveva partecipato alla componente dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite per un determinato periodo. Con l’articolo 2 della decisione [controversa], la Commissione ha quindi inflitto alla ricorrente un’ammenda di importo pari a EUR 2,237 milioni.
30 In data 8 luglio 2019 è stata notificata alla ricorrente una copia incompleta della decisione [controversa], contenente solo le pagine dispari, circostanza da quest’ultima segnalata alla Commissione con lettera del 9 luglio 2019.
31 Il 18 luglio 2019 una versione completa della decisione [controversa] è stata notificata alla ricorrente».
Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
15 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 settembre 2019, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto, in via principale, all’annullamento della decisione controversa, nella parte in cui la riguarda e, in subordine, alla riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.
16 A sostegno della sua domanda di annullamento della decisione controversa, la ricorrente ha, in sostanza, sollevato sei motivi vertenti, il primo, sulla violazione dei diritti della difesa e delle norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018; il secondo, sul rifiuto asseritamente illegittimo della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale decisione con il principio della durata ragionevole del procedimento; il terzo, sulla violazione del principio della durata ragionevole del procedimento; il quarto, su una violazione dell’obbligo di motivazione, su un eccesso di potere e sulla violazione del principio di proporzionalità; il quinto, sulla violazione del principio del ne bis in idem e il sesto sull’illegittimità del regime di prescrizione previsto all’articolo 25 del regolamento n. 1/2003.
17 Per quanto attiene, segnatamente, al primo motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto, con le prime due censure delle cinque dedotte nell’ambito di tale motivo, che, in primo luogo, l’imparzialità del comitato consultivo previsto dal regolamento n. 1/2003 (in prosieguo: il «comitato consultivo») fosse messa in discussione in quanto l’atteggiamento dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri che compongono detto comitato avrebbe potuto essere influenzato dal fatto che dette autorità erano venute a conoscenza della posizione adottata sul caso, da un lato, dalla Commissione, nelle sue decisioni del 2002 e del 2009 e, dall’altro, dal Tribunale nella sua sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), e, in secondo luogo, che l’indipendenza della Commissione fosse pregiudicata dalla circostanza che, forte di tale sentenza, detta istituzione non sarebbe più stata effettivamente in grado di accogliere un’opinione contraria espressa da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri riuniti in seno al comitato consultivo.
18 Con la terza censura di detto motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto che la Commissione, da un lato, avesse violato diverse norme relative all’organizzazione delle audizioni e, dall’altro, avesse commesso un errore omettendo di invitare la Federazione, la Leali SpA e la sua società figlia Acciaierie e Ferriere Leali Luigi SpA (in prosieguo, congiuntamente: la «Leali»), la Lucchini SpA, la Riva, la Industrie Riunite Odolesi SpA (in prosieguo: la «IRO») e l’Associazione Nazionale Sagomatori Ferro (in prosieguo: l’«Ansfer») all’audizione del 23 aprile 2018 laddove, avendo svolto un ruolo centrale nella vicenda, tali entità avrebbero potuto fornire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri elementi idonei a consentire a queste ultime di adottare la loro posizione con piena cognizione di causa. Ad avviso della ricorrente, non avendo potuto beneficiare di un parere reso con piena cognizione di causa da parte delle autorità in parola, i suoi diritti della difesa sarebbero stati violati.
19 Con la quarta censura del primo motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto che fosse impossibile rimediare al vizio procedurale censurato dalla Corte. A causa del periodo trascorso, i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato erano tali, a suo avviso, che nessuna audizione poteva ancora essere organizzata a condizioni identiche o, quantomeno, equivalenti a quelle esistenti nel 2002.
20 Con la quinta censura di tale motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto, segnatamente, che il parere emesso dal comitato consultivo, che includeva una dichiarazione firmata da otto autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, secondo la quale l’audizione del 23 aprile 2018 avrebbe sanato il vizio procedurale rilevato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017 Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), fosse viziato. Infatti, due di tali otto autorità, ivi inclusa l’autorità garante della concorrenza relatrice, non avrebbero partecipato a tale audizione.
21 A sostegno della sua domanda in via subordinata diretta a ottenere l’annullamento parziale della decisione controversa e una riduzione corrispondente dell’importo dell’ammenda che le era stata inflitta, la ricorrente ha dedotto tre motivi di ricorso supplementari vertenti, il settimo, sulla violazione dell’onere della prova e del principio dell’in dubio pro reo; l’ottavo, sull’illegittimità della maggiorazione dell’importo dell’ammenda a titolo di recidiva e il nono sulla violazione del principio di parità di trattamento per quanto riguarda la presa in considerazione delle circostanze attenuanti e sul carattere tardivo dei motivi che giustificano la concessione di una riduzione limitata dell’ammenda.
22 Con decisione dell’11 febbraio 2020, il Tribunale ha autorizzato l’intervento del Consiglio dell’Unione europea a sostegno delle conclusioni della Commissione.
23 Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso nella sua interezza.
24 Per quanto attiene al primo motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha dichiarato, in primo luogo, che l’argomento della ricorrente non era idoneo a dimostrare che, nel caso di specie, non era stata garantita l’imparzialità tanto dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri all’interno del comitato consultivo quanto della Commissione. In secondo luogo, non invitando all’audizione del 23 aprile 2018 talune imprese e associazioni, la Commissione non aveva violato né le norme relative all’organizzazione delle audizioni né i diritti della difesa della ricorrente. In terzo luogo, i cambiamenti del contesto prodotti dal decorso del tempo non incidevano sulla possibilità, per la Commissione, di riaprire un procedimento a seguito dell’annullamento di una delle sue decisioni con sentenza della Corte o del Tribunale, purché tale istituzione avesse verificato che la prosecuzione del procedimento appariva ancora una soluzione adeguata alla situazione, cosa che la Commissione aveva fatto nel caso di specie. In quarto luogo, era infondato l’argomento diretto a dimostrare che il parere emesso dal comitato consultivo era viziato.
25 Per quanto concerne il terzo motivo in primo grado, il Tribunale ha considerato che né la durata delle fasi amministrative del procedimento condotto dalla Commissione né la durata totale di tale procedimento erano eccessive e che, in ogni caso, anche supponendo che la durata del procedimento potesse essere ritenuta contraria al principio del termine ragionevole, la ricorrente non aveva dimostrato alcuna lesione dei suoi diritti della difesa derivante da tale durata.
26 Con riferimento al quarto motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha dichiarato che, in primo luogo, la Commissione aveva sufficientemente spiegato le ragioni che l’avevano portata ad adottare una nuova decisione nonostante i due annullamenti intervenuti in precedenza; in secondo luogo, l’ammenda inflitta alla ricorrente nella decisione controversa continuava ad avere un effetto deterrente, poiché le ammende inflitte nelle decisioni del 2002 e del 2009 erano state rimborsate dopo l’annullamento di tali decisioni; in terzo luogo, prima dell’adozione della decisione controversa, la ricorrente non era ancora stata sanzionata per l’infrazione in questione, tenuto conto dei due annullamenti intervenuti; in quarto luogo, la ripresa del procedimento e l’adozione di una nuova decisione potevano agevolare il compito dei terzi intenzionati ad esperire un’azione risarcitoria, alla luce, segnatamente, del fatto che Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potevano essere interessati e che l’applicazione di diritti nazionali diversi dal diritto italiano non poteva essere esclusa dalla Commissione, e, in quinto luogo, il principio di proporzionalità non era stato violato.
27 Per quanto riguarda il quinto motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha dichiarato che il principio del ne bis in idem non era stato violato, poiché, alla data della sentenza impugnata, nessuna decisione aveva statuito in via definitiva sul merito della causa con riferimento alla partecipazione della ricorrente alle infrazioni che le erano addebitate.
28 Per quanto attiene al sesto motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha giudicato che l’eccezione di illegittimità riguardante l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 che esso comportava doveva essere respinta. La ricorrente non avrebbe dimostrato che il legislatore dell’Unione, nel contemperamento da esso effettuato tra gli obiettivi di cui occorreva tener conto al riguardo, aveva oltrepassato il margine che deve essergli riconosciuto in detto ambito. Infatti, nel prevedere un termine di prescrizione di cinque anni per sanzionare infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione e, qualora tale termine sia interrotto, di dieci anni, sarebbe posto un limite rigoroso all’azione della Commissione nel tempo. Per quanto attiene al fatto che, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003, la prescrizione è sospesa durante i procedimenti di ricorso avverso la decisione della Commissione, il Tribunale ha sottolineato che si tratta di situazioni nelle quali l’inerzia della Commissione non è la conseguenza di una mancanza di diligenza da parte di tale istituzione.
29 Per quanto concerne l’ottavo motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha considerato che, in primo luogo, la maggiorazione dell’ammenda inflitta alla ricorrente a titolo di recidiva era sufficientemente prevedibile per quest’ultima e non violava quindi i suoi diritti della difesa, in secondo luogo, il termine da prendere in considerazione al fine di decidere se occorresse imporre una siffatta maggiorazione non era eccessivamente lungo, e, in terzo luogo, la maggiorazione del 50% applicata nel caso di specie a titolo di recidiva non era eccessiva.
30 Per quanto attiene al nono motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha giudicato che, in primo luogo, la differenza tra le percentuali di riduzione concesse alla ricorrente e a un’altra impresa, per la mancata partecipazione di tali imprese a una componente specifica dell’intesa di cui alla decisione controversa, era giustificata, e, in secondo luogo, che la Commissione non aveva fornito tardivamente le informazioni ad essa afferenti.
Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte
31 Con la sua impugnazione, la ricorrente chiede che la Corte voglia:
– in via principale, annullare la sentenza impugnata e, conseguentemente, annullare la decisione controversa;
– in via subordinata, annullare la sentenza impugnata nella misura in cui essa ha respinto la sua domanda presentata in via subordinata volta a ottenere l’annullamento parziale della decisione controversa, annullare parzialmente tale decisione e ridurre l’ammenda che le è stata inflitta;
– condannare la Commissione alle spese dei due gradi di giudizio.
32 La Commissione chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione e
– condannare la ricorrente alle spese.
33 Il Consiglio chiede che la Corte voglia respingere l’eccezione di illegittimità dell’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 e condannare la ricorrente alle spese dell’impugnazione.
Sull’impugnazione
34 A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce otto motivi.
Sul primo motivo d’impugnazione
35 Con il suo primo motivo d’impugnazione, che si articola in quattro parti, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato i diritti della difesa, avrebbe omesso di esaminare elementi di prova, avrebbe manifestamente snaturato i fatti e gli elementi di prova, avrebbe violato il suo obbligo di motivare le sentenze e avrebbe effettuato valutazioni arbitrarie.
Sulla terza parte
– Argomenti delle parti
36 Con la terza parte del suo primo motivo d’impugnazione, che occorre esaminare in primo luogo, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel considerare, ai punti da 158 a 162 della sentenza impugnata, che, nonostante i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato, la Commissione aveva potuto porre rimedio al vizio procedurale censurato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716) organizzando l’audizione del 23 aprile 2018. Essa contesta la motivazione esposta ai punti 159 e 160 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha considerato che, a causa del tempo trascorso, nessuna audizione poteva essere organizzata in condizioni equivalenti a quelle esistenti nel 2002. Secondo la ricorrente, l’illegittimità constatata dalla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), sarebbe insanabile non a causa dei cambiamenti intervenuti nel corso del tempo, ma del concorso colpevole di detta istituzione nel commettere tale illegittimità.
37 La Commissione sostiene che tale argomento è nuovo e, di conseguenza, irricevibile. In ogni caso, tale argomento sarebbe privo di fondamento.
– Giudizio della Corte
38 Conformemente all’articolo 170, paragrafo 1, seconda frase, del regolamento di procedura della Corte, l’impugnazione non può modificare l’oggetto del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale. Infatti, secondo costante giurisprudenza, consentire a una parte di sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte motivi e argomenti non dedotti dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in sede d’impugnazione è limitata, una controversia più ampia di quella di cui era stato investito il Tribunale. Nell’ambito di un’impugnazione, la competenza della Corte è pertanto limitata all’esame della valutazione da parte del Tribunale dei motivi e degli argomenti discussi dinanzi ad esso (sentenza del 29 febbraio 2024, Euranimi/Commissione, C‑95/23 P, EU:C:2024:177, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).
39 Al punto 158 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la censura della ricorrente, secondo cui era impossibile rimediare al vizio procedurale censurato dalla Corte, si fondava sulla constatazione secondo cui, a causa del periodo trascorso, i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato erano tali che nessuna audizione poteva essere organizzata in condizioni identiche o, quantomeno, equivalenti a quelle esistenti nel 2002.
40 Tale descrizione della censura di primo grado non è stata contestata dalla ricorrente nella sua impugnazione. Orbene, si deve rilevare che da tale descrizione non emerge che, dinanzi al Tribunale, la ricorrente abbia sostenuto che gli errori in cui è incorsa la Commissione avrebbero reso insanabile il vizio procedurale constatato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716).
41 È vero che, nella replica, la ricorrente indica di aver sottolineato, ai punti 62, 82, 97, 127, 133, 136, 167, 182 e 205 del suo ricorso in primo grado, che l’effetto congiunto degli errori della Commissione e della durata abnorme della procedura rendevano impossibile sanare il vizio procedurale constatato dalla Corte. Non emerge tuttavia da alcuno di tali punti che la ricorrente avesse sostenuto, dinanzi al Tribunale, che non erano stati i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo ad aver reso insanabile il vizio procedurale constatato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), bensì il concorso colpevole della Commissione alla realizzazione di tale illegittimità.
42 Ne consegue che, poiché l’argomento di cui alla terza parte del primo motivo d’impugnazione è stato dedotto per la prima volta dinanzi alla Corte, esso deve essere respinto in quanto irricevibile.
Sulla prima parte
– Argomenti delle parti
43 Con la prima parte del suo primo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale, ai punti da 64 a 78 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente dichiarato che, in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 e dell’adozione del parere del comitato consultivo, tanto la Commissione quanto i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri soddisfacevano il requisito d’imparzialità.
44 In primo luogo, ad avviso della ricorrente, tali autorità non potevano adottare posizioni diverse da quelle già contenute nella decisione del 2009 e che erano state confermate dal Tribunale nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035) nonché in altre sette sentenze pronunciate nel corso del 2014 sui ricorsi proposti da altri destinatari della decisione del 2009 avverso tale decisione (in prosieguo, congiuntamente: le «sentenze del 2014»), alcune delle quali erano divenute definitive.
45 In secondo luogo, la valutazione del Tribunale secondo cui il requisito d’imparzialità era stato rispettato per quanto concerne l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM, Italia) sarebbe errata e frutto di un palese snaturamento, se non di un’omessa valutazione tout court dei fatti e delle prove.
46 Il Tribunale avrebbe preso in considerazione il fatto che l’AGCM era a conoscenza della decisione del 2009 e della sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035). Tuttavia, il Tribunale avrebbe omesso di tener conto del fatto che, come dimostrerebbero vari documenti presentati al Tribunale, tale autorità si era basata su tale decisione e su tale sentenza nel sanzionare, nel 2017, un’intesa riguardante le stesse imprese e lo stesso tipo di comportamenti oggetto di tale decisione (in prosieguo: la «decisione dell’AGCM del 2017»). La ricorrente sottolinea che le due persone che rappresentavano l’AGCM all’audizione del 23 aprile 2018 avevano avuto un ruolo decisivo nel procedimento di adozione della decisione dell’AGCM del 2017.
47 Tenuto conto di tali elementi, i due assunti sui quali il Tribunale si è fondato al punto 75 della sentenza impugnata sarebbero errati. Da un lato, la circostanza che l’intesa di cui alla decisione dell’AGCM del 2017 era diversa da quella di cui alla decisione controversa sarebbe irrilevante. Dall’altro, l’assunto secondo cui la decisione dell’AGCM del 2017 non poteva condizionare tale autorità, poiché tale decisione era stata annullata da un organo giurisdizionale italiano, sarebbe altresì errato. Infatti, tale annullamento sarebbe successivo all’audizione del 23 aprile 2018, poiché risulterebbe da una sentenza del 12 giugno 2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia). Alla luce di quanto precede, la ricorrente ritiene che l’AGCM avesse interesse, in tale audizione, a veder confermati gli addebiti della Commissione. Inoltre, quando, il 27 giugno e il 1° luglio 2019, l’AGCM ha reso il parere in sede di comitato consultivo, l’appello che essa aveva interposto avverso tale sentenza era ancora pendente.
48 In terzo luogo, dopo le sentenze del 2014, la Commissione non avrebbe avuto alcun motivo di farsi influenzare da un eventuale parere contrario del comitato consultivo.
49 Inoltre, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe omesso di statuire sul suo argomento relativo alla violazione della presunzione d’innocenza, contenuto ai punti da 123 a 127 del ricorso in primo grado. Il Tribunale aveva constatato, nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), che la ricorrente aveva partecipato all’intesa oggetto della decisione controversa, circostanza che i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri non avrebbero potuto ignorare, né in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 né in occasione delle loro successive attività in seno al comitato consultivo.
50 La Commissione sostiene che tale argomento è irricevibile, poiché esso è, in parte, troppo impreciso e, in parte, nuovo. In ogni caso esso sarebbe infondato.
– Giudizio della Corte
51 Per quanto attiene alla ricevibilità della seconda parte del primo motivo d’impugnazione, occorre rammentare, da un lato, che dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE, dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché dall’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), e dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura risulta che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui è chiesto l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda, pena l’irricevibilità dell’impugnazione o del motivo in questione (sentenza dell’11 gennaio 2024, Foz/Consiglio, C‑524/22 P, EU:C:2024:23, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
52 Pertanto, gli elementi dell’impugnazione che non contengono alcuna argomentazione volta specificamente a identificare l’errore di diritto da cui sarebbe viziata la sentenza impugnata non soddisfano tale requisito e devono essere respinti in quanto irricevibili (sentenza del 22 giugno 2023, YG/Commissione, C‑818/21 P, EU:C:2023:511, punto 105 e giurisprudenza ivi citata).
53 Dall’altro lato, un ricorrente è legittimato a proporre un’impugnazione in cui fa valere, dinanzi alla Corte, motivi e argomenti derivanti dalla stessa sentenza impugnata e diretti a contestarne, in diritto, la fondatezza (sentenza del 6 luglio 2023, BEI e Commissione/ClientEarth, C‑212/21 P e C‑223/21 P, EU:C:2023:546, punto 96 nonché giurisprudenza ivi citata).
54 Nel caso di specie, sebbene la ricorrente menzioni, nel titolo del primo motivo, e per quanto riguarda l’audizione del 23 aprile 2018 e il parere del comitato consultivo, la violazione dell’articolo 266 TFUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), essa non spiega i motivi per i quali tali disposizioni potrebbero suffragare una censura relativa a una mancanza d’imparzialità dei membri del comitato consultivo e della Commissione, contrariamente alla giurisprudenza citata al punto 51 della presente sentenza. Ne consegue che tale parte del motivo deve essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui riguarda la violazione di dette disposizioni.
55 Invece, la censura relativa alla violazione del principio della presunzione d’innocenza, sancito all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta e all’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), è esposta in modo sufficientemente chiaro per comprendere che la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe omesso di statuire su una parte del suo ricorso in primo grado. Tale censura è quindi ricevibile.
56 Inoltre, la ricorrente sosteneva dinanzi al Tribunale che, tenuto conto della decisione dell’AGCM del 2017, non si poteva ritenere che i rappresentanti dell’AGCM che avevano partecipato all’audizione del 23 aprile 2018 e ai lavori del comitato consultivo relativi all’adozione della decisione controversa fossero obiettivi e imparziali. Orbene, dal punto 75 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha respinto tale affermazione per il motivo che la decisione dell’AGCM del 2017 è stata successivamente annullata da una sentenza del 12 giugno 2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. Pertanto, conformemente alla giurisprudenza di cui al punto 53 della presente sentenza, la ricorrente è legittimata, nell’ambito della sua impugnazione, a contestare tale valutazione, facendo valere che la data di tale sentenza era rilevante.
57 Quanto al merito, occorre rilevare che il Tribunale ha, innanzitutto, rammentato, ai punti da 64 a 66 della sentenza impugnata, che poiché la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), è stata annullata dalla Corte, essa è scomparsa dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Successivamente, ai punti 71 e 72 della sentenza impugnata, ha dichiarato che «la possibile conoscenza di una soluzione adottata in precedenza e, se del caso, confermata in una sentenza del Tribunale successivamente annullata dalla Corte in sede d’impugnazione è insita nell’obbligo di trarre le conseguenze di un annullamento». Secondo il Tribunale, considerare che tale conoscenza possa «in quanto tale, impedire una riapertura del procedimento», sarebbe incompatibile con l’articolo 266 TFUE, che, in caso di annullamento sulla base dell’articolo 263 TFUE, impone alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione di prendere i provvedimenti che l’esecuzione delle sentenze emesse nei loro confronti comporta, senza tuttavia esonerarle dal compito consistente nell’assicurare, nei settori rientranti nella loro competenza, l’applicazione del diritto dell’Unione. Infine, il Tribunale ha considerato, al punto 73 di tale sentenza, che, in circostanze siffatte, una riapertura del procedimento sarebbe vietata soltanto nel caso in cui, adducendo indizi concreti, la ricorrente potesse dimostrare che l’imparzialità dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e della Commissione «è stata concretamente pregiudicata in modo negativo».
58 Tale valutazione non è inficiata da alcun errore di diritto.
59 Al riguardo, occorre rammentare che il diritto ad una buona amministrazione, sancito all’articolo 41 della Carta, prevede che ogni persona abbia diritto, in particolare, a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione. Tale requisito di imparzialità comprende, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricata della questione deve manifestare opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (sentenza del 1° febbraio 2024, Scania e a./Commissione, C‑251/22 P, EU:C:2024:103, punto 70 nonché giurisprudenza ivi citata).
60 Nella fattispecie, fatta eccezione per il caso dell’AGCM, l’argomento della ricorrente riguarda soltanto l’imparzialità oggettiva dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e della Commissione.
61 Orbene, anche supponendo che il requisito dell’imparzialità, quale discende dall’articolo 41 della Carta, si applichi altresì per quanto concerne i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, quando partecipano a un’audizione e quando contribuiscono al parere che deve essere emesso dal comitato consultivo su un progetto di decisione della Commissione in materia di concorrenza, la sola conoscenza, da parte di tali rappresentanti, di una precedente decisione della Commissione, confermata in una sentenza del Tribunale e annullata in seguito dalla Corte, non può essere sufficiente, di per sé e in assenza di qualsiasi altro elemento oggettivo, per suscitare un dubbio legittimo, agli occhi dei terzi, quanto all’esistenza di eventuali pregiudizi da parte di detti rappresentanti. Infatti, i membri del comitato consultivo, quando partecipano a un’audizione e contribuiscono all’elaborazione del parere di tale comitato su un progetto di decisione della Commissione in materia di concorrenza, non sono tenuti a prendere in considerazione tale precedente decisione. La sola conoscenza di una siffatta decisione non può quindi, di per sé, suscitare un dubbio legittimo quanto all’esistenza di eventuali pregiudizi da parte dei membri di detto comitato.
62 Ciò vale, a maggior ragione, per quanto concerne la Commissione. Infatti, l’argomento della ricorrente, se dovesse essere accolto, avrebbe come conseguenza di vietare a tale istituzione di riprendere il procedimento dopo l’annullamento di una decisione da parte del Tribunale o della Corte, non foss’altro che in una situazione come quella del caso di specie, e ciò anche in assenza di indizi concreti che possano far sorgere un dubbio legittimo riguardante la sua imparzialità. Come correttamente rilevato dal Tribunale, un siffatto divieto sarebbe incompatibile con l’articolo 266 TFUE che, in caso di annullamento di un atto, impone alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione da cui emana tale atto di prendere i provvedimenti che l’esecuzione delle sentenze emesse nei loro confronti comporta, senza escludere la possibilità di adottare un nuovo atto, privo dei vizi constatati dal giudice dell’Unione. Inoltre, una tale soluzione impedirebbe alla Commissione di svolgere la sua missione di garantire, nei settori di sua competenza, l’applicazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza.
63 Per quanto attiene all’asserita mancanza d’imparzialità dell’AGCM, la ricorrente sostiene che tale autorità si era fondata sulla decisione del 2009 e sulle sentenze del 2014 quando ha adottato la decisione dell’AGCM del 2017.
64 Orbene, dalle prove invocate dalla ricorrente a tal riguardo emerge che la decisione del 2009 e le sentenze del 2014, sebbene menzionate nella decisione dell’AGCM del 2017, non costituiscono uno dei fondamenti di tale decisione. Inoltre, le affermazioni della ricorrente relative alla mancanza di obiettività o d’imparzialità dell’AGCM non erano esposte in modo chiaro nel suo ricorso in primo grado. Alla luce di tali circostanze, il Tribunale non ha snaturato i fatti e gli elementi di prova né omesso di statuire sull’argomento della ricorrente.
65 Per quanto attiene alla censura secondo cui il Tribunale avrebbe omesso di statuire sull’argomento relativo alla violazione del principio della presunzione d’innocenza, occorre rilevare che la ricorrente sosteneva, in primo luogo, che, poiché il Tribunale, nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), aveva già accertato la sua partecipazione all’intesa, i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri non erano in grado, all’audizione del 23 aprile 2018 e nel corso delle successive attività del comitato consultivo, di presumere la sua innocenza. Tale censura si confondeva quindi con l’argomento con cui la ricorrente sosteneva in generale che tali autorità non erano imparziali. Orbene, poiché il Tribunale ha respinto tale argomento nella sua interezza, esso non era tenuto a pronunciarsi in modo specifico su detta censura. Occorre rilevare, al riguardo, che la ricorrente non aveva invocato alcun argomento diretto a completare in modo specifico la sua censura relativa al rispetto della presunzione d’innocenza.
66 Ne consegue che la prima parte del primo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondata.
Sulla seconda parte
– Argomenti delle parti
67 Con la seconda parte del primo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel respingere, ai punti da 79 a 157 della sentenza impugnata, il suo argomento vertente sulla natura incompleta dell’audizione del 23 aprile 2018, in quanto la Commissione non aveva invitato la Riva, la Leali, la IRO, la Lucchini, la Federazione e l’Ansfer, sarebbe incorso in errori di diritto. In particolare, il Tribunale avrebbe risposto in modo errato alla questione se, per quanto riguarda tale audizione, la Commissione avesse ostacolato i diritti della difesa della ricorrente, in un qualsiasi altro modo diverso dalla violazione di una norma per essa vincolante.
68 In primo luogo, per quanto attiene alla Riva, la ricorrente sostiene che tale impresa destinataria della decisione controversa sarebbe stata costretta a rinunciare a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. In effetti, a causa del tempo trascorso dai fatti in questione, nessuno degli impiegati della Riva sarebbe stato in grado di riferire elementi utili ai fini delle contestazioni della Commissione. La ricorrente sottolinea che non sarebbe l’assenza della Riva in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 ad essere all’origine del pregiudizio ai sui diritti della difesa, ma la durata abnorme della procedura. Di conseguenza, tale durata eccezionalmente lunga avrebbe impedito al comitato consultivo di sentire la Riva e di acquisire un quadro completo del contesto e delle difese relativi al cartello che la Commissione intendeva sanzionare.
69 In secondo luogo, per quanto attiene alla situazione delle imprese e delle associazioni che, secondo la ricorrente, avrebbero dovuto essere invitate all’audizione del 23 aprile 2018 nella loro qualità di terzi interessati, conformemente all’articolo 27, paragrafo 3, seconda frase, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004, la ricorrente sostiene, da un lato, che il Tribunale avrebbe respinto, al punto 102 della sentenza impugnata, il suo argomento relativo alla violazione dei diritti della difesa risultante dall’assenza della Leali, della IRO e della Federazione, basandosi su considerazioni irrilevanti.
70 Dall’altro lato, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che la Commissione aveva validamente ritenuto che la Lucchini e l’Ansfer non avessero la qualità di terzo interessato.
71 La valutazione del Tribunale relativa alla Lucchini sarebbe arbitraria, rigida e formalistica. Infatti, essa non consentirebbe di comprendere perché la domanda della Lucchini diretta ad essere autorizzata, in quanto parte alla procedura, a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 non potesse essere interpretata nel senso che tale impresa intendeva essere invitata in quanto terzo interessato.
72 Per quanto concerne la qualità di terzo interessato dell’Ansfer, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe statuito in modo contraddittorio, snaturato e valutato i fatti in modo arbitrario. Essa deduce, al riguardo, tre censure.
73 Innanzitutto, la motivazione esposta ai punti da 126 a 128 della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria. Infatti, dopo aver constatato che sarebbe legittimo che un soggetto a cui sia stata riconosciuta la qualità di terzo interessato in una fase precedente del procedimento conservi tale qualità durante tutto il procedimento, il Tribunale ha esaminato se, nel caso di specie, l’Ansfer avesse potuto conservare tale status.
74 Nel considerare poi, al punto 129 della sentenza impugnata, che «l’interesse manifestato dall’Ansfer a partecipare al procedimento non è stato conservato per tutta la durata di quest’ultimo», il Tribunale avrebbe snaturato il punto 110 della decisione controversa con cui la Commissione ha conferito all’Ansfer la qualità di terzo interessato. Inoltre, al punto 124 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe limitato la portata della censura di primo grado alla situazione procedurale dell’Ansfer nel corso del 2002.
75 Il Tribunale avrebbe altresì violato l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004, in forza del quale la Commissione è tenuta ad informare i terzi interessati circa la natura e l’oggetto del procedimento e ad invitarli, se ne fanno domanda nelle osservazioni scritte, a sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti. Orbene, sarebbe pacifico che la Commissione non ha informato l’Ansfer della ripresa del procedimento amministrativo nel dicembre 2017 né l’ha invitata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018.
76 Inoltre, il Tribunale avrebbe violato l’articolo 5, paragrafi 1 e 2 e l’articolo 6, paragrafo 2, della decisione 2011/695/UE del presidente della Commissione europea, del 13 ottobre 2011, relativa alla funzione e al mandato del consigliere-auditore per taluni procedimenti in materia di concorrenza (GU 2011, L 275, pag. 29).
77 Infine, anche supponendo che il Tribunale avesse potuto fondatamente considerare che era necessario valutare se l’Ansfer avesse potuto conservare il suo status di terzo interessato, il ragionamento contenuto ai punti da 132 a 135 della sentenza impugnata, sulla base del quale il Tribunale ha concluso che ciò non si era verificato, e che si fondava segnatamente su taluni fatti specifici, non sarebbe né logico né decisivo.
78 Infatti, innanzitutto, secondo la ricorrente, l’Ansfer non ha partecipato all’audizione del 30 settembre 2002, poiché essa riguardava non il merito della causa, ma unicamente la questione delle conseguenze giuridiche della scadenza del trattato CECA. Il fatto che tale associazione non ha preso la parola nel corso dell’audizione del 13 giugno 2002 sarebbe irrilevante, non sussistendo un obbligo in tal senso in capo ai partecipanti. Il fatto poi che le osservazioni scritte dell’Ansfer sono state versate agli atti e riprese successivamente nel progetto di decisione controversa non sarebbe per nulla decisivo, dato che, diversamente, non sarebbe nemmeno necessario invitare le parti a una nuova audizione. Infine, la valutazione, al punto 133 della sentenza impugnata, secondo cui sarebbe nell’interesse di una buona amministrazione «evitare una moltiplicazione di intervenienti», non sarebbe comprensibile, dato che i soggetti presenti all’audizione del 23 aprile 2018 sarebbero stati pochissimi.
79 In ogni caso, le considerazioni che precedono metterebbero in chiara luce l’arbitrarietà della valutazione della Commissione, come avallata dal Tribunale.
80 In terzo luogo, per quanto attiene alla situazione degli altri terzi, di cui all’articolo 27, paragrafo 3, prima frase, del regolamento n. 1/2003 e all’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004, ossia persone diverse dai destinatari della comunicazione degli addebiti e i terzi interessati, quali la Leali, la IRO e la Federazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato tali disposizioni.
81 Lo stesso varrebbe per quanto riguarda la Lucchini. Infatti, taluni destinatari delle decisioni del 2002 e del 2009 erano nel frattempo scomparsi dopo essere falliti, altri erano rimasti esclusi dal procedimento di adozione della decisione controversa, per non aver impugnato la decisione del 2002 o le sentenze del 2014. In tali circostanze, la Commissione avrebbe dovuto accogliere la domanda della Lucchini diretta a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. Il rifiuto della Commissione avrebbe violato i diritti della difesa delle imprese oggetto dell’indagine, che sono state private della possibilità di sfruttare a proprio favore la testimonianza della Lucchini. Inoltre, l’assenza di tale impresa avrebbe costituito un vulnus nelle prerogative dei membri del comitato consultivo che rappresentavano le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. La Commissione avrebbe quindi esercitato il suo potere di valutazione nei confronti della Lucchini in modo arbitrario, circostanza che il Tribunale avrebbe omesso di rilevare.
82 Per ragioni analoghe, la ricorrente sostiene che la Commissione era tenuta a invitare l’Ansfer a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di altro terzo, avendo la Commissione esercitato il suo margine discrezionale in modo arbitrario anche nei confronti di tale associazione.
83 La Commissione sostiene che l’argomento della ricorrente è irricevibile sotto vari profili. Innanzitutto, tale argomento mirerebbe, in sostanza, a ottenere dalla Corte una nuova valutazione dei fatti e degli elementi di prova prodotti in primo grado. Esso non si fonderebbe poi su alcuna specifica censura, ma si limiterebbe a formulare dubbi. Esso sarebbe inoltre troppo generico e non riguarderebbe specificamente alcun errore di diritto. Infine, le censure, vertenti su un asserito esercizio arbitrario, da parte della Commissione, del suo margine discrezionale sarebbero nuove. In ogni caso, l’argomento della ricorrente sarebbe infondato.
– Giudizio della Corte
84 In via preliminare, si deve rilevare che la ricorrente sottolinea che, a prescindere dalla questione se le imprese e associazioni in questione avessero diritto a partecipare a un’audizione prima che la decisione controversa potesse essere adottata, lo svolgimento dell’audizione del 23 aprile 2018, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, non avrebbe consentito a queste ultime di avere un quadro completo del contesto e delle difese relativi al cartello che la Commissione intendeva sanzionare, il che avrebbe violato i diritti della difesa della ricorrente. Tuttavia, dal suo argomento emerge che la ricorrente afferma altresì che, invitando talune imprese o associazioni a partecipare a tale audizione, la Commissione avrebbe violato le norme procedurali relative alle audizioni.
85 Per quanto riguarda, in primo luogo, la situazione della Riva, la ricorrente non contesta la constatazione del Tribunale, contenuta al punto 93 della sentenza impugnata, secondo cui tale impresa non ha chiesto di partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. La ricorrente non fornisce, contrariamente ai requisiti che discendono dalla giurisprudenza citata al punto 52 della presente sentenza, nessun argomento diretto specificamente a identificare l’errore di diritto di cui sarebbe viziata la sentenza impugnata. La seconda parte del primo motivo d’impugnazione deve quindi essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui riguarda la situazione della Riva.
86 Per quanto concerne, in secondo luogo, la situazione delle imprese e delle associazioni che possono essere ritenute terzi interessati, si deve rilevare, innanzitutto, che, sebbene la ricorrente contesti la rilevanza del motivo esposto al punto 102 della sentenza impugnata, secondo cui la Commissione, non invitando la Leali, la IRO e la Federazione a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di terzi interessati, non aveva violato i diritti della difesa della ricorrente, essa non invoca alcun errore di diritto al riguardo.
87 Per quanto attiene poi alla Lucchini, il Tribunale ha rilevato, al punto 103 della sentenza impugnata, che, dopo la riapertura del procedimento il 15 dicembre 2017, tale impresa aveva chiesto alla Commissione di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 non in qualità di terzo interessato, ma in quanto parte in tale procedimento, allo stesso titolo, in particolare, della ricorrente. Il Tribunale ha considerato, da un lato, che la Commissione non era incorsa in errore nel respingere la domanda della Lucchini, e, dall’altro, che quest’ultima non aveva fatto valere, in seguito, che essa poteva essere invitata all’audizione in qualità di terzo interessato. Il Tribunale, al punto 104 di tale sentenza, ha dedotto da tali constatazioni che la Commissione, astenendosi dall’invitare la Lucchini a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018, non aveva violato una norma procedurale atta ad incidere sull’esercizio, da parte della ricorrente, dei suoi diritti della difesa.
88 Al riguardo, la ricorrente non precisa gli argomenti giuridici sulla base dei quali essa critica tali punti della sentenza impugnata, ma si limita a chiedere alla Corte di riesaminare gli argomenti che aveva già presentato al Tribunale e di effettuare una nuova valutazione dei fatti senza invocare lo snaturamento.
89 Orbene, conformemente all’articolo 256, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, l’impugnazione è limitata ai motivi di diritto. Il Tribunale è competente in via esclusiva a constatare e a valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti e degli elementi di prova non costituisce quindi, salvo il caso di un loro snaturamento, una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte nell’ambito di un’impugnazione (sentenza del 29 febbraio 2024, Euranimi/Commissione, C‑95/23 P, EU:C:2024:177, punto 84 e giurisprudenza ivi citata).
90 Inoltre, l’argomento della ricorrente secondo cui la domanda della Lucchini diretta a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di parte al procedimento avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che essa era diretta altresì, in subordine, a partecipare a tale audizione in qualità di terzo interessato è stato dedotto per la prima volta nell’ambito della presente impugnazione.
91 L’argomento della ricorrente vertente sul fatto che la Lucchini avrebbe dovuto essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di terzo interessato deve quindi essere respinto in quanto irricevibile, alla luce della giurisprudenza citata ai punti 38 e 89 della presente sentenza.
92 Infine, per quanto attiene all’Ansfer, si deve rammentare che il Tribunale, al punto 130 della sentenza impugnata, ha elencato taluni fatti non contestati dalla ricorrente, ossia, segnatamente, che, nel 2002, avendo appreso dell’avvio del procedimento condotto dalla Commissione, l’Ansfer aveva chiesto di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 13 giugno 2002 in qualità di terzo interessato; che tale domanda era stata accettata dalla Commissione; che l’Ansfer si era presentata a detta audizione, in cui, senza che il suo rappresentante vi prendesse la parola, aveva presentato osservazioni scritte, e che, su tale base, l’Ansfer era stata invitata a partecipare all’audizione del 30 settembre 2002, relativa alle conseguenze della scadenza del Trattato CECA, ma che essa non aveva risposto a tale invito e non si era neppure presentata a tale audizione.
93 Basandosi su tali fatti, il Tribunale ha dichiarato, al punto 135 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva potuto considerare che l’Ansfer aveva rinunciato a partecipare al procedimento o, quanto meno, non intendeva sviluppare ulteriormente i suoi argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018.
94 Nessuna delle tre censure invocate dalla ricorrente avverso tale valutazione e sintetizzate ai punti da 73 a 79 della presente sentenza può essere accolta.
95 Contrariamente a quanto la ricorrente sostiene con la sua prima censura, il ragionamento del Tribunale illustrato ai punti da 126 a 128 della sentenza impugnata non rivela alcuna contraddizione. Infatti, dopo aver confermato, ai punti 126 e 127 di tale sentenza, il principio secondo cui un soggetto al quale è stato riconosciuto lo status di terzo interessato conserva tale status durante tutto il procedimento, anche se quest’ultimo è stato interrotto da procedimenti giurisdizionali che hanno dato luogo a sentenze di annullamento, il Tribunale ha sottolineato, al punto 128 di detta sentenza, che occorreva stabilire se, alla luce dei fatti del caso di specie, la situazione fosse diversa nel caso dell’Ansfer.
96 Per quanto concerne la seconda censura della ricorrente, certamente la constatazione al punto 129 della sentenza impugnata e sintetizzata al punto 74 della presente sentenza, secondo cui la ricorrente avrebbe riconosciuto che l’Ansfer non aveva conservato il suo interesse a partecipare al procedimento durante tutta la durata di tale procedimento, non riflette esattamente l’argomento della ricorrente in primo grado. Infatti, quest’ultima sosteneva che l’Ansfer aveva conservato tale status e avrebbe, pertanto, dovuto essere invitata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018.
97 Tuttavia, dal contesto in cui si inserisce tale constatazione emerge che il Tribunale non ha snaturato la sostanza dell’argomento della ricorrente. Infatti, ai punti 123 e 125 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rammentato che la ricorrente aveva sostenuto che l’Ansfer aveva ottenuto lo status di terzo interessato e non lo aveva perso nel corso del procedimento.
98 Al punto 129 della sentenza impugnata, l’inciso «senza che ciò sia contestato dalla ricorrente» può essere inteso come riferito ai fatti elencati al punto 130 di tale sentenza e sintetizzati al punto 92 della presente sentenza. Orbene, tali fatti non erano effettivamente contestati dalla ricorrente. L’errore dedotto dalla ricorrente deriva quindi da una lettura errata della sentenza impugnata e non è tale da comportare l’annullamento del dispositivo di tale sentenza.
99 Inoltre, la ricorrente sostiene che il Tribunale, al punto 129 della sentenza impugnata, avrebbe snaturato il punto 110 della decisione controversa. Tuttavia, tale argomento deriva da una lettura erronea di tale punto. Infatti, detto punto si limita a rilevare che, in un certo momento, il consigliere‑auditore aveva considerato che l’Ansfer era un terzo interessato, ma non si pronuncia sulla questione se tale associazione, dopo la riapertura del procedimento, conservasse tale status in particolare ai fini dell’audizione del 23 aprile 2018.
100 Peraltro, la ricorrente sostiene che, al punto 124 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe snaturato il suo argomento in primo grado riducendone la portata alla sola situazione procedurale esistente nel corso del 2002. Tuttavia, al punto 125 di tale sentenza, il Tribunale ha precisato che la ricorrente aveva sostenuto che lo status di terzo interessato riconosciuto all’Ansfer avrebbe dovuto indurre la Commissione a invitare tale associazione all’audizione del 23 aprile 2018. L’argomento della ricorrente si basa quindi su una lettura errata della sentenza impugnata.
101 In tale contesto, l’argomento della ricorrente non può essere inteso nel senso che esso mira altresì a contestare la motivazione con cui il Tribunale ha considerato che la Commissione aveva potuto non informare l’Ansfer della ripresa del procedimento amministrativo nel dicembre 2017. Infatti, tale motivazione, contenuta ai punti da 108 a 122 della sentenza impugnata, non è censurata dall’impugnazione, dato che la ricorrente si limita a sostenere che detta motivazione è irrilevante.
102 Occorre altresì rilevare che la ricorrente si è limitata ad affermare che il Tribunale avrebbe violato le disposizioni dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 6, paragrafo 2, della decisione 2011/695 relativa al consigliere-auditore, senza tuttavia indicare in maniera precisa i punti della sentenza impugnata che essa intendeva in tal modo criticare nonché gli argomenti giuridici a specifico sostegno di tale critica, in violazione delle disposizioni di cui al punto 51 della presente sentenza.
103 Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la valutazione effettuata dal Tribunale al punto 133 della sentenza impugnata, secondo cui era nell’interesse di una buona amministrazione evitare una moltiplicazione di intervenienti, non è priva di senso. Infatti, dal punto 134 di tale sentenza emerge che era alla luce di tale valutazione che il Tribunale aveva rilevato che l’Ansfer era stata invitata a partecipare ad audizioni nel corso del 2002 in quanto terzo interessato. Invece, dalla sentenza impugnata non emerge che il Tribunale si sia fondato su tale valutazione per dichiarare che la Commissione non era incorsa in errori nel considerare che l’Ansfer aveva in seguito perso tale status.
104 Per quanto riguarda la terza censura, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto nel considerare che un soggetto che è stato riconosciuto quale terzo interessato può successivamente perdere tale status, in particolare in base al suo comportamento.
105 La ricorrente, con il pretesto d’invocare un errore di diritto, chiede in realtà alla Corte di effettuare una nuova valutazione dei fatti menzionati al punto 92 della presente sentenza, senza dedurre il loro snaturamento. Conformemente alle disposizioni rammentate al punto 89 della presente sentenza, tale terza censura deve quindi essere respinta in quanto irricevibile.
106 Inoltre, criticando l’arbitrarietà della valutazione della situazione dell’Ansfer da parte della Commissione, la ricorrente solleva nell’ambito della presente impugnazione un argomento giuridico nuovo che deve, pertanto, essere respinto in quanto irricevibile, in applicazione delle norme relative al procedimento d’impugnazione che sono state rammentate al punto 38 della presente sentenza.
107 Per quanto attiene, in terzo luogo, alla situazione di altri terzi, la ricorrente sostiene che il Tribunale, convalidando la decisione della Commissione di non invitare, in tale qualità, la Leali, la IRO, la Lucchini, la Federazione e l’Ansfer all’audizione del 23 aprile 2018, sarebbe incorso in errore nell’applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, prima frase, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004.
108 Tali disposizioni prevedono, come emerge dalla loro formulazione, la possibilità, e non l’obbligo, per la Commissione, da un lato, di sentire persone fisiche o giuridiche diverse dalle persone soggette al procedimento e dai terzi interessati e, dall’altro, di invitarli a presentare osservazioni scritte e ad assistere all’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti. Ne consegue che, come rilevato dal Tribunale al punto 149 della sentenza impugnata, la Commissione dispone di un margine discrezionale per stabilire se la partecipazione di tali terzi possa essere utile. Di conseguenza, la violazione di tali disposizioni può essere constatata solo qualora fosse dimostrato che la Commissione aveva manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale.
109 Orbene, la ricorrente non indica che fosse questo il caso con riferimento alla Leali, alla IRO e alla Federazione.
110 Vero è che la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe esercitato il suo potere discrezionale in modo arbitrario nei confronti della Lucchini e dell’Ansfer. Tuttavia, poiché tale argomento è stato sollevato per la prima volta nell’ambito della presente impugnazione, esso deve essere considerato irricevibile, tenuto conto della giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza.
111 La ricorrente sostiene inoltre che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nell’omettere di esaminare se la Commissione avesse ostacolato i suoi diritti della difesa, in un qualsiasi altro modo diverso dalla violazione di una norma per essa vincolante. Si deve rilevare che, al punto 156 della sentenza impugnata, il Tribunale ha giudicato che la ricorrente «non [aveva] dimostrato di essere stata ostacolata nell’esercizio dei suoi diritti della difesa a prescindere dalla violazione di una norma, a causa dell’assenza di un’impresa o di un terzo durante l’audizione [del 23 aprile 2018]».
112 Un siffatto ostacolo all’esercizio dei suoi diritti della difesa non è stato dimostrato dalla ricorrente neppure nella sua impugnazione.
113 Certamente, la presenza della Leali, della IRO, della Lucchini, della Federazione e dell’Ansfer a tale audizione avrebbe potuto essere utile, nel senso che avrebbe potuto fornire al comitato consultivo un quadro più completo del contesto e delle difese relativi al cartello. Tuttavia, tale considerazione ipotetica non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa della ricorrente.
114 Ne consegue che la seconda parte del primo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondata.
Sulla quarta parte
– Argomenti delle parti
115 Con la quarta parte del primo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che, nel dichiarare, ai punti da 163 a 195 della sentenza impugnata, da un lato, che i due membri del comitato consultivo che non avevano partecipato all’audizione del 23 aprile 2018 disponevano degli elementi necessari per statuire con piena cognizione di causa, anche senza la registrazione dell’audizione e, dall’altro lato, che l’assenza dell’autorità garante della concorrenza relatrice all’audizione non viziava il parere di tale comitato, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto.
116 Al punto 185 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rammentato che, secondo la giurisprudenza, qualora non siano stati comunicati al comitato consultivo elementi di valutazione importanti e inediti, si deve ritenere che quest’ultimo non sia stato posto in grado di emettere il proprio parere con piena cognizione di causa. Ad avviso della ricorrente, ciò si è verificato nel caso di specie. La ricorrente sostiene che le sue osservazioni orali nell’audizione del 23 aprile 2018 sono state riprodotte solo in parte nei documenti trasmessi al comitato consultivo. Infatti, in tale audizione, essa avrebbe affrontato in particolare la questione della situazione contemporanea del settore siderurgico.
117 Omettendo di confrontare il contenuto degli allegati A.7 ed E.1 prodotti nell’ambito del procedimento in primo grado, il Tribunale avrebbe così omesso di esaminare elementi di prova o, perlomeno, snaturato taluni atti. In tali circostanze, la ricorrente ritiene che, non disponendo della registrazione sonora dell’audizione, il comitato consultivo non ha avuto accesso ad elementi di valutazione importanti e inediti.
118 Per quanto attiene alla censura vertente sull’assenza dell’autorità garante della concorrenza relatrice all’audizione, la ricorrente prende atto della sentenza sulla quale si è basato il Tribunale, al punto 194 della sentenza impugnata, per dichiarare che la presenza di tale autorità all’audizione non era necessaria, invitando al contempo la Corte a fornire un «chiarimento» di tale punto. Essa rileva, al riguardo, che nella causa che ha portato a tale sentenza, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri avevano ricevuto una copia del verbale dell’audizione, il che non si sarebbe verificato nella presente causa. Inoltre, tenuto conto dell’importanza dell’autorità garante della concorrenza relatrice in seno al comitato consultivo, sarebbe illogico considerare che tale autorità possa attestare la regolarità di un’audizione alla quale non ha partecipato.
119 La Commissione sostiene che l’argomento della ricorrente è irricevibile e, in ogni caso, privo di fondamento.
– Giudizio della Corte
120 In primo luogo, la ricorrente afferma, in sostanza, di aver presentato oralmente all’audizione del 23 aprile 2018 elementi importanti e inediti. In assenza di due membri del comitato consultivo a tale audizione e non avendo avuto a disposizione una registrazione, tale comitato non avrebbe emesso il proprio parere con piena cognizione di causa.
121 Occorre rilevare che, al punto 186 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che, nel caso di specie, la ricorrente non aveva affermato che la mancata comunicazione della registrazione di tale audizione sarebbe stata tale da indurre in errore il comitato consultivo su punti essenziali e non aveva fornito alcuna indicazione relativa all’esistenza di un’eventuale divergenza tra le sue risposte scritte alle comunicazioni degli addebiti, quali trasmesse al comitato, e le sue osservazioni orali nel corso di detta audizione.
122 La ricorrente non ha contestato tale punto della sentenza impugnata nella sua impugnazione. Ne consegue che l’argomento vertente su un’asserita divergenza tra la sua presentazione orale all’audizione del 23 aprile 2018 e il contenuto dei documenti in possesso del comitato consultivo è stata sollevata per la prima volta dinanzi alla Corte, ed è quindi irricevibile, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza.
123 È vero che la ricorrente contesta il motivo illustrato al punto 187 della sentenza impugnata, secondo cui l’esame del fascicolo non aveva rivelato alcun indizio tale da mettere in dubbio il fatto che il comitato consultivo disponesse effettivamente, durante la sua riunione, degli elementi necessari alle sue deliberazioni. Tuttavia, con il pretesto di invocare uno snaturamento degli elementi di prova e degli atti di causa, la ricorrente si limita in realtà a fare riferimento in modo generale a due documenti contenuti nel fascicolo e ad elencare talune questioni asseritamente nuove che essa avrebbe affrontato all’audizione del 23 aprile 2018, senza fornire alcuna precisazione idonea a suffragare l’esistenza di un tale snaturamento. In particolare, la ricorrente afferma di aver affrontato, in sede di audizione, la questione della situazione contemporanea del settore siderurgico, anche alla luce dell’avviso di apertura, pubblicato nel marzo 2018, di un’inchiesta ai fini dell’adozione di misure di salvaguardia concernenti le importazioni di prodotti siderurgici. Tuttavia, tale affermazione non è sufficiente per dimostrare che le sue dichiarazioni orali in detta audizione contenevano elementi di valutazione importanti e inediti rispetto al contenuto dei documenti che erano stati trasmessi al comitato consultivo.
124 In secondo luogo, la ricorrente si limita a chiedere alla Corte di fornire un «chiarimento», senza tuttavia dedurre argomenti di diritto a specifico sostegno della sua domanda di annullamento della sentenza impugnata, contrariamente all’obbligo ad essa spettante in forza della giurisprudenza di cui al punto 51 della presente sentenza.
125 Parimenti, la ricorrente sostiene che sarebbe illogico ritenere che l’autorità garante della concorrenza relatrice possa attestare la regolarità di un’audizione alla quale non ha partecipato, senza fornire alcun argomento di diritto volto specificamente a mettere in discussione la motivazione esposta ai punti 192 e 193 della sentenza impugnata.
126 Ne consegue che la quarta parte del primo motivo d’impugnazione e, di conseguenza, tale motivo nella sua interezza devono essere respinti in quanto, in parte, irricevibili e, in parte, infondati.
Sul quinto motivo d’impugnazione
Argomenti delle parti
127 Con il suo quinto motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che la motivazione esposta ai punti da 349 a 367 della sentenza impugnata, con cui il Tribunale ha respinto l’eccezione di illegittimità relativa all’articolo 25 del regolamento n. 1/2003, è viziata da errori di diritto.
128 In primo luogo, la ricorrente rammenta che tale disposizione prevede che, in caso di interruzione della prescrizione, la prescrizione operi, al più tardi, entro un termine di dieci anni. Orbene, nel caso di specie, a causa della sospensione della prescrizione durante i procedimenti giudiziari, il procedimento sarebbe rimasto aperto più di vent’anni dopo la cessazione della condotta illecita, ossia una durata superiore «[a]l doppio del doppio» del termine di prescrizione ordinario. Tale circostanza sarebbe la prova che il legislatore dell’Unione non ha conciliato in modo equo le esigenze di certezza del diritto e di rispetto del diritto.
129 In secondo luogo, il ragionamento del Tribunale avrebbe l’effetto di obbligare la ricorrente ad accettare o di essere destinataria di una sanzione illecita oppure di essere perseguita illimitatamente nel tempo. Orbene, la Commissione non dovrebbe poter approfittare dei propri errori per beneficiare di una proroga del termine ad essa impartito per irrogare sanzioni. Inoltre, il diritto alla tutela giurisdizionale non dovrebbe ritorcersi contro il singolo, comportando, a suo sfavore, l’imprescrittibilità di fatto del potere sanzionatorio della Commissione.
130 In terzo luogo, la ricorrente osserva che, in caso di violazione del termine ragionevole, le imprese interessate possono chiedere l’annullamento della decisione che constata un’infrazione, a condizione che tale violazione abbia ostacolato l’esercizio dei loro diritti della difesa, o proporre un ricorso per risarcimento del danno. Ad avviso della ricorrente, l’unico rimedio in grado di garantire una tutela piena del principio del termine ragionevole consisterebbe tuttavia nell’annullamento della decisione adottata in caso di violazione manifesta di tale termine, e ciò a prescindere dalla scadenza del termine di prescrizione. Il considerando 37 del regolamento n. 1/2003, ai sensi del quale tale regolamento deve essere interpretato e applicato in relazione ai diritti fondamentali e ai principi sanciti nella Carta non troverebbe alcun riscontro nella formulazione dell’articolo 25 di tale regolamento.
131 In quarto luogo, per quanto attiene al principio di proporzionalità, la ricorrente afferma che il Tribunale ha fatto riferimento, segnatamente, alla sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 144), sebbene tale sentenza sia stata criticata nelle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2010:635, punti da 183 a 185). Il Tribunale avrebbe omesso di rispondere alla proposta della ricorrente che lo invitava ad adottare la soluzione caldeggiata in tali conclusioni.
132 Il Consiglio e la Commissione contestano l’argomento della ricorrente.
Giudizio della Corte
133 Come rammentato dal Tribunale al punto 354 della sentenza impugnata, l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 risulta da un contemperamento operato dal legislatore dell’Unione, nell’esercizio delle competenze ad esso conferite, tra due obiettivi, vale a dire, da un lato, la necessità di garantire la certezza del diritto evitando che possano essere indefinitamente messe in discussione situazioni consolidate con il decorso del tempo, e, dall’altro, l’esigenza di garantire il rispetto del diritto, definendo e sanzionando le infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione.
134 Al riguardo, e come rilevato dal Tribunale ai punti 355 e 356 della sentenza impugnata, il legislatore dell’Unione, nel cercare di conciliare tali obiettivi, non ha oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. Infatti, l’articolo 25, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 25, paragrafo 5, del regolamento n. 1/2003 prevedono, per quanto attiene al perseguimento delle infrazioni agli articoli 101 e 102 TFUE, che la prescrizione operi dopo un termine di cinque anni o, nel caso di un’interruzione della prescrizione, al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto, se la Commissione non ha irrogato un’ammenda o una penalità di mora entro tale termine. Da tali disposizioni risulta che il potere di tale istituzione di infliggere sanzioni è circoscritto da limiti rigorosi.
135 Il risultato di tale conciliazione è altresì conforme al principio di proporzionalità, come dichiarato dal Tribunale ai punti da 359 a 366 della sentenza impugnata.
136 Vero è che, in caso di ricorso dinanzi al giudice dell’Unione, il termine di prescrizione rimane sospeso fino al termine di tale procedimento contenzioso, conformemente all’articolo 25, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003. Come rilevato, in sostanza, dal Tribunale al punto 363 della sentenza impugnata, tale sospensione protegge la Commissione dall’effetto della prescrizione in situazioni in cui l’inerzia di tale istituzione non è la conseguenza di una mancanza di diligenza da parte sua. La possibilità che, a causa di siffatti periodi di sospensione, la durata totale di un procedimento superi, come nel caso di specie, in modo sostanziale, il termine di prescrizione fissato dall’articolo 25, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1/2003 a cinque o a dieci anni, o, in caso d’interruzione di questo, il termine di dieci anni previsto dall’articolo 25, paragrafo 5, di tale regolamento, non permette di considerare che il legislatore dell’Unione abbia oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale.
137 Come illustrato dal Tribunale, in sostanza, al punto 356 della sentenza impugnata, i singoli che ritengano di aver subito un procedimento di durata irragionevolmente lunga possono ottenere l’annullamento della decisione adottata al termine di tale procedimento, a condizione che tale durata abbia determinato una violazione dei diritti della difesa, o, in mancanza di una siffatta violazione dei diritti della difesa, proporre un ricorso per risarcimento danni dinanzi al giudice dell’Unione.
138 La circostanza che, nel caso di specie, la durata complessiva del procedimento eccede vent’anni, non consente di considerare che l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 è inficiato da illegittimità.
139 Tale conclusione non è messa in discussione dagli altri argomenti dedotti dalla ricorrente.
140 In primo luogo, alla luce dei termini di prescrizione rammentati al punto 134 della presente sentenza, e nonostante la durata del procedimento in questione, la ricorrente non può sostenere di essere esposta al rischio di essere indefinitamente perseguita dalla Commissione o a una imprescrittibilità di fatto del potere sanzionatorio di tale istituzione.
141 In secondo luogo, le difficoltà dinanzi alle quali potrebbe trovarsi un singolo qualora tenti di attuare i rimedi di cui al punto 137 della presente sentenza, per quanto importanti esse siano, non possono essere sufficienti per ritenere che solo l’annullamento della decisione che le impone una sanzione costituisca un rimedio effettivo in caso di violazione del principio del termine ragionevole, indipendentemente dalla scadenza del termine di prescrizione.
142 In terzo luogo, la ricorrente si limita ad affermare che il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta, sebbene rammentato al considerando 37 del regolamento n. 1/2003, non troverebbe riscontro nella formulazione dell’articolo 25 di tale regolamento, senza tuttavia fornire la minima precisazione al riguardo.
143 In quarto luogo, quanto alla pertinenza dell’interpretazione sostenuta ai paragrafi da 183 a 185 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2010:635), è sufficiente rammentare che, come riconosciuto del resto dalla stessa ricorrente, essa non ha trovato riscontro nella sentenza in tale causa, né più in generale, nella giurisprudenza della Corte.
144 Infine, nei limiti in cui la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi, nella sentenza impugnata, su tale passaggio delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2010:635) e avrebbe quindi omesso di statuire al riguardo, si deve rilevare che detto passaggio conteneva una proposta che verteva non già sulla validità delle norme in questione, ma sulla loro interpretazione. Di conseguenza, la posizione così espressa in tali conclusioni non può, in ogni caso, suffragare l’eccezione di illegittimità di cui al quinto motivo d’impugnazione.
145 Ne consegue che il quinto motivo d’impugnazione deve essere respinto in quanto infondato.
Sul secondo motivo d’impugnazione
146 Con il suo secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente contesta la motivazione con cui il Tribunale, ai punti da 229 a 272 della sentenza impugnata, ha considerato che il principio del termine ragionevole non era stato violato.
147 Tale motivo si articola in tre parti.
148 Con le due prime parti, la ricorrente contesta, da un lato, le valutazioni del Tribunale relative alla durata del procedimento di adozione della decisione del 2009 e della decisione controversa e, dall’altro, le valutazioni relative alla durata complessiva del procedimento che, al momento dell’adozione di quest’ultima decisione, avrebbe già superato i 19 anni.
149 Con la terza parte, essa contesta la valutazione del Tribunale secondo cui la durata del procedimento non ha pregiudicato i suoi diritti della difesa.
150 Come rammentato dal Tribunale, in sostanza, al punto 215 della sentenza impugnata, la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole può giustificare l’annullamento di una decisione adottata all’esito di un procedimento amministrativo basato sugli articoli 101 o 102 TFUE soltanto qualora essa comporta altresì una violazione dei diritti della difesa dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione, C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punti da 74 a 76 e giurisprudenza ivi citata).
151 Ne consegue che, come rilevato dal Tribunale al punto 230 della sentenza impugnata, la durata del procedimento può comportare l’annullamento di una decisione impugnata se ricorrono cumulativamente due condizioni: la prima, che tale durata appaia irragionevole e, la seconda, che il superamento del termine ragionevole abbia impedito l’esercizio dei diritti della difesa.
152 È alla luce della seconda di tali condizioni che occorre esaminare la terza parte del secondo motivo d’impugnazione.
Argomenti delle parti
153 Con la terza parte del secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che, contrariamente alle valutazioni effettuate ai punti da 266 a 272 della sentenza impugnata, la durata del procedimento avrebbe violato i suoi diritti della difesa e le avrebbe causato un pregiudizio. In particolare, sarebbe a causa dell’eccessiva durata di tale procedimento che la maggior parte dei soggetti che avrebbero potuto portare elementi utili alla sua difesa, inclusi elementi a discarico, non è riuscita a prendere parte all’audizione del 23 aprile 2018. Se tutte le parti interessate avessero potuto essere sentite sul merito degli addebiti prima dell’adozione della decisione del 2002, o della decisione del 2009, la Commissione avrebbe potuto adottare una decisione diversa.
154 La Commissione ritiene che tale argomento sia irricevibile e, in ogni caso, infondato.
Giudizio della Corte
155 A differenza di quanto sostiene la Commissione, la ricorrente non si limita a chiedere alla Corte di effettuare un nuovo esame del ricorso in primo grado e una nuova valutazione dei fatti, senza individuare con precisione gli errori commessi nella sentenza impugnata. Tuttavia, al fine di dimostrare che la durata del procedimento ha comportato una violazione dei suoi diritti della difesa, la ricorrente ribadisce l’argomento dedotto nell’ambito del suo primo motivo della presente impugnazione, che è stato respinto, al punto 126 della presente sentenza, in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondato.
156 Pertanto, la terza parte del secondo motivo deve, anch’essa, essere respinta.
157 Ne consegue che una delle due condizioni, di cui al punto 151 della presente sentenza, necessarie affinché la violazione del principio del termine ragionevole possa dar luogo all’annullamento di una decisione non è soddisfatta.
158 Il secondo motivo d’impugnazione, basato su una violazione del principio del termine ragionevole, deve dunque essere respinto in quanto infondato, senza che occorra esaminare la prima e la seconda parte di tale motivo d’impugnazione.
Sul terzo motivo d’impugnazione
Sulla prima parte
– Argomenti delle parti
159 Con la sua prima parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel dichiarare, ai punti da 275 a 296 della sentenza impugnata, che la Commissione ha sufficientemente spiegato le ragioni che l’hanno portata ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda, sarebbe incorso in un errore di diritto.
160 Il Tribunale, ai punti da 282 a 287 della sentenza impugnata, avrebbe, in sostanza, considerato: in primo luogo, che la Commissione aveva indicato che la durata del procedimento non comportava alcuna violazione del principio del termine ragionevole e che i diritti della difesa delle imprese non erano stati violati, dato che queste ultime, da un lato, avevano potuto presentare le loro osservazioni in merito alla riapertura del procedimento e, dall’altro, avevano parimenti esposto i loro argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018; in secondo luogo, che la Commissione, dopo aver effettuato una ponderazione dell’interesse generale a un’applicazione effettiva delle regole di concorrenza e dello scrupolo di mitigare le eventuali conseguenze degli errori procedurali che essa aveva commesso, aveva concluso che solo l’adozione della decisione controversa le avrebbe consentito di assicurarsi che gli autori dell’infrazione non restassero impuniti e fossero effettivamente dissuasi dall’adottare un comportamento simile in futuro, e, in terzo luogo, che tale istituzione aveva deciso di ridurre del 50% l’importo delle ammende inflitte, al fine di mitigare le conseguenze negative che potevano essere state causate dalla lunghezza del procedimento.
161 Secondo la ricorrente, la prima e la terza di tali considerazioni non sarebbero pertinenti per verificare il rispetto delle disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 1, ultima frase, del regolamento n. 1/2003, da cui risulterebbe che la Commissione può constatare che un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione è già cessata solo qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso. La seconda di tali considerazioni, oggetto dei punti da 284 a 286 della sentenza impugnata, non costituirebbe un motivo sufficiente per giustificare la valutazione del Tribunale, dato che, se solo l’imposizione di una sanzione consentisse alla Commissione di garantire l’assenza d’impunità delle infrazioni alle regole della concorrenza e della recidiva, il potere discrezionale che tale regolamento le conferisce sarebbe privo di senso.
162 In ogni caso, la ricorrente ritiene che i motivi addotti dalla Commissione per giustificare l’adozione della decisione controversa e approvati dal Tribunale sono infondati.
163 In primo luogo, il Tribunale avrebbe erroneamente considerato, al punto 290 della sentenza impugnata, che, al punto 567 della decisione controversa, la Commissione aveva risposto all’argomento della ricorrente che contestava a quest’ultima di non aver spiegato perché, in un momento in cui il mercato italiano era profondamente cambiato rispetto al periodo d’infrazione considerato, fosse necessario infliggere alla ricorrente, nel luglio 2019, una sanzione per un comportamento risalente a più di 30 anni. Orbene, tale punto della decisione controversa, che evidenzierebbe l’effetto deterrente della sanzione, non spiegherebbe perché tale effetto continuava a essere pertinente, mentre, in realtà, lo sarebbe stato solo all’avvio dell’istruttoria della Commissione nel corso del 2000. Detto punto non spiegherebbe neppure perché l’effetto deterrente dovrebbe essere «particolarmente auspicabile» in un mercato quale quello del tondo per cemento armato in Italia.
164 In secondo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di rilevare la genericità dell’affermazione, espressa al punto 562 della decisione controversa, secondo cui occorreva impedire alle imprese «di continuare o di riprendere la loro condotta anticoncorrenziale, senza che resti accertata la loro precedente responsabilità nell’infrazione commessa».
165 La Commissione contesta tale argomento.
– Giudizio della Corte
166 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la motivazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e all’organo giurisdizionale competente di esercitare il proprio controllo (sentenza del 9 novembre 2023, Altice Group Lux/Commissione, C‑746/21 P, EU:C:2023:836, punto 217 e giurisprudenza ivi citata).
167 Nel caso di specie, il Tribunale non è incorso in errori di diritto nel dichiarare, al punto 288 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva fornito una motivazione approfondita che faceva apparire, in forma chiara e non equivoca, il ragionamento da essa seguito per giustificare l’adozione di una nuova decisione irrogativa di sanzioni nonostante i due annullamenti intervenuti in precedenza.
168 Infatti, le spiegazioni fornite al riguardo nella decisione controversa e sintetizzate dal Tribunale ai punti da 282 a 287 della sentenza impugnata, precisano, in modo sufficientemente chiaro, i motivi che hanno condotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda.
169 Al riguardo, si deve rilevare, da un lato, che la sintesi di tali ragioni da parte della ricorrente, menzionata al punto 160 della presente sentenza, non è completa, in quanto omette di menzionare che il Tribunale, al punto 285 della sentenza impugnata, ha rammentato che, ai punti 560 e 561 della decisione controversa, la Commissione aveva rilevato che le imprese destinatarie di tale decisione avevano partecipato, per undici anni, a un’infrazione considerata come una restrizione fra le più serie in materia di concorrenza e che, in un simile contesto, il fatto di non riadottare una decisione che constata la partecipazione di tali imprese a detta infrazione sarebbe contrario all’interesse generale di garantire un’effettiva applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione e andrebbe al di là dell’interesse a mitigare le conseguenze di un’eventuale violazione dei diritti fondamentali subita da dette imprese. Tale constatazione era sufficiente, inoltre, per spiegare che la Commissione riteneva che sussistesse un interesse legittimo ad adottare la decisione controversa, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003.
170 Dall’altro lato, come rilevato dal Tribunale al punto 280 della sentenza impugnata, dopo l’annullamento delle due prime decisioni adottate dalla Commissione per sanzionare l’intesa in questione e il tempo, eccezionalmente lungo, trascorso tra i primi atti istruttori e l’adozione della decisione controversa, spettava a detta istituzione tener conto di tali circostanze nel momento in cui ha esposto le ragioni per le quali essa riteneva giustificata l’adozione di una nuova decisione irrogativa delle sanzioni. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tali considerazioni indicate ai punti 282 e 287 della sentenza impugnata erano pertinenti.
171 La valutazione esposta al punto 167 della presente sentenza non è messa in discussione dall’argomento con cui la ricorrente contesta i punti della motivazione della decisione controversa che giustificano un interesse legittimo all’adozione della decisione controversa.
172 Al riguardo, si deve ricordare che l’obbligo di motivare le decisioni costituisce una forma sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, attinente alla legittimità nel merito dell’atto controverso. Infatti, la motivazione di una decisione consiste nell’esprimere espressamente le ragioni su cui si fonda tale decisione. Qualora tali ragioni siano viziate da errori, questi ultimi viziano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima, che può essere sufficiente pur illustrando ragioni errate (sentenze del 18 aprile 2024, Dumitrescu e a./Commissione e Corte di giustizia, da C‑567/22 P a C‑570/22 P, EU:C:2024:336, punto 46, nonché giurisprudenza ivi citata).
173 Orbene, con il pretesto d’invocare una violazione dell’obbligo di motivazione, la ricorrente mira, in realtà, a mettere in discussione la fondatezza dei punti della motivazione su cui si basa la decisione controversa.
174 Tali argomenti non possono mettere in discussione i punti da 275 a 296 della sentenza impugnata con cui il Tribunale ha dichiarato che, nel caso di specie, la Commissione non aveva violato il suo obbligo di motivazione.
175 Ne consegue che la prima parte del terzo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto infondata.
Sulla seconda parte
– Argomenti delle parti
176 Con la seconda parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale, ai punti da 298 a 302 della sentenza impugnata, sarebbe incorso in un errore di diritto e avrebbe violato il suo obbligo di motivazione relativo all’effetto deterrente della decisione controversa.
177 In primo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di rispondere all’argomento della ricorrente vertente sul fatto che il Consiglio di Stato (Italia), con una sentenza del 21 gennaio 2020, aveva confermato l’inesistenza di un altro cartello a cui la ricorrente avrebbe asseritamente partecipato. Orbene, da tale sentenza emergerebbe che, dopo il 2000, la ricorrente ha esercitato la propria attività nel rispetto delle regole di concorrenza, cosicché l’obiettivo di dissuasione sotteso alla decisione del 2002 è stato pienamente raggiunto.
178 In secondo luogo, il Tribunale si sarebbe limitato, al punto 298 della sentenza impugnata, a enunciare considerazioni generali quanto all’effetto deterrente della decisione controversa.
179 In terzo luogo, la sentenza impugnata sarebbe viziata da una contraddizione nella motivazione. Infatti, dal punto 299 di tale sentenza emergerebbe che, secondo il Tribunale, la decisione di irrogare una sanzione nella decisione controversa trova la sua giustificazione, in termini di deterrenza, nella restituzione dell’importo delle ammende irrogate con tali decisioni conseguente all’annullamento delle decisioni del 2002 e del 2009. Orbene, al punto 660 di detta sentenza, il Tribunale avrebbe giudicato che l’obiettivo di dissuasione era già stato realizzato nei confronti della ricorrente, quantomeno in parte, con le sanzioni che le erano state inflitte nelle decisioni del 2002 e del 2009.
180 In quarto luogo, ai punti 300 e 301 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe omesso di tener conto del fatto che la pronuncia di due sanzioni, nelle decisioni del 2002 e del 2009, nonché le spese legali ad esse relative avrebbero già costituito per essa una sanzione, in particolare ledendo la sua reputazione. Al riguardo, la ricorrente rileva che dalla giurisprudenza del Tribunale, in particolare dalla sentenza del 12 dicembre 2018 Biogaran/Commissione (T‑677/14, EU:T:2018:910), risulta che si deve tener conto del pregiudizio non trascurabile alla reputazione derivante, per una persona giuridica, dal fatto che sia accertata la sua implicazione in un’infrazione alle norme in materia di concorrenza. Inoltre, le ragioni esposte al riguardo nella sentenza impugnata assumerebbero, a causa della loro generalità, la valenza di un vizio motivazionale.
181 La Commissione contesta tale argomento.
– Giudizio della Corte
182 Si deve rilevare, in primo luogo, che la sentenza del Consiglio di Stato del 21 gennaio 2020, alla quale fa riferimento la ricorrente, ha accertato l’inesistenza di un’infrazione per un altro cartello al quale la ricorrente aveva asseritamente partecipato. In ogni caso, tale sentenza non consente di dimostrare che, dopo il 2000, quest’ultima ha esercitato la propria attività nel rispetto delle regole di concorrenza e che l’obiettivo di dissuasione, già perseguito dalla decisione del 2002, era dunque già stato raggiunto. In tali circostanze, il Tribunale non può essere criticato per non essersi pronunciato su tale sentenza nella sentenza impugnata.
183 In secondo luogo, si deve rammentare che, al punto 298 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione aveva potuto considerare, alla luce del carattere grave dell’infrazione constatata, che il fatto di adottare una decisione e di infliggere una sanzione era ancora giustificato dall’effetto deterrente che avrebbe potuto produrre, sui mercati, tale decisione e la sanzione che essa comportava. Tale valutazione è esplicitata al punto 299 di tale sentenza, in cui il Tribunale ha sottolineato che è il fatto di dover versare un’ammenda che comporta un effetto deterrente dopo l’annullamento delle decisioni del 2002 e del 2009. Ne consegue che il punto 298 di detta sentenza, in combinato disposto con il punto 299 della medesima sentenza, lungi dall’enunciare considerazioni di natura generale, espone in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento del Tribunale.
184 In terzo luogo, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non sussiste alcuna contraddizione tra i motivi esposti ai punti 299 e 660 della sentenza impugnata. Infatti, se è vero che, in quest’ultimo punto, contenuto nella parte della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha esaminato, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, se occorresse concedere o meno una riduzione ulteriore dell’ammenda inflitta alla ricorrente, il Tribunale ha riconosciuto che le decisioni del 2002 e del 2009 avevano già avuto un certo effetto deterrente, emerge chiaramente dal contesto, e segnatamente dai punti 658, 659 e 661 di tale sentenza, che il Tribunale era del parere che l’obiettivo di dissuasione non era stato interamente raggiunto prima dell’adozione della decisione controversa. In siffatto contesto, l’imposizione di una sanzione alla ricorrente in tale decisione poteva infatti ritenersi giustificata alla luce della necessità di garantire l’effetto deterrente, come rilevato dal Tribunale al punto 299 della sentenza impugnata.
185 In quarto luogo, si deve rilevare che, ai punti 300 e 301 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che l’imposizione di un’ammenda aveva come obiettivo, nel caso di specie, non solo quello di conferire un certo effetto deterrente a tale decisione, ma anche quello di evitare che le imprese interessate godessero di una totale impunità.
186 Orbene, poiché le decisioni del 2002 e del 2009 erano state annullate e le ammende corrispondenti restituite, maggiorate degli interessi, solo una nuova decisione che infliggesse un’ammenda alla ricorrente avrebbe potuto garantire che la sua partecipazione all’intesa di cui alla decisione controversa non restasse impunita.
187 Quanto alle spese relative alle due controversie successive alla decisione del 2002, è sufficiente rilevare che, nella sentenza del 25 ottobre 2007, Ferriere Nord/Commissione (T‑94/03, EU:T:2007:320), il Tribunale ha condannato la Commissione a farsi carico delle spese sostenute dalla ricorrente e, nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha condannato la Commissione a farsi carico delle spese sostenute dalla ricorrente a titolo tanto del procedimento in primo grado quanto dell’impugnazione che ha dato luogo a tale sentenza.
188 Inoltre, è vero che, nella sentenza del 12 dicembre 2018, Biogaran/Commissione (T‑677/14, EU:T:2018:910), alla quale fa riferimento la ricorrente, il Tribunale ha tenuto conto del pregiudizio non trascurabile alla reputazione derivante, per una persona fisica o giuridica, dal fatto che sia accertata la sua implicazione in un’infrazione alle norme in materia di concorrenza. Tuttavia, tale valutazione non era diretta a indicare che un siffatto pregiudizio costituisce una forma di sanzione risultante dalla constatazione di un’infrazione tramite una decisione della Commissione, ma a spiegare perché è necessario che tale istituzione presenti prove precise e concordanti per dimostrare l’esistenza di una tale infrazione.
189 Tenuto conto di quanto precede, si deve concludere che il Tribunale non è incorso in errori di diritto nel dichiarare, al punto 300 della sentenza impugnata, che l’imposizione di un’ammenda nella decisione controversa mirava a evitare di conferire alle imprese interessate una totale impunità.
190 Ne consegue che la seconda parte del terzo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto infondata.
Sulla terza parte
– Argomenti delle parti
191 Con la terza parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, ai punti da 304 a 307 della sentenza impugnata, non ha rispettato il suo obbligo di motivazione nella misura in cui non ha risposto al suo argomento relativo alla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU.
192 La Commissione contesta tale argomento.
– Giudizio della Corte
193 Al punto 303 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la ricorrente aveva sostenuto in primo grado che il fatto di rivestire la qualità di imputato durante tutta la durata del procedimento le aveva inflitto una sanzione di per sé sufficiente. Il Tribunale ha respinto tale argomento dichiarando, ai punti 304 e 305 di tale sentenza, che la ricorrente, tenuto conto dell’annullamento delle due decisioni precedenti all’adozione della decisione controversa, non era ancora stata sanzionata per aver commesso un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione e che, in siffatte circostanze, l’adozione di tale decisione era diretta a garantire che la ricorrente sarebbe stata effettivamente sanzionata per tale infrazione.
194 A sostegno della terza parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente ribadisce che essa ha già subito una sanzione prima dell’adozione della decisione controversa, ma non presenta alcun argomento diretto a contestare, in modo specifico, il ragionamento del Tribunale di cui ai punti 304 e 305 della sentenza impugnata. Essa si limita ad affermare che il Tribunale ha omesso di statuire sul suo argomento relativo alla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU.
195 Al riguardo, si deve rilevare che, al punto 238 del suo ricorso introduttivo, la ricorrente aveva sostenuto che la circostanza di aver rivestito la qualità di «imputato» da ben 17 anni, ossia dalla ricezione della comunicazione degli addebiti nel marzo del 2002, oltre a costituire una violazione dell’articolo 6 della CEDU, che comporta l’obbligo di assicurare che l’interessato non sia costretto a rivestire la qualità di imputato troppo a lungo e che l’accusa elevata nei suoi confronti venga decisa in tempi ragionevoli, avrebbe costituito di per sé un notevole carico afflittivo.
196 Orbene, un siffatto argomento era diretto, come dimostra il titolo della sezione in cui è contenuto, a contestare i motivi della decisione controversa secondo i quali l’irrogazione di una sanzione era necessaria per evitare l’impunità delle imprese in questione. In tali circostanze, e in assenza di qualsiasi precisazione in tal senso, il Tribunale poteva legittimamente considerare che il riferimento all’articolo 6 della CEDU era diretto soltanto a rafforzare l’argomento della ricorrente volto a dimostrare che essa era già stata sanzionata prima dell’adozione della decisione controversa, al quale il Tribunale ha risposto ai punti 304 e 305 della sentenza impugnata.
197 Di conseguenza, nessuna omessa statuizione può essere contestata al Tribunale al riguardo.
198 Ne consegue che la terza parte del terzo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto infondata.
Sulla quarta parte
– Argomenti delle parti
199 Con la quarta parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, fondandosi, ai punti da 310 a 315 della sentenza impugnata, sulla possibilità, per taluni terzi, di proporre un’azione risarcitoria dinanzi ai giudici nazionali, avrebbe effettuato una sostituzione della motivazione, avrebbe omesso di esaminare atti versati al fascicolo e avrebbe invertito l’onere della prova.
200 La Commissione ritiene che poiché tale argomento è diretto contro punti della motivazione indicati ad abundantiam nella sentenza impugnata, esso dovrebbe essere respinto in quanto inconferente. In ogni caso, la quarta parte sarebbe priva di fondamento.
– Giudizio della Corte
201 Al punto 301 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione constatata dalla Commissione, l’obiettivo di evitare una totale impunità alle imprese interessate era sufficiente, di per sé, a giustificare l’adozione di una decisione irrogativa di una sanzione nel caso di specie.
202 Tale valutazione del Tribunale non è stata contestata dalla ricorrente nella sua impugnazione.
203 Ne consegue che il Tribunale, nell’indicare altre considerazioni che potessero giustificare l’adozione della decisione controversa, come ad esempio l’intenzione di tutelare il diritto di terzi a proporre un’azione risarcitoria dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali, ha esposto tali considerazioni ad abundantiam, al fine di rispondere in modo esaustivo agli argomenti della ricorrente.
204 Poiché le censure dedotte dalla ricorrente nell’ambito della quarta parte del terzo motivo d’impugnazione sono dirette contro punti ultronei della motivazione della sentenza impugnata, esse non possono pertanto comportare l’annullamento di tale sentenza.
205 La quarta parte del terzo motivo d’impugnazione dev’essere dunque respinta in quanto inconferente.
Sulla quinta parte
– Argomenti delle parti
206 Con la sua quinta parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel respingere, ai punti da 317 a 323 della sentenza impugnata, la sua censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità, si è basato su considerazioni irrilevanti e non sufficienti per giustificare tale rigetto.
207 Inoltre, dopo l’illustrazione di tale quinta parte, l’impugnazione contiene una sezione intitolata «Considerazioni conclusive», in cui la ricorrente ribadisce l’argomento sviluppato ai punti 242, 243 e da 252 a 254 del suo ricorso in primo grado.
208 La Commissione ritiene che detta quinta parte sia irricevibile, tenuto conto della sua natura vaga e generica. Essa sarebbe, in ogni caso, infondata.
– Giudizio della Corte
209 Si deve rilevare che la ricorrente si limita a contestare la rilevanza degli elementi presi in considerazione dal Tribunale ai punti da 317 a 323 della sentenza impugnata, senza indicare in modo preciso gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno della sua domanda volta all’annullamento di tale sentenza, contrariamente ai requisiti rammentati al punto 51 della presente sentenza.
210 Inoltre, non è conforme a tali requisiti un’impugnazione che, senza neppure contenere un argomento specificamente diretto a individuare l’errore di diritto di cui sarebbe viziata la decisione che è contestata, si limiti a ribadire o a riprodurre testualmente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al Tribunale. Infatti, un’impugnazione di tal genere costituisce, in realtà, una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame dell’atto introduttivo presentato dinanzi al Tribunale, che esula dalla competenza della Corte (sentenza del 9 febbraio 2023, Boshab/Consiglio, C‑708/21 P, EU:C:2023:84, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).
211 Orbene, nel caso di specie, con l’argomento sintetizzato al punto 207 della presente sentenza, la ricorrente si limita a ripetere, fatta eccezione per qualche modifica minore, l’argomento che essa aveva già presentato dinanzi al Tribunale.
212 Ne consegue che la quinta parte del terzo motivo d’impugnazione dev’essere respinta in quanto irricevibile.
213 Il terzo motivo d’impugnazione deve dunque essere respinto in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondato.
Sul quarto motivo d’impugnazione
Argomenti delle parti
214 Con il suo quarto motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel dichiarare ai punti da 326 a 342 della sentenza impugnata che il principio del ne bis in idem non ostava all’adozione della decisione controversa, avrebbe effettuato una falsa applicazione di tale principio.
215 Secondo la ricorrente, è vero che il principio del ne bis in idem non osta all’adozione di una nuova decisione quando la precedente è stata annullata per vizi di forma. Tuttavia, dalla sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582) emergerebbe che tale possibilità è subordinata alla condizione che non sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati. Orbene, tale condizione non sarebbe soddisfatta nel caso di specie, avendo il Tribunale statuito sul merito della causa nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035).
216 La ricorrente sottolinea che il Tribunale ha considerato che il principio del ne bis in idem si applica solo in caso di doppia sanzione, il che non corrisponderebbe alle circostanze della presenta causa, poiché la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), nonché la decisione del 2009 e la sanzione che essa prevedeva sono state annullate dalla Corte. Tuttavia, secondo la ricorrente, tale principio osta altresì a un cumulo di procedimenti, a maggior ragione quando un siffatto cumulo conduce, come nel caso di specie, a una nuova condanna per gli stessi fatti.
217 Inoltre, il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che il principio del ne bis in idem si applica solo in caso di doppia sanzione. Infatti, dall’articolo 50 della Carta risulterebbe che tale principio sarebbe altresì applicabile in caso di duplice condanna. Infatti, una persona potrebbe essere condannata per un comportamento illecito senza subire sanzioni.
218 Pur riconoscendo che l’articolo 50 della Carta si riferisce a una sentenza definitiva, la ricorrente sottolinea che la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), sebbene sia stata annullata dalla Corte, dovrebbe essere considerata, per quanto riguarda il merito, definitiva. Infatti, dalle conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause Feralpi e a./Commissione (C‑85/15 P, C‑86/16 P e C‑87/15 P, C‑88/15 P e C‑89/15 P, EU:C:2016:940), emergerebbe che l’impugnazione avverso tale sentenza avrebbe dovuto essere dichiarata irricevibile.
219 In ogni caso, le sentenze del 2014 non sarebbero tutte state oggetto d’impugnazione. Pertanto, la valutazione dei fatti costitutivi dell’intesa in questione, che erano comuni a tutte le imprese interessate, sarebbe divenuta definitiva. La valutazione del Tribunale, secondo cui le sentenze non produrrebbero effetti sulle imprese che non erano parti alle controversie definite con tali sentenze, sarebbe troppo formalistica e non terrebbe conto della vera essenza del principio del ne bis in idem.
220 La formulazione dell’articolo 50 della Carta non dovrebbe inoltre essere interpretata in modo troppo letterale. La ricorrente osserva, al riguardo, che dalla sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski (C‑486/14, EU:C:2016:483), emergerebbe che, in caso di archiviazione da parte di un pubblico ministero che abbia comunque esaminato i fatti, il principio del ne bis in idem è applicabile anche in assenza di una sentenza di assoluzione.
221 La Commissione contesta l’argomento della ricorrente.
Giudizio della Corte
222 L’articolo 50 della Carta stabilisce che «[n]essuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». Il principio del ne bis in idem vieta quindi un cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni aventi natura penale, ai sensi di tale articolo, per gli stessi fatti e nei confronti di una stessa persona (sentenza del 14 settembre 2023, Volkswagen Group Italia e Volkswagen Aktiengesellschaft, C‑27/22, EU:C:2023:663, punto 44 nonché giurisprudenza ivi citata).
223 Inoltre, la Corte ha già dichiarato che il principio del ne bis in idem deve essere rispettato nei procedimenti volti a infliggere ammende in materia di diritto della concorrenza. Tale principio vieta, in materia di concorrenza, che un’impresa venga nuovamente condannata o perseguita per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile (sentenza del 22 marzo 2022, Nordzucker e a., C‑151/20, EU:C:2022:203, punto 32 nonché giurisprudenza ivi citata).
224 Nel caso di specie, si deve rilevare che, alla data di adozione della decisione controversa, non vi era una decisione vertente sull’intesa oggetto della decisione controversa che non sarebbe stata più impugnabile e che sarebbe quindi divenuta definitiva. Infatti, se è vero che il Tribunale, nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), si è pronunciato, nel merito, sulla questione se la ricorrente potesse essere considerata responsabile per tale intesa, quale indicata nella decisione del 2009, tale sentenza, che è stata oggetto d’impugnazione dinanzi alla Corte, non è divenuta definitiva ed è stata in seguito integralmente annullata dalla Corte, così come la decisione del 2009.
225 Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la ripresa del procedimento e l’adozione della decisione controversa non sono incompatibili con la sentenza del 15 ottobre 2002 Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582).
226 Infatti, da tale sentenza emerge che, come rammentato dal Tribunale al punto 331 della sentenza impugnata, il principio del ne bis in idem vieta soltanto una nuova valutazione nel merito dei fatti materiali costituenti l’infrazione, che avrebbe come conseguenza l’irrogazione o di una seconda sanzione, che si cumulerebbe con la prima, nel caso in cui venisse nuovamente ritenuta sussistere una responsabilità, oppure di una prima sanzione, nell’ipotesi in cui la responsabilità, esclusa dalla prima pronuncia, sia reputata sussistere dalla seconda [sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 61]. Orbene, nel caso di specie non ricorre alcuna di tali due situazioni.
227 Certamente, la Corte ha aggiunto, al punto 62 di tale sentenza, che il principio del ne bis in idem non osta di per sé ad una riattivazione delle procedure sanzionatorie aventi ad oggetto lo stesso comportamento anticoncorrenziale nel caso in cui una prima decisione sia stata annullata per motivi di forma senza che sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati.
228 Tuttavia, così facendo, la Corte non ha indicato che il principio del ne bis in idem osta all’adozione di una nuova decisione dopo l’annullamento, su impugnazione, della sentenza con cui il Tribunale aveva statuito nel merito su una prima decisione e l’annullamento di tale prima decisione. Infatti, e come emerge dal medesimo punto 62 di detta sentenza, il principio del ne bis in idem può essere violato solo se vi è già una decisione definitiva nel merito della causa. Orbene, come rilevato al punto 224 della presente sentenza, una siffatta decisione definitiva non sussisteva per l’appunto al momento dell’adozione della decisione controversa.
229 La giurisprudenza citata al punto 227 della presente sentenza conferma inoltre che la riattivazione di un procedimento in materia di applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione, dopo l’annullamento di una prima decisione che pone fine a tale procedimento, non dà luogo a un cumulo di procedimenti.
230 Ne consegue che il Tribunale ha correttamente considerato che l’adozione della decisione controversa non violava il principio del ne bis in idem.
231 È vero che talune sentenze del 2014, riguardanti altre imprese, sono divenute definitive, non essendo state oggetto d’impugnazione. Tuttavia, tali sentenze, sebbene riguardassero la stessa intesa per la quale la ricorrente era stata perseguita, non costituiscono, rispetto a quest’ultima, una sentenza definitiva.
232 Parimenti, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la possibilità che una decisione adottata da un pubblico ministero possa essere rilevante per l’applicazione del principio del ne bis in idem non è tale da mettere in discussione detta valutazione, avendo la Corte precisato che, ai fini dell’applicazione di tale principio, una siffatta decisione deve essere definitiva (sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C‑486/14, EU:C:2016:483, punti da 52 a 54).
233 Alla luce di quanto precede, si deve respingere il quarto motivo d’impugnazione in quanto infondato.
Sul sesto motivo d’impugnazione
Argomenti delle parti
234 Con il suo sesto motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale, nell’omettere di constatare che la violazione dei diritti della difesa risultava dal fatto che la Commissione non aveva espressamente menzionato la sua intenzione di applicare alla ricorrente la circostanza aggravante della recidiva nella comunicazione degli addebiti, nella comunicazione degli addebiti supplementari o in un altro atto del procedimento riassunto nel 2017, privandola così della possibilità di presentare osservazioni su tale punto durante il procedimento amministrativo, sarebbe incorso in un errore di diritto ai punti da 535 a 551 della sentenza impugnata.
235 In primo luogo, il Tribunale non avrebbe tenuto conto della giurisprudenza della Corte, segnatamente della sentenza del 5 marzo 2015, Commissione e a./Versalis e a. (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150), e di quella della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 6 della CEDU. In secondo luogo, avrebbe violato le pertinenti disposizioni contenute negli atti di soft law che la Commissione si è imposta, ossia i punti 84, 86 e 109 della comunicazione del 2011. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di prendere in considerazione o snaturato la trascrizione di taluni passaggi dei file audio dell’udienza nella causa che ha portato alla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716). In quarto luogo, i fatti menzionati ai punti 547 e 548 della sentenza impugnata, così come quelli di cui ai punti da 543 a 546 di tale sentenza, sarebbero privi di pertinenza, dato che la comunicazione degli addebiti e le decisioni del 2002 e del 2009 non contenevano una motivazione relativa alla recidiva. In ogni caso, tali fatti avrebbero dovuto essere attualizzati in ragione della durata eccezionalmente lunga del procedimento. La circostanza riportata al punto 549 della sentenza impugnata sarebbe inconferente, in quanto il contenuto della lettera del 15 dicembre 2017 non avrebbe manifestamente soddisfatto i canoni stabiliti dalla giurisprudenza.
236 La Commissione ritiene che tale motivo d’impugnazione sia irricevibile e, in ogni caso, infondato.
Giudizio della Corte
237 Il Tribunale ha indicato, ai punti da 538 a 542 della sentenza impugnata, i criteri che consentono di verificare l’esistenza di un’eventuale violazione dei diritti della difesa della ricorrente, con riferimento alla presa in considerazione della recidiva nei suoi confronti.
238 Al punto 538 di tale sentenza, esso ha giudicato, facendo riferimento alla sentenza del 5 marzo 2015, Commissione e a./Versalis e a. (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150), che, quando la Commissione intende imputare una violazione del diritto della concorrenza a una persona giuridica e prevede di applicare nei suoi confronti, in siffatto contesto, la recidiva quale circostanza aggravante, la comunicazione degli addebiti da essa indirizzata a tale persona deve contenere tutti gli elementi che consentano a quest’ultima di garantire la sua difesa, in particolare quelli idonei a giustificare che le condizioni della recidiva sono soddisfatte nel caso di specie. Al punto 539 di detta sentenza, esso ha rammentato che era in tal senso che la Commissione, al punto 84 della sua comunicazione del 2011, si era impegnata a menzionare nella comunicazione degli addebiti, «in maniera sufficientemente precisa», i fatti che possono costituire circostanze aggravanti, e ha aggiunto, al punto 540 della medesima sentenza, che, secondo costante giurisprudenza, la recidiva dev’essere considerata come una circostanza che può rivestire siffatto carattere aggravante.
239 Al punto 541 della sentenza impugnata, il Tribunale ha precisato che l’obbligo descritto ai punti da 538 a 540 di tale sentenza discende dall’obbligo di rispettare i diritti della difesa, obbligo che costituisce un principio generale secondo cui, in qualsiasi procedimento con cui possono essere inflitte sanzioni, in particolare ammende o penalità di mora, le imprese e le associazioni di imprese interessate devono essere messe in grado, fin dal procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il loro punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza dei fatti, degli addebiti e delle circostanze allegate nei loro confronti.
240 Infine, al punto 542 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che, per verificare se il principio dei diritti della difesa sia stato rispettato, il giudice dell’Unione deve prendere in considerazione tutte le circostanze della causa, al fine di garantire che l’intenzione della Commissione di accertare un’infrazione o una determinata circostanza fosse sufficientemente prevedibile, agli occhi dell’impresa interessata, perché si possa ritenere che quest’ultima fosse stata messa in grado di formulare le sue osservazioni sul punto considerato.
241 La ricorrente non contesta tali spiegazioni del Tribunale.
242 La ricorrente sostiene, invece, essenzialmente, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel considerare che, nel caso di specie, il fatto che la Commissione avesse intenzione di accertare la recidiva, quale circostanza aggravante nei suoi confronti, era sufficientemente prevedibile.
243 Per respingere tale allegazione, il Tribunale si è fondato, da un lato, sul contenuto della comunicazione degli addebiti, di cui ai punti da 543 a 546 della sentenza impugnata, e, dall’altro, sulla lettera della Commissione del 15 dicembre 2017 con cui annunciava la ripresa del procedimento amministrativo, di cui ai punti da 547 a 549 di tale sentenza.
244 Sebbene la ricorrente affermi di non chiedere alla Corte di effettuare una nuova valutazione dei fatti, il suo argomento si focalizza quasi esclusivamente sul contenuto della comunicazione degli addebiti.
245 Orbene, dai punti 547 e 548 della sentenza impugnata emerge che la Commissione, nella sua lettera del 15 dicembre 2017 che annunciava la ripresa del procedimento amministrativo, ha informato la ricorrente che, nella decisione che avrebbe adottato al termine del procedimento, essa si sarebbe basata sugli addebiti risultanti dalla comunicazione degli addebiti, che aveva dato luogo all’adozione delle decisioni del 2002 e del 2009 e che la recidiva era stata presa in considerazione, in tali decisioni, per il calcolo dell’importo dell’ammenda della ricorrente, a titolo di circostanza aggravante.
246 Alla luce di quanto esposto, quand’anche la comunicazione degli addebiti non fosse stata chiara, il Tribunale, al punto 550 della sentenza impugnata, ha potuto considerare che l’intenzione della Commissione di applicare, nella decisione controversa, la recidiva quale circostanza aggravante nei confronti della ricorrente era sufficientemente prevedibile.
247 Inoltre, la Commissione ha constatato la recidiva della ricorrente sulla base di una precedente decisione che constatava un’infrazione commessa da quest’ultima, che era stata presa in considerazione per gli stessi fini nelle decisioni del 2002 e del 2009. In tali circostanze, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale non era tenuto a considerare che la Commissione avrebbe dovuto attualizzare gli elementi alla luce dei quali essa ha preso in considerazione la recidiva.
248 La ricorrente sostiene inoltre che taluni passaggi della registrazione dell’udienza nella causa che ha portato alla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), confermerebbero la plausibilità delle ragioni per le quali essa non aveva presentato osservazioni sulla recidiva dopo la ripresa del procedimento amministrativo. Tuttavia, la ricorrente non precisa le ragioni giuridiche per cui tali passaggi dimostrerebbero che essa era legittimata a ritenere che la Commissione, dopo la ripresa del procedimento, non potesse applicare la circostanza aggravante della recidiva senza informarne esplicitamente la stessa in anticipo.
249 Di conseguenza, la censura relativa a un’omessa statuizione o a uno snaturamento di detti passaggi deve essere respinta in quanto irricevibile, tenuto conto dei requisiti rammentati al punto 51 della presente sentenza.
250 Si deve, pertanto, respingere il sesto motivo d’impugnazione in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondato.
Sul settimo motivo d’impugnazione
Sulla prima parte
– Argomenti delle parti
251 Con la prima parte del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel respingere, ai punti da 565 a 579 della sentenza impugnata, la sua censura secondo cui la presa in considerazione della recidiva a titolo di circostanza aggravante sarebbe contraria al principio di proporzionalità, a causa del termine eccessivamente lungo del procedimento.
252 In primo luogo, il punto 575 della sentenza impugnata sarebbe inficiato da un vizio di motivazione. Infatti, mentre la ricorrente avrebbe fatto riferimento alla durata abnorme del procedimento in questione, il Tribunale avrebbe fatto riferimento, in tale punto 575, al breve termine che era trascorso tra l’infrazione precedente e l’infrazione sanzionata dalla decisione controversa.
253 In secondo luogo, il Tribunale avrebbe considerato che la Commissione poteva applicare la recidiva in ragione di un’infrazione constatata oltre 30 anni prima dell’adozione della decisione controversa. Così facendo, il Tribunale si sarebbe fondato su un’interpretazione manifestamente sproporzionata della nozione di recidiva. Tale interpretazione non potrebbe essere giustificata dall’obiettivo di garantire l’effetto dissuasivo di tale decisione, poiché, dopo il 2000, la ricorrente non si sarebbe più resa responsabile di condotte anticoncorrenziali. Il Tribunale non avrebbe dato alcun peso al carattere dissuasivo dei procedimenti giudiziari e amministrativi in cui la ricorrente era coinvolta.
254 Il Tribunale avrebbe altresì omesso di tener conto del fatto che la finalità di garantire l’effetto dissuasivo era stata presa in considerazione tanto per sanzionare l’intesa in questione quanto per aggravare l’ammenda a titolo di recidiva, comportando una duplicazione contraria al principio di proporzionalità.
255 Inoltre, la valutazione del Tribunale si concilierebbe difficilmente con il principio espresso nella sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione (C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punti 70 e 73), secondo cui il diritto della concorrenza dell’Unione non autorizza la Commissione a tenere conto di una recidiva senza limiti di tempo. La presa in considerazione, a titolo di recidiva, di fatti risalenti a oltre 30 anni prima dell’adozione della decisione controversa sarebbe quindi manifestamente sproporzionata e condurrebbe alla negazione sul piano pratico del principio espresso dalla Corte.
256 La Commissione sostiene che tale argomento è irricevibile e, in ogni caso, manifestamente infondato.
– Giudizio della Corte
257 Con tale motivo d’impugnazione, la ricorrente contesta al Tribunale un vizio di motivazione e un errore di diritto per quanto attiene all’interpretazione del principio di proporzionalità. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, detto motivo deve quindi essere ritenuto ricevibile.
258 Tuttavia, l’argomento della ricorrente è infondato.
259 In primo luogo, per quanto attiene alla motivazione del punto 575 della sentenza impugnata, da tale punto emerge che, al fine di esaminare se la Commissione potesse applicare la recidiva nei confronti della ricorrente, il Tribunale ha considerato che il termine che era trascorso tra l’infrazione precedentemente commessa da tale impresa e l’infrazione sanzionata dalla decisione controversa era breve. Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, il Tribunale non ha ignorato che la censura ad esso sottoposta non riguardava tale termine ma quello che era trascorso tra l’infrazione precedente e la data di adozione della decisione controversa. Infatti, non solo il Tribunale ha sintetizzato tale censura al punto 566 di tale sentenza, ma, al punto 575 di detta sentenza, ha altresì dichiarato che la Commissione poteva applicare la recidiva come circostanza aggravante nei confronti della ricorrente «malgrado il fatto che l’indagine [fosse] durata un certo tempo, a causa delle alee giudiziarie che essa ha conosciuto». Da tali elementi risulta che le allegazioni della ricorrente relative a un vizio di motivazione e a un’omessa statuizione si basano su una lettura errata della sentenza impugnata.
260 In secondo luogo, per quanto attiene alla censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità, si deve rammentare che tale principio esige, per consolidata giurisprudenza, che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a garantire la realizzazione dei legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa in questione e non vadano oltre quanto è necessario per conseguire tali obiettivi (sentenza del 9 dicembre 2020, Groupe Canal +/Commissione, C‑132/19 P, EU:C:2020:1007, punto 104 nonché giurisprudenza ivi citata).
261 Per quanto riguarda la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, occorre rammentare che tale maggiorazione è dovuta alla necessità di reprimere violazioni reiterate delle regole di concorrenza da parte della medesima impresa (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 61).
262 Al riguardo, si deve rilevare che la ricorrente non contesta la valutazione del Tribunale, contenuta al punto 553 della sentenza impugnata, secondo cui, in una prospettiva di dissuasione, la recidiva costituisce una circostanza che, secondo la giurisprudenza, giustifica un notevole aumento dell’importo di base dell’ammenda, poiché prova in effetti che la sanzione precedentemente imposta non è stata abbastanza dissuasiva.
263 La ricorrente non contesta nemmeno il rigetto, ai punti 557 e 564 della sentenza impugnata, della sua censura con cui aveva sostenuto che il termine trascorso tra l’infrazione precedentemente commessa e quella di cui alla decisione controversa era troppo lungo affinché la recidiva potesse essere applicata nei suoi confronti.
264 Infatti, la ricorrente si limita a sostenere che, dato che la finalità della presa in considerazione della recidiva sarebbe dissuadere un’impresa dal commettere nuove infrazioni al diritto della concorrenza, il principio di proporzionalità sarebbe stato violato nel caso di specie poiché, da un lato, essa non si sarebbe più resa colpevole di tali comportamenti dal 2000 e, dall’altro, i procedimenti amministrativi e giudiziari che hanno già avuto luogo con riferimento all’intesa oggetto della decisione controversa avevano inevitabilmente prodotto un effetto dissuasivo.
265 Orbene, si deve rammentare che, al punto 577 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che non si poteva escludere che la minaccia di sanzioni che gravava sulla ricorrente durante tutta l’indagine e l’irrogazione, in due occasioni, di una sanzione, avessero potuto avere un certo effetto dissuasivo. Il Tribunale ha tuttavia considerato, senza incorrere in errori di diritto, che «[è] la sanzione, vale a dire il fatto di pagare l’ammenda inflitta dalla Commissione, come maggiorata a titolo di recidiva, a dissuadere effettivamente un’impresa dal rendersi nuovamente colpevole di una violazione delle regole di concorrenza».
266 In ogni caso, la ricorrente non ha dimostrato che il solo fatto che sia trascorso un periodo considerevole tra le infrazioni constatate per prendere in considerazione la recidiva e l’adozione da parte della Commissione della decisione controversa avrebbe come conseguenza il fatto che tale presa in considerazione sarebbe sproporzionata.
267 Tale conclusione non è messa in discussione dagli altri argomenti dalla ricorrente.
268 In primo luogo, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto nel dichiarare che la Commissione poteva considerare, da un lato, che l’adozione di una nuova decisione che constata la partecipazione della ricorrente all’intesa era giustificata, tra l’altro, dallo scopo di dissuaderla dal commettere tali infrazioni in futuro e, dall’altro, che occorreva rafforzare tale effetto deterrente applicando la recidiva nei confronti di quest’ultima. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il fatto di aver preso in considerazione la recidiva, tanto per decidere sull’opportunità di adottare una nuova decisione che constata la sua partecipazione a un’infrazione quanto per calcolare l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta, non costituisce una «duplicazione» contraria al principio di proporzionalità.
269 In secondo luogo, è vero che il principio di proporzionalità esige che il tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e una violazione precedente delle regole di concorrenza venga preso in considerazione per valutare la propensione dell’impresa a sottrarsi a tali regole (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punti 70 e 73). Tuttavia, tale termine non è quello al quale fa riferimento la ricorrente a sostegno della sua censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità.
270 Ne consegue che la prima parte del settimo motivo d’impugnazione dev’essere respinta in quanto infondata.
Sulla seconda parte
– Argomenti delle parti
271 Con la seconda parte del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, in primo luogo, che i punti da 580 a 595 della sentenza impugnata sarebbero affetti da un vizio di motivazione. Essa indica di aver sostenuto, in primo grado, che la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva era sproporzionata tenuto conto, da un lato, del decorso di un lasso di tempo eccezionalmente lungo e, dall’altro, del carattere «lieve» della recidiva. Il Tribunale avrebbe esaminato solo il secondo di tali argomenti.
272 In secondo luogo, sarebbe evidente il carattere sproporzionato della maggiorazione dell’ammenda del 50% a causa della recidiva, dato che la decisione controversa è stata adottata oltre 30 anni dopo la decisione che constata l’infrazione precedente. Al riguardo, il Tribunale si sarebbe dovuto avvedere del carattere contraddittorio della decisione controversa. Infatti, la Commissione avrebbe ridotto del 50% l’importo di base dell’ammenda, tenuto conto della durata del procedimento, ma avrebbe omesso di prendere in considerazione tale durata del procedimento ai fini dell’applicazione della maggiorazione a titolo di recidiva. Per motivi di coerenza, la Commissione, in ragione del fattore tempo, avrebbe dovuto ridurre almeno della metà anche la percentuale di maggiorazione del 50% a titolo di recidiva. Inoltre, tale maggiorazione non può ontologicamente superare l’ammontare dell’ammenda. Orbene, nel caso di specie, l’importo di detta maggiorazione sarebbe approssimativamente pari al doppio dell’importo dell’ammenda che sarebbe stata irrogata alla ricorrente se tale circostanza aggravante non fosse stata applicata.
273 La Commissione sostiene che la ricorrente si limita a ripetere gli argomenti da essa fatti valere dinanzi al Tribunale e mirerebbe quindi a ottenere dalla Corte un nuovo esame del suo ricorso in primo grado. L’argomento della ricorrente sarebbe quindi irricevibile e, in ogni caso, infondato.
– Giudizio della Corte
274 Con la seconda parte del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato il suo obbligo di motivare le sue sentenze e sarebbe incorso in un errore d’interpretazione del principio di proporzionalità. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, detta parte del motivo d’impugnazione deve quindi essere ritenuta ricevibile.
275 Tuttavia, l’argomento della ricorrente è infondato.
276 In primo luogo, la ricorrente contesta al Tribunale di avere omesso di rispondere al suo argomento secondo cui la maggiorazione applicata dalla Commissione nei suoi confronti, a titolo di recidiva, era sproporzionata, tenuto conto della durata del procedimento. Al riguardo, si deve rilevare che, ai punti da 565 a 579 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’argomento della ricorrente secondo cui la constatazione della recidiva nei suoi confronti non era compatibile con il principio di proporzionalità. Pertanto, il Tribunale non era più tenuto a rispondere all’argomento della ricorrente secondo cui tale principio ostava altresì alla maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva.
277 In secondo luogo, la ricorrente non ha dimostrato che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione, nel fissare la percentuale della maggiorazione a titolo di recidiva al 50% dell’importo di base dell’ammenda, non aveva violato il principio di proporzionalità.
278 Occorre aggiungere che il fatto che, nella decisione controversa, la Commissione ha ridotto del 50% l’importo di base dell’ammenda, tenuto conto della durata del procedimento, applicando al contempo una percentuale di maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, non rivela alcuna contraddizione, poiché tali due elementi sono indipendenti l’uno dall’altro.
279 Infine, la ricorrente, nell’affermare che una maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva non può superare l’importo dell’ammenda, non indica alcuna norma giuridica a sostegno di tale affermazione ed effettua un calcolo che non solo non risulta corretto, ma si fonda altresì su una situazione ipotetica.
280 Alla luce di quanto precede, la seconda parte del settimo motivo d’impugnazione e, di conseguenza, tale motivo nella sua interezza devono essere respinti in quanto infondati.
Sull’ottavo motivo d’impugnazione
Argomenti delle parti
281 L’ottavo motivo d’impugnazione si articola in due parti.
282 Con la prima parte di tale motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel dichiarare, ai punti da 611 a 628 della sentenza impugnata, che la Commissione non ha violato il principio di parità di trattamento nell’applicarle una riduzione dell’importo dell’ammenda proporzionalmente meno rilevante di quella concessa alla Riva.
283 Secondo la ricorrente, dalla decisione controversa emerge che la Riva, che ha partecipato all’intesa oggetto di tale decisione per dieci anni e sei mesi in totale, ha beneficiato di una riduzione del 3% dell’importo dell’ammenda in ragione dell’interruzione della sua partecipazione, per un anno, alla componente di tale intesa relativa alla limitazione e al controllo della produzione o delle vendite. Invece, la ricorrente, che ha partecipato all’intesa per sette anni, avrebbe beneficiato di una riduzione del 6% per i tre anni durante i quali essa non ha partecipato a tale componente dell’intesa, ossia una riduzione di solamente il 2% per ciascuno di tali anni.
284 Con la seconda parte dell’ottavo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto omettendo di rilevare la tardività delle ragioni addotte dalla Commissione per giustificare la sua scelta di applicare riduzioni di ammenda diverse a comportamenti identici.
285 La Commissione ritiene che tale argomento sia irricevibile. La ricorrente si limiterebbe, in sostanza, a ripetere gli argomenti addotti in primo grado. Essa tenterebbe così di ottenere dalla Corte un riesame del ricorso presentato in primo grado. L’argomento della ricorrente sarebbe, in ogni caso, manifestamente infondato.
Giudizio della Corte
286 Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, le due parti dell’ottavo motivo d’impugnazione, nella parte in cui riguardano errori di diritto asseritamente commessi dal Tribunale, sono ricevibili.
287 Per quanto attiene alla prima parte, occorre rammentare che il principio di parità di trattamento, sancito dall’articolo 20 della Carta, esige che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenza del 18 aprile 2024, Dumitrescu e a./Commissione e Corte di giustizia, da C‑567/22 P a C‑570/22 P, EU:C:2024:336, punti 65 e 67 nonché giurisprudenza ivi citata).
288 Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata emerge che, nella decisione controversa, la Commissione ha constatato, da un lato, che tanto la ricorrente quanto la Riva avevano partecipato all’intesa oggetto di tale decisione e, dall’altro, che tali due imprese non avevano partecipato a una certa componente di tale intesa – la ricorrente per tre anni e la Riva per un anno.
289 Come rammentato dal Tribunale al punto 613 della sentenza impugnata, per il calcolo delle ammende inflitte alle imprese che hanno partecipato a un’intesa, un trattamento differenziato tra le imprese interessate è inerente all’esercizio dei poteri spettanti alla Commissione in materia. Infatti, nell’ambito del suo potere discrezionale, la Commissione è chiamata a personalizzare la sanzione in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche propri di tali imprese, al fine di garantire, in ogni caso di specie, la piena efficacia delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (sentenza del 13 giugno 2013, Versalis/Commissione, C‑511/11 P, EU:C:2013:386, punto 104 e giurisprudenza ivi citata).
290 Dai punti da 615 a 617 della sentenza impugnata emerge che la Commissione ha giustificato la differenza tra le rispettive percentuali di riduzione con la necessità di ponderare la riduzione concessa in ragione della mancata partecipazione ad una componente dell’intesa in funzione della durata della partecipazione complessiva di ciascuna impresa all’intesa considerata nel suo insieme. La partecipazione della ricorrente e della Riva all’intesa complessivamente considerata sarebbe stata un fattore importante che doveva essere preso in considerazione ai fini della valutazione della circostanza attenuante in parola. Orbene, poiché la partecipazione complessiva all’intesa era più lunga per la Riva, l’effetto della sua mancata partecipazione a tale componente dell’intesa sarebbe stato più importante.
291 Più precisamente, il Tribunale ha rilevato, al punto 622 della sentenza impugnata, che, per determinare la riduzione da concedere alla Riva, la Commissione aveva tenuto conto della gravità relativa della partecipazione all’infrazione di tali due imprese, conformemente all’esigenza di personalizzazione delle ammende ricordata al punto 289 della presente sentenza. Infatti, essa aveva considerato che, poiché la partecipazione complessiva della Riva all’intesa era più lunga di quella della ricorrente, essa era necessariamente più grave e che l’effetto della sua mancata partecipazione a una determinata componente dell’intesa era ancor più importante.
292 Nel dichiarare, al punto 323, della sentenza impugnata, che tale approccio era conforme al principio di parità di trattamento, il Tribunale è incorso in un errore di diritto.
293 Infatti, è pacifico che la Commissione ha concesso alla ricorrente una riduzione del 2% all’anno, per quanto attiene al periodo durante il quale essa non ha partecipato alla componente dell’intesa in questione, mentre la riduzione per la Riva era del 3%.
294 Vero è che, in assenza di altri elementi che consentano di differenziare la partecipazione di tali due imprese a tale intesa, il fatto che la Riva avesse partecipato a detta intesa per dieci anni e sei mesi significava che tale partecipazione ha avuto un effetto sulla concorrenza più grave rispetto a quella della ricorrente, che vi ha partecipato solo per sette anni. Tuttavia, tale constatazione non può essere estesa ai periodi durante i quali le imprese non hanno partecipato a una certa componente di tale intesa, poiché la loro mancata partecipazione a tale componente aveva, in linea di principio, lo stesso effetto sulla concorrenza.
295 È certamente possibile ponderare la riduzione concessa in ragione della mancata partecipazione a una componente dell’intesa in funzione della durata totale della partecipazione a tale intesa di ciascuna delle imprese. Tuttavia, nel caso di specie, la ricorrente non ha partecipato a tale componente per tre anni, durata che rappresentava circa la metà della sua partecipazione a detta intesa, mentre la Riva, durante i dieci anni e sei mesi della sua partecipazione alla medesima intesa, aveva omesso di partecipare a detta componente solo per un anno.
296 In tali circostanze, si deve quindi rilevare che la Commissione ha trattato situazioni paragonabili in maniera diversa, senza fornire una valida giustificazione per tale differenza di trattamento.
297 Ne consegue che la prima parte dell’ottavo motivo d’impugnazione dev’essere accolta. Si deve, pertanto, annullare la sentenza impugnata, senza che occorra statuire sulla seconda parte di tale motivo.
Sul ricorso dinanzi al Tribunale
298 Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. In tal caso, essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta.
299 Nel caso di specie, la Corte deve statuire definitivamente sulla controversia, giacché lo stato degli atti lo consente.
300 Dai punti da 286 a 297 della presente sentenza emerge che la decisione controversa non è compatibile con il principio di parità di trattamento, nella parte in cui concede alla ricorrente una riduzione dell’importo dell’ammenda del 2% all’anno, a titolo di un periodo durante il quale essa non ha partecipato a una componente dell’intesa in questione, mentre ha concesso alla Riva, per le stesse considerazioni, una riduzione del 3%. La Corte, avendo rilevato l’illegittimità della decisione controversa, può, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sostituire le proprie valutazioni a quelle della Commissione e, conseguentemente, sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda. Tale competenza viene esercitata tenendo conto di tutte le circostanze di fatto (sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 78 nonché giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, la Corte considera, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, che la percentuale di riduzione dell’importo dell’ammenda del 3% all’anno dovrebbe essere applicata anche alla ricorrente.
301 Ne consegue che l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente nella decisione controversa è fissato a EUR 2 165 000.
Sulle spese
302 Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, quest’ultima decide in merito alle spese.
303 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, di detto regolamento, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate.
304 Poiché la ricorrente e la Commissione sono rimaste rispettivamente soccombenti su uno o più capi, esse si faranno carico delle proprie spese relative al procedimento di primo grado e all’impugnazione.
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce:
1) Il punto 1 del dispositivo della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 9 novembre 2022, Ferriere Nord/Commissione (T‑667/19, EU:T:2022:692), è annullato nella parte in cui respinge le censure del nono motivo di ricorso in primo grado della Ferriere Nord SpA vertenti sulla violazione del principio di parità di trattamento.
2) L’impugnazione è respinta quanto al resto.
3) L’articolo 2, paragrafo 3, della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato) è annullato.
4) L’importo dell’ammenda inflitta alla Ferriere Nord SpA, all’articolo 2, paragrafo 3, della decisione C(2019) 4969 final è fissato nella somma di EUR 2 165 000.
5) La Ferriere Nord SpA e la Commissione europea si faranno carico delle proprie spese relative al procedimento di primo grado e all’impugnazione.
von Danwitz |
Xuereb |
Kumin |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 ottobre 2024.
Il cancelliere |
Il presidente di sezione |
A. Calot Escobar |
T. von Danwitz |
* Lingua processuale: l’italiano.
SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione) 4 ottobre 2024 (*)
« Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercato del tondo per cemento armato – Decisione della Commissione europea che constata un’infrazione all’articolo 65 CA, dopo la scadenza del Trattato CECA, in base al regolamento (CE) n. 1/2003 – Decisione adottata in seguito all’annullamento di precedenti decisioni – Svolgimento di una nuova audizione in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Requisito d’imparzialità – Termine ragionevole – Obbligo di motivazione – Proporzionalità – Principio del ne bis in idem – Eccezione di illegittimità – Circostanze aggravanti – Recidiva – Circostanze attenuanti – Parità di trattamento » Nella causa C‑31/23 P, avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 19 gennaio 2023, Ferriere Nord SpA, con sede in Osoppo (Italia), rappresentata da B. Comparini, G. Donà e W. Viscardini, avvocati, ricorrente, procedimento in cui le altre parti sono: Commissione europea, rappresentata da G. Conte, P. Rossi e C. Sjödin, in qualità di agenti, assistiti da M. Moretto, avvocato, convenuta in primo grado, Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da E. Ambrosini e O. Segnana, in qualità di agenti, interveniente in primo grado, LA CORTE (Sesta Sezione), composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, P.G. Xuereb (relatore) e A. Kumin, giudici, avvocato generale: N. Emiliou cancelliere: A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 Con la sua impugnazione, la Ferriere Nord SpA chiede, in via principale, l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 9 novembre 2022, Ferriere Nord/Commissione (T‑667/19; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2022:692), con cui quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto, in via principale, all’annullamento della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la «decisione controversa»), nella parte in cui la riguarda. In subordine, tale impresa chiede, da un lato, l’annullamento della sentenza impugnata nei limiti in cui essa ha respinto la sua domanda formulata in subordine diretta all’annullamento parziale della decisione controversa e, dall’altro, l’annullamento parziale di tale decisione nonché la riduzione dell’ammenda che le è stata inflitta. Contesto normativo Regolamento (CE) n. 1/2003 2 L’articolo 7 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), intitolato «Constatazione ed eliminazione delle infrazioni», al paragrafo 1, prevede quanto segue: «Se la Commissione constata, in seguito a denuncia o d’ufficio, un’infrazione all’articolo [101] o all’articolo [102 TFUE], può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all’infrazione constatata. A tal fine può imporre loro l’adozione di tutti i rimedi comportamentali o strutturali, proporzionati all’infrazione commessa e necessari a far cessare effettivamente l’infrazione stessa. I rimedi strutturali possono essere imposti solo quando non esiste un rimedio comportamentale parimenti efficace o quando un rimedio comportamentale parimenti efficace risulterebbe più oneroso, per l’impresa interessata, del rimedio strutturale. Qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso, essa può inoltre procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata». 3 L’articolo 14 di tale regolamento, intitolato «Comitato consultivo», così dispone: «1. La Commissione consulta un comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti prima dell’adozione di qualsiasi decisione ai sensi degli articoli 7, 8, 9, 10, 23, dell’articolo 24, paragrafo 2 e dell’articolo 29, paragrafo 1. 2. Ai fini della discussione di casi individuali il comitato consultivo è composto da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. (...) (...) 5. La Commissione tiene in massima considerazione il parere del comitato consultivo. Essa lo informa del modo in cui ha tenuto conto del parere. (...)». 4 In base all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento, la Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 101 o dell’articolo 102 TFUE. 5 L’articolo 25 del medesimo regolamento, intitolato «Prescrizione in materia di imposizione di sanzioni», è così formulato: «1. I poteri conferiti alla Commissione in virtù degli articoli 23 e 24 sono soggetti ai termini di prescrizione seguenti: a) tre anni per le infrazioni alle disposizioni relative alla richiesta di informazioni o all’esecuzione di accertamenti; b) cinque anni per le altre infrazioni. 2. La prescrizione decorre dal giorno in cui è stata commessa l’infrazione. Tuttavia, per quanto concerne le infrazioni continuate o ripetute, la prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata l’infrazione. 3. La prescrizione riguardante l’imposizione di ammende o di penalità di mora si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o dell’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione. La prescrizione è interrotta a partire dal giorno in cui l’atto è notificato ad almeno un’impresa, o associazione di imprese, che abbia partecipato all’infrazione. Gli atti interruttivi della prescrizione comprendono in particolare: a) le domande scritte di informazioni formulate dalla Commissione o da un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro; b) i mandati scritti ad eseguire accertamenti rilasciati ai propri agenti dalla Commissione o da un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro; c) l’avvio di un procedimento da parte della Commissione o di un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro; d) la comunicazione degli addebiti mossi dalla Commissione o da un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro. 4. L’interruzione della prescrizione vale nei confronti di tutte le imprese ed associazioni di imprese che abbiano partecipato all’infrazione. 5. Per effetto dell’interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione. La prescrizione opera tuttavia al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto, se la Commissione non ha irrogato un’ammenda o una penalità di mora entro tale termine. Detto termine è prolungato della durata della sospensione in conformità al paragrafo 6. 6. La prescrizione in materia di imposizione di ammende o di penalità di mora rimane sospesa per il tempo in cui pende dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso contro la decisione della Commissione». 6 L’articolo 27 del regolamento n. 1/2003, intitolato «Audizione delle parti, dei ricorrenti e degli altri terzi», prevede quanto segue: «1. Prima di adottare qualsiasi decisione prevista dagli articoli 7, 8, 23 e 24, paragrafo 2, la Commissione dà modo alle imprese e associazioni di imprese oggetto del procedimento avviato dalla Commissione di essere sentite relativamente agli addebiti su cui essa si basa. La Commissione basa le sue decisioni solo sugli addebiti in merito ai quali le parti interessate sono state poste in condizione di essere sentite. I ricorrenti sono strettamente associati al procedimento. 2. Nel corso del procedimento sono pienamente garantiti i diritti di difesa delle parti interessate. (...) 3. La Commissione può sentire, nella misura in cui lo ritenga necessario, ogni altra persona fisica o giuridica. Qualora persone fisiche o giuridiche chiedano di essere sentite, dimostrando di avervi un interesse sufficiente, la loro domanda è accolta. Le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri possono inoltre chiedere alla Commissione di sentire altre persone fisiche o giuridiche. (...)». Regolamento n. 773/2004 7 L’articolo 11 del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L123, pag. 18), come modificato dal regolamento (CE) n. 622/2008 della Commissione, del 30 giugno 2008 (GU 2008, L 171, pag. 3) (in prosieguo: il «regolamento n. 773/2004»), intitolato «Diritto ad essere sentiti», così dispone: «1. La Commissione accorda alle parti cui invia la comunicazione degli addebiti la possibilità di essere sentite prima di consultare il Comitato consultivo ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003. 2. Nelle sue decisioni la Commissione esamina solo gli addebiti rispetto ai quali le parti di cui al paragrafo 1 hanno avuto la possibilità di esprimersi». 8 L’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 è così formulato: «1. La Commissione accorda alle parti cui è inviata la comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un’audizione orale, qualora lo richiedano nella loro proposta scritta. 2. Tuttavia, nel presentare le loro proposte di transazione, le parti confermano alla Commissione che chiederanno di avere la possibilità di sviluppare i propri argomenti nel corso di un’audizione orale unicamente qualora la comunicazione degli addebiti non rispecchi il contenuto delle loro proposte di transazione». 9 L’articolo 13 di tale regolamento, intitolato «Audizione di terzi», prevede quanto segue: «1. Alle persone fisiche o giuridiche non contemplate negli articoli 5 e 11 che chiedano di essere sentite e dimostrino di avervi un interesse sufficiente, la Commissione comunica per iscritto la natura e l’oggetto del procedimento e assegna un termine per la presentazione delle osservazioni scritte. 2. All’occorrenza la Commissione può invitare i soggetti di cui al paragrafo 1 a sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti, sempre che essi lo richiedano nelle osservazioni scritte. 3. La Commissione può invitare eventuali altre persone a presentare osservazioni scritte e ad assistere all’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti. La Commissione può inoltre invitare tali persone ad esprimersi nel corso dell’audizione». 10 L’articolo 14 di detto regolamento, intitolato «Svolgimento delle audizioni», è formulato come segue: «1. Le audizioni vengono condotte in piena indipendenza da un consigliere-auditore. 2. La Commissione invita le persone che devono essere sentite a partecipare all’audizione alla data da essa fissata. 3. La Commissione invita le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri a prendere parte all’audizione. Essa può inoltre invitare anche funzionari di altre autorità degli Stati membri. (...)». Comunicazione del 2011 11 La comunicazione della Commissione sulle migliori pratiche relative ai procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 del TFUE (GU 2011, C 308, pag. 6) (in prosieguo: la «comunicazione del 2011»), ha quale scopo principale, come emerge dal punto 1, quello di fornire orientamenti pratici sui procedimenti previsti dagli articoli 101 e 102 TFUE. 12 Il punto 6 di tale comunicazione prevede che essa era applicabile, a partire dalla data di pubblicazione, «ai casi ancora aperti e ai casi futuri». Quanto ai casi pendenti, essa si applicava, secondo la nota a piè pagina n. 16 di detta comunicazione, «a tutte le fasi procedurali che restano da adottare dopo la pubblicazione». 13 Ai sensi dei punti 84, 86 e 109 della medesima comunicazione: «84. La comunicazione degli addebiti specificherà chiaramente se la Commissione intende infliggere ammende alle imprese nel caso in cui gli addebiti dovessero essere confermati (...). Nella comunicazione degli addebiti la Commissione indicherà gli elementi di fatto e di diritto che possono portare ad irrogare un’ammenda, come la durata e la gravità dell’infrazione, e precisare se l’infrazione è stata commessa intenzionalmente o per negligenza. La comunicazione degli addebiti deve inoltre precisare in maniera sufficientemente precisa quali fatti possono costituire circostanze aggravanti e, limiti per quanto possibile, le circostanze attenuanti. (...) 86. Qualora nella decisione definitiva la Commissione intenda discostarsi dagli elementi di fatto o di diritto contenuti nella comunicazione degli addebiti a svantaggio di una o più parti o qualora la Commissione intenda tener conto di elementi supplementari a carico, sarà sempre data la possibilità alla parte o alle parti interessate di rendere note le loro osservazioni in modo appropriato. (...) 109. Se, dopo l’emanazione della comunicazione degli addebiti, vengono individuati nuovi elementi di prova sui quali la Commissione intende basarsi oppure nel caso in cui la Commissione preveda di modificare la propria valutazione giuridica a danno delle imprese interessate, viene data alle imprese in questione la possibilità di presentare osservazioni su tali nuovi aspetti». Fatti e decisione controversa 14 I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 1 a 31 della sentenza impugnata: «1 La ricorrente, Ferriere Nord SpA, è una società di diritto italiano operante nel settore del tondo per cemento armato dall’aprile 1992. A. Prima decisione della Commissione (2002) 2 Dall’ottobre al dicembre 2000 la Commissione delle Comunità europee ha effettuato, conformemente all’articolo 47 CA, accertamenti presso imprese italiane produttrici di tondo per cemento armato, tra cui la ricorrente, e presso un’associazione di imprese, la Federazione Imprese Siderurgiche Italiane (in prosieguo: la «Federazione»). Essa ha anche inviato loro richieste di informazioni ai sensi di tale disposizione. 3 Il 26 marzo 2002 la Commissione ha avviato un procedimento di applicazione dell’articolo 65 CA e formulato taluni addebiti ai sensi dell’articolo 36 CA (in prosieguo: la “comunicazione degli addebiti”) notificati, in particolare, alla ricorrente. Quest’ultima ha risposto alla comunicazione degli addebiti il 31 maggio 2002. 4 Il 13 giugno 2002 si è svolta un’audizione delle parti nell’ambito del procedimento amministrativo. 5 Il 12 agosto 2002 la Commissione ha inviato agli stessi destinatari taluni addebiti supplementari (in prosieguo: la “comunicazione degli addebiti supplementari”), ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204). In tale comunicazione, la Commissione ha precisato la sua posizione in merito alla prosecuzione del procedimento dopo la scadenza del Trattato CECA, avvenuta il 23 luglio 2002. La ricorrente ha risposto alla comunicazione degli addebiti supplementari il 20 settembre 2002. 6 Il 30 settembre 2002 si è svolta una nuova audizione delle parti nel procedimento amministrativo, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. Essa riguardava l’oggetto della comunicazione degli addebiti supplementari, ossia le conseguenze giuridiche della scadenza del Trattato CECA sulla prosecuzione del procedimento. 7 Al termine del procedimento amministrativo, la Commissione ha adottato la decisione C (2002) 5087 definitivo, del 17 dicembre 2002, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 65 del trattato CECA (COMP/37.956 – Tondo per cemento armato) (in prosieguo: la “decisione del 2002”), indirizzata alla [Federazione] e a otto imprese, tra cui la ricorrente. In detta decisione essa ha constatato che queste ultime, tra il dicembre 1989 e il luglio 2000, avevano attuato un’intesa unica, complessa e continuata nel mercato italiano del tondo per cemento armato in barre o in rotoli (in prosieguo: il “tondo per cemento armato”») avente per oggetto o per effetto la fissazione dei prezzi e la limitazione o il controllo della produzione o delle vendite, in violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA. 8 Per quanto riguarda la partecipazione della ricorrente all’infrazione, la Commissione ha rilevato che essa si era protratta dal 1º aprile 1993 al 4 luglio 2000. A detto titolo, quest’ultima le ha inflitto un’ammenda di importo pari a EUR 3,57 milioni. Tale importo includeva una riduzione del 20% dell’ammenda a favore della ricorrente, in applicazione del punto D, paragrafo 1, della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4 (...)), che prevede la possibilità di far beneficiare di una riduzione dell’ammenda che avrebbero dovuto versare, le imprese che cooperano nel fornire alla Commissione, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione commessa. 9 Il 10 marzo 2003 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione del 2002. Il Tribunale ha annullato detta decisione nei confronti della ricorrente (sentenza del 25 ottobre 2007, Ferriere Nord/Commissione, T‑94/03, [...], EU:T:2007:320) e delle altre imprese destinatarie, con la motivazione che la base giuridica utilizzata, ossia l’articolo 65, paragrafi 4 e 5, CA, non era più in vigore al momento dell’adozione di tale decisione. Pertanto, la Commissione non era competente, in base alle menzionate disposizioni, a constatare e a sanzionare una violazione dell’articolo 65, paragrafo 1, CA dopo la scadenza del Trattato CECA. Il Tribunale non ha esaminato gli altri aspetti della decisione in parola. 10 La decisione del 2002 è divenuta definitiva nei confronti della [Federazione], che non ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale. B. Seconda decisione della Commissione (2009) 11 Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione ha informato la ricorrente e le altre imprese interessate della sua intenzione di adottare una nuova decisione, previa correzione della base giuridica utilizzata. Essa ha inoltre precisato che la decisione in parola sarebbe stata fondata sulle prove presentate nella comunicazione degli addebiti e nella comunicazione degli addebiti supplementari. La ricorrente, su invito della Commissione, ha presentato osservazioni scritte il 1° agosto 2008. 12 Con telefax del 24 luglio e del 25 settembre 2008, poi del 13 marzo, del 30 giugno e del 27 agosto 2009, la Commissione ha chiesto alla ricorrente informazioni relative all’azionariato e alla situazione patrimoniale dell’impresa. La ricorrente ha risposto a tali richieste di informazioni, rispettivamente, con e‑mail del 1° agosto e del 1° ottobre 2008, poi del 18 marzo, del 1° luglio e dell’8 settembre 2009. 13 Il 30 settembre 2009 la Commissione ha adottato una nuova decisione C(2009) 7492 definitivo, relativa a una violazione dell’articolo 65 del trattato CECA (caso COMP/37.956 – Tondo per cemento armato, riadozione), indirizzata alle stesse imprese di cui alla decisione del 2002, ivi inclusa la ricorrente. Detta decisione è stata adottata sulla base delle norme procedurali del trattato CE e del [regolamento n. 1/2003]. Essa si basava sugli elementi oggetto della comunicazione degli addebiti e della comunicazione degli addebiti supplementari e riproduceva, in sostanza, il contenuto e le conclusioni della decisione del 2002. In particolare, l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, pari a EUR 3,57 milioni, rimaneva invariato. 14 L’8 dicembre 2009, la Commissione ha adottato una decisione di modifica, che integrava, nel suo allegato, le tabelle indicanti le variazioni dei prezzi omesse dalla sua decisione del 30 settembre 2009 e rettificava i riferimenti numerati alle suddette tabelle in otto note a piè di pagina. 15 Il 19 febbraio 2010 la ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso avverso la decisione della Commissione del 30 settembre 2009, come modificata (in prosieguo: la «decisione del 2009»). Il 9 dicembre 2014 il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente a EUR 3,42144 milioni, per il motivo che quest’ultima non aveva partecipato, per tre anni, alla componente dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite, e ha respinto il ricorso quanto al resto (sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione, T‑90/10, [...], EU:T:2014:1035). Il Tribunale ha annullato parzialmente la decisione del 2009 nei confronti di un altro dei suoi destinatari, ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta ad un altro dei suoi destinatari e ha respinto gli altri ricorsi proposti. 16 Il 20 febbraio 2015 la ricorrente ha proposto impugnazione avverso la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, [...], EU:T:2014:1035). Con sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha annullato detta sentenza del Tribunale nonché la decisione del 2009 nei confronti, in particolare, della ricorrente. 17 Nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha dichiarato che, quando una decisione era stata adottata sulla base del regolamento n. 1/2003, il procedimento che si concludeva con tale decisione doveva essere conforme alle norme di procedura previste da suddetto regolamento nonché dal [regolamento n. 773/2004], anche se detto procedimento era iniziato prima della loro entrata in vigore. 18 Orbene, la Corte ha constatato che, nel caso di specie, l’audizione del 13 giugno 2002, la sola riguardante il merito del procedimento, non poteva essere considerata conforme ai requisiti procedurali relativi all’adozione di una decisione in base al regolamento n. 1/2003, mancando la partecipazione delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. 19 La Corte ha concluso che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non era tenuta, prima dell’adozione della decisione del 2009, ad organizzare una nuova audizione, per il motivo che le imprese avevano già avuto la possibilità di essere ascoltate durante le audizioni del 13 giugno e del 30 settembre 2002. 20 Nella sua sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha ricordato l’importanza dello svolgimento, su richiesta delle parti interessate, di un’audizione alla quale siano invitate le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, costituendo la sua omissione una violazione delle forme sostanziali. 21 La Corte ha dichiarato che, poiché il diritto in parola, previsto espressamente dal regolamento n. 773/2004, non era stato rispettato, non era necessario che l’impresa il cui diritto era stato così violato dimostrasse che tale violazione era stata idonea ad influenzare, a suo svantaggio, lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione [del 2009]. 22 La Corte ha altresì annullato, per gli stessi motivi, altre sentenze del Tribunale pronunciate il 9 dicembre 2014 che statuivano sulla legittimità della decisione del 2009, nonché la decisione stessa, nei confronti di altre quattro imprese. La decisione del 2009 è invece divenuta definitiva per le imprese destinatarie che non hanno proposto impugnazione avverso le suddette sentenze. C. Terza decisione della Commissione (2019) 23 Con lettera del 15 dicembre 2017, la Commissione ha informato la ricorrente della propria intenzione di riprendere il procedimento amministrativo e di organizzare, in tale contesto, una nuova audizione delle parti di detto procedimento in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. 24 Con lettera del 1° febbraio 2018, la ricorrente ha presentato osservazioni nelle quali ha contestato il potere della Commissione di riassumere il procedimento amministrativo e ha pertanto invitato quest’ultima a non procedere a tale riassunzione. 25 Il 23 aprile 2018 la Commissione ha tenuto una nuova audizione relativa al merito del procedimento, alla quale hanno partecipato, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e del consigliere-auditore, la ricorrente nonché altre tre imprese destinatarie della decisione del 2009. 26 Con lettere del 19 novembre 2018 nonché del 17 gennaio e del 6 maggio 2019, la Commissione ha inviato alla ricorrente tre richieste di informazioni riguardanti il suo azionariato e la sua situazione patrimoniale. La ricorrente ha risposto a tali richieste di informazioni con lettere, rispettivamente, del 10 dicembre 2018 nonché del 31 gennaio e del 9 maggio 2019. 27 Il 21 giugno 2019 la ricorrente ha partecipato ad una riunione con i servizi della Commissione, nel corso della quale questi ultimi hanno dichiarato di aver deciso di proporre al collegio dei commissari l’adozione di una nuova decisione sanzionatoria, ma che, in considerazione del tempo oggettivamente lungo, essi avrebbero proposto l’applicazione di una circostanza attenuante straordinaria. 28 Il 4 luglio 2019 la Commissione ha adottato la decisione [controversa], destinata alle cinque imprese nei confronti delle quali la decisione del 2009 era stata annullata, vale a dire, oltre alla ricorrente, l’Alfa Acciai SpA, la Feralpi Holding SpA (già Feralpi Siderurgica SpA e Federalpi Siderurgica SRL), la Partecipazioni Industriali SpA (già Riva Acciaio SpA e successivamente Riva Fire SpA; in prosieguo: la «Riva») nonché la Valsabbia Investimenti SpA e la Ferriera Valsabbia SpA. 29 Con la decisione [controversa], la Commissione ha constatato la stessa infrazione oggetto della decisione del 2009, al contempo riducendo del 50% le ammende inflitte alle imprese destinatarie a motivo della durata del procedimento. La ricorrente ha inoltre beneficiato di una riduzione ulteriore, nella misura del 6% dell’ammenda, per il fatto che essa non aveva partecipato alla componente dell’intesa relativa alla limitazione o al controllo della produzione o delle vendite per un determinato periodo. Con l’articolo 2 della decisione [controversa], la Commissione ha quindi inflitto alla ricorrente un’ammenda di importo pari a EUR 2,237 milioni. 30 In data 8 luglio 2019 è stata notificata alla ricorrente una copia incompleta della decisione [controversa], contenente solo le pagine dispari, circostanza da quest’ultima segnalata alla Commissione con lettera del 9 luglio 2019. 31 Il 18 luglio 2019 una versione completa della decisione [controversa] è stata notificata alla ricorrente». Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata 15 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 settembre 2019, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto, in via principale, all’annullamento della decisione controversa, nella parte in cui la riguarda e, in subordine, alla riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta. 16 A sostegno della sua domanda di annullamento della decisione controversa, la ricorrente ha, in sostanza, sollevato sei motivi vertenti, il primo, sulla violazione dei diritti della difesa e delle norme procedurali in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018; il secondo, sul rifiuto asseritamente illegittimo della Commissione di verificare, prima di adottare la decisione impugnata, la compatibilità di tale decisione con il principio della durata ragionevole del procedimento; il terzo, sulla violazione del principio della durata ragionevole del procedimento; il quarto, su una violazione dell’obbligo di motivazione, su un eccesso di potere e sulla violazione del principio di proporzionalità; il quinto, sulla violazione del principio del ne bis in idem e il sesto sull’illegittimità del regime di prescrizione previsto all’articolo 25 del regolamento n. 1/2003. 17 Per quanto attiene, segnatamente, al primo motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto, con le prime due censure delle cinque dedotte nell’ambito di tale motivo, che, in primo luogo, l’imparzialità del comitato consultivo previsto dal regolamento n. 1/2003 (in prosieguo: il «comitato consultivo») fosse messa in discussione in quanto l’atteggiamento dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri che compongono detto comitato avrebbe potuto essere influenzato dal fatto che dette autorità erano venute a conoscenza della posizione adottata sul caso, da un lato, dalla Commissione, nelle sue decisioni del 2002 e del 2009 e, dall’altro, dal Tribunale nella sua sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), e, in secondo luogo, che l’indipendenza della Commissione fosse pregiudicata dalla circostanza che, forte di tale sentenza, detta istituzione non sarebbe più stata effettivamente in grado di accogliere un’opinione contraria espressa da rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri riuniti in seno al comitato consultivo. 18 Con la terza censura di detto motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto che la Commissione, da un lato, avesse violato diverse norme relative all’organizzazione delle audizioni e, dall’altro, avesse commesso un errore omettendo di invitare la Federazione, la Leali SpA e la sua società figlia Acciaierie e Ferriere Leali Luigi SpA (in prosieguo, congiuntamente: la «Leali»), la Lucchini SpA, la Riva, la Industrie Riunite Odolesi SpA (in prosieguo: la «IRO») e l’Associazione Nazionale Sagomatori Ferro (in prosieguo: l’«Ansfer») all’audizione del 23 aprile 2018 laddove, avendo svolto un ruolo centrale nella vicenda, tali entità avrebbero potuto fornire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri elementi idonei a consentire a queste ultime di adottare la loro posizione con piena cognizione di causa. Ad avviso della ricorrente, non avendo potuto beneficiare di un parere reso con piena cognizione di causa da parte delle autorità in parola, i suoi diritti della difesa sarebbero stati violati. 19 Con la quarta censura del primo motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto che fosse impossibile rimediare al vizio procedurale censurato dalla Corte. A causa del periodo trascorso, i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato erano tali, a suo avviso, che nessuna audizione poteva ancora essere organizzata a condizioni identiche o, quantomeno, equivalenti a quelle esistenti nel 2002. 20 Con la quinta censura di tale motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto, segnatamente, che il parere emesso dal comitato consultivo, che includeva una dichiarazione firmata da otto autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, secondo la quale l’audizione del 23 aprile 2018 avrebbe sanato il vizio procedurale rilevato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017 Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), fosse viziato. Infatti, due di tali otto autorità, ivi inclusa l’autorità garante della concorrenza relatrice, non avrebbero partecipato a tale audizione. 21 A sostegno della sua domanda in via subordinata diretta a ottenere l’annullamento parziale della decisione controversa e una riduzione corrispondente dell’importo dell’ammenda che le era stata inflitta, la ricorrente ha dedotto tre motivi di ricorso supplementari vertenti, il settimo, sulla violazione dell’onere della prova e del principio dell’in dubio pro reo; l’ottavo, sull’illegittimità della maggiorazione dell’importo dell’ammenda a titolo di recidiva e il nono sulla violazione del principio di parità di trattamento per quanto riguarda la presa in considerazione delle circostanze attenuanti e sul carattere tardivo dei motivi che giustificano la concessione di una riduzione limitata dell’ammenda. 22 Con decisione dell’11 febbraio 2020, il Tribunale ha autorizzato l’intervento del Consiglio dell’Unione europea a sostegno delle conclusioni della Commissione. 23 Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso nella sua interezza. 24 Per quanto attiene al primo motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha dichiarato, in primo luogo, che l’argomento della ricorrente non era idoneo a dimostrare che, nel caso di specie, non era stata garantita l’imparzialità tanto dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri all’interno del comitato consultivo quanto della Commissione. In secondo luogo, non invitando all’audizione del 23 aprile 2018 talune imprese e associazioni, la Commissione non aveva violato né le norme relative all’organizzazione delle audizioni né i diritti della difesa della ricorrente. In terzo luogo, i cambiamenti del contesto prodotti dal decorso del tempo non incidevano sulla possibilità, per la Commissione, di riaprire un procedimento a seguito dell’annullamento di una delle sue decisioni con sentenza della Corte o del Tribunale, purché tale istituzione avesse verificato che la prosecuzione del procedimento appariva ancora una soluzione adeguata alla situazione, cosa che la Commissione aveva fatto nel caso di specie. In quarto luogo, era infondato l’argomento diretto a dimostrare che il parere emesso dal comitato consultivo era viziato. 25 Per quanto concerne il terzo motivo in primo grado, il Tribunale ha considerato che né la durata delle fasi amministrative del procedimento condotto dalla Commissione né la durata totale di tale procedimento erano eccessive e che, in ogni caso, anche supponendo che la durata del procedimento potesse essere ritenuta contraria al principio del termine ragionevole, la ricorrente non aveva dimostrato alcuna lesione dei suoi diritti della difesa derivante da tale durata. 26 Con riferimento al quarto motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha dichiarato che, in primo luogo, la Commissione aveva sufficientemente spiegato le ragioni che l’avevano portata ad adottare una nuova decisione nonostante i due annullamenti intervenuti in precedenza; in secondo luogo, l’ammenda inflitta alla ricorrente nella decisione controversa continuava ad avere un effetto deterrente, poiché le ammende inflitte nelle decisioni del 2002 e del 2009 erano state rimborsate dopo l’annullamento di tali decisioni; in terzo luogo, prima dell’adozione della decisione controversa, la ricorrente non era ancora stata sanzionata per l’infrazione in questione, tenuto conto dei due annullamenti intervenuti; in quarto luogo, la ripresa del procedimento e l’adozione di una nuova decisione potevano agevolare il compito dei terzi intenzionati ad esperire un’azione risarcitoria, alla luce, segnatamente, del fatto che Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potevano essere interessati e che l’applicazione di diritti nazionali diversi dal diritto italiano non poteva essere esclusa dalla Commissione, e, in quinto luogo, il principio di proporzionalità non era stato violato. 27 Per quanto riguarda il quinto motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha dichiarato che il principio del ne bis in idem non era stato violato, poiché, alla data della sentenza impugnata, nessuna decisione aveva statuito in via definitiva sul merito della causa con riferimento alla partecipazione della ricorrente alle infrazioni che le erano addebitate. 28 Per quanto attiene al sesto motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha giudicato che l’eccezione di illegittimità riguardante l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 che esso comportava doveva essere respinta. La ricorrente non avrebbe dimostrato che il legislatore dell’Unione, nel contemperamento da esso effettuato tra gli obiettivi di cui occorreva tener conto al riguardo, aveva oltrepassato il margine che deve essergli riconosciuto in detto ambito. Infatti, nel prevedere un termine di prescrizione di cinque anni per sanzionare infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione e, qualora tale termine sia interrotto, di dieci anni, sarebbe posto un limite rigoroso all’azione della Commissione nel tempo. Per quanto attiene al fatto che, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003, la prescrizione è sospesa durante i procedimenti di ricorso avverso la decisione della Commissione, il Tribunale ha sottolineato che si tratta di situazioni nelle quali l’inerzia della Commissione non è la conseguenza di una mancanza di diligenza da parte di tale istituzione. 29 Per quanto concerne l’ottavo motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha considerato che, in primo luogo, la maggiorazione dell’ammenda inflitta alla ricorrente a titolo di recidiva era sufficientemente prevedibile per quest’ultima e non violava quindi i suoi diritti della difesa, in secondo luogo, il termine da prendere in considerazione al fine di decidere se occorresse imporre una siffatta maggiorazione non era eccessivamente lungo, e, in terzo luogo, la maggiorazione del 50% applicata nel caso di specie a titolo di recidiva non era eccessiva. 30 Per quanto attiene al nono motivo di ricorso in primo grado, il Tribunale ha giudicato che, in primo luogo, la differenza tra le percentuali di riduzione concesse alla ricorrente e a un’altra impresa, per la mancata partecipazione di tali imprese a una componente specifica dell’intesa di cui alla decisione controversa, era giustificata, e, in secondo luogo, che la Commissione non aveva fornito tardivamente le informazioni ad essa afferenti. Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte 31 Con la sua impugnazione, la ricorrente chiede che la Corte voglia: – in via principale, annullare la sentenza impugnata e, conseguentemente, annullare la decisione controversa; – in via subordinata, annullare la sentenza impugnata nella misura in cui essa ha respinto la sua domanda presentata in via subordinata volta a ottenere l’annullamento parziale della decisione controversa, annullare parzialmente tale decisione e ridurre l’ammenda che le è stata inflitta; – condannare la Commissione alle spese dei due gradi di giudizio. 32 La Commissione chiede che la Corte voglia: – respingere l’impugnazione e – condannare la ricorrente alle spese. 33 Il Consiglio chiede che la Corte voglia respingere l’eccezione di illegittimità dell’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 e condannare la ricorrente alle spese dell’impugnazione. Sull’impugnazione 34 A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce otto motivi. Sul primo motivo d’impugnazione 35 Con il suo primo motivo d’impugnazione, che si articola in quattro parti, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato i diritti della difesa, avrebbe omesso di esaminare elementi di prova, avrebbe manifestamente snaturato i fatti e gli elementi di prova, avrebbe violato il suo obbligo di motivare le sentenze e avrebbe effettuato valutazioni arbitrarie. Sulla terza parte – Argomenti delle parti 36 Con la terza parte del suo primo motivo d’impugnazione, che occorre esaminare in primo luogo, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel considerare, ai punti da 158 a 162 della sentenza impugnata, che, nonostante i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato, la Commissione aveva potuto porre rimedio al vizio procedurale censurato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716) organizzando l’audizione del 23 aprile 2018. Essa contesta la motivazione esposta ai punti 159 e 160 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha considerato che, a causa del tempo trascorso, nessuna audizione poteva essere organizzata in condizioni equivalenti a quelle esistenti nel 2002. Secondo la ricorrente, l’illegittimità constatata dalla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), sarebbe insanabile non a causa dei cambiamenti intervenuti nel corso del tempo, ma del concorso colpevole di detta istituzione nel commettere tale illegittimità. 37 La Commissione sostiene che tale argomento è nuovo e, di conseguenza, irricevibile. In ogni caso, tale argomento sarebbe privo di fondamento. – Giudizio della Corte 38 Conformemente all’articolo 170, paragrafo 1, seconda frase, del regolamento di procedura della Corte, l’impugnazione non può modificare l’oggetto del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale. Infatti, secondo costante giurisprudenza, consentire a una parte di sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte motivi e argomenti non dedotti dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in sede d’impugnazione è limitata, una controversia più ampia di quella di cui era stato investito il Tribunale. Nell’ambito di un’impugnazione, la competenza della Corte è pertanto limitata all’esame della valutazione da parte del Tribunale dei motivi e degli argomenti discussi dinanzi ad esso (sentenza del 29 febbraio 2024, Euranimi/Commissione, C‑95/23 P, EU:C:2024:177, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 39 Al punto 158 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la censura della ricorrente, secondo cui era impossibile rimediare al vizio procedurale censurato dalla Corte, si fondava sulla constatazione secondo cui, a causa del periodo trascorso, i cambiamenti intervenuti nell’identità dei soggetti e nella struttura del mercato erano tali che nessuna audizione poteva essere organizzata in condizioni identiche o, quantomeno, equivalenti a quelle esistenti nel 2002. 40 Tale descrizione della censura di primo grado non è stata contestata dalla ricorrente nella sua impugnazione. Orbene, si deve rilevare che da tale descrizione non emerge che, dinanzi al Tribunale, la ricorrente abbia sostenuto che gli errori in cui è incorsa la Commissione avrebbero reso insanabile il vizio procedurale constatato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716). 41 È vero che, nella replica, la ricorrente indica di aver sottolineato, ai punti 62, 82, 97, 127, 133, 136, 167, 182 e 205 del suo ricorso in primo grado, che l’effetto congiunto degli errori della Commissione e della durata abnorme della procedura rendevano impossibile sanare il vizio procedurale constatato dalla Corte. Non emerge tuttavia da alcuno di tali punti che la ricorrente avesse sostenuto, dinanzi al Tribunale, che non erano stati i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo ad aver reso insanabile il vizio procedurale constatato dalla Corte nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), bensì il concorso colpevole della Commissione alla realizzazione di tale illegittimità. 42 Ne consegue che, poiché l’argomento di cui alla terza parte del primo motivo d’impugnazione è stato dedotto per la prima volta dinanzi alla Corte, esso deve essere respinto in quanto irricevibile. Sulla prima parte – Argomenti delle parti 43 Con la prima parte del suo primo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale, ai punti da 64 a 78 della sentenza impugnata, avrebbe erroneamente dichiarato che, in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 e dell’adozione del parere del comitato consultivo, tanto la Commissione quanto i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri soddisfacevano il requisito d’imparzialità. 44 In primo luogo, ad avviso della ricorrente, tali autorità non potevano adottare posizioni diverse da quelle già contenute nella decisione del 2009 e che erano state confermate dal Tribunale nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035) nonché in altre sette sentenze pronunciate nel corso del 2014 sui ricorsi proposti da altri destinatari della decisione del 2009 avverso tale decisione (in prosieguo, congiuntamente: le «sentenze del 2014»), alcune delle quali erano divenute definitive. 45 In secondo luogo, la valutazione del Tribunale secondo cui il requisito d’imparzialità era stato rispettato per quanto concerne l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM, Italia) sarebbe errata e frutto di un palese snaturamento, se non di un’omessa valutazione tout court dei fatti e delle prove. 46 Il Tribunale avrebbe preso in considerazione il fatto che l’AGCM era a conoscenza della decisione del 2009 e della sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035). Tuttavia, il Tribunale avrebbe omesso di tener conto del fatto che, come dimostrerebbero vari documenti presentati al Tribunale, tale autorità si era basata su tale decisione e su tale sentenza nel sanzionare, nel 2017, un’intesa riguardante le stesse imprese e lo stesso tipo di comportamenti oggetto di tale decisione (in prosieguo: la «decisione dell’AGCM del 2017»). La ricorrente sottolinea che le due persone che rappresentavano l’AGCM all’audizione del 23 aprile 2018 avevano avuto un ruolo decisivo nel procedimento di adozione della decisione dell’AGCM del 2017. 47 Tenuto conto di tali elementi, i due assunti sui quali il Tribunale si è fondato al punto 75 della sentenza impugnata sarebbero errati. Da un lato, la circostanza che l’intesa di cui alla decisione dell’AGCM del 2017 era diversa da quella di cui alla decisione controversa sarebbe irrilevante. Dall’altro, l’assunto secondo cui la decisione dell’AGCM del 2017 non poteva condizionare tale autorità, poiché tale decisione era stata annullata da un organo giurisdizionale italiano, sarebbe altresì errato. Infatti, tale annullamento sarebbe successivo all’audizione del 23 aprile 2018, poiché risulterebbe da una sentenza del 12 giugno 2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia). Alla luce di quanto precede, la ricorrente ritiene che l’AGCM avesse interesse, in tale audizione, a veder confermati gli addebiti della Commissione. Inoltre, quando, il 27 giugno e il 1° luglio 2019, l’AGCM ha reso il parere in sede di comitato consultivo, l’appello che essa aveva interposto avverso tale sentenza era ancora pendente. 48 In terzo luogo, dopo le sentenze del 2014, la Commissione non avrebbe avuto alcun motivo di farsi influenzare da un eventuale parere contrario del comitato consultivo. 49 Inoltre, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe omesso di statuire sul suo argomento relativo alla violazione della presunzione d’innocenza, contenuto ai punti da 123 a 127 del ricorso in primo grado. Il Tribunale aveva constatato, nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), che la ricorrente aveva partecipato all’intesa oggetto della decisione controversa, circostanza che i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri non avrebbero potuto ignorare, né in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 né in occasione delle loro successive attività in seno al comitato consultivo. 50 La Commissione sostiene che tale argomento è irricevibile, poiché esso è, in parte, troppo impreciso e, in parte, nuovo. In ogni caso esso sarebbe infondato. – Giudizio della Corte 51 Per quanto attiene alla ricevibilità della seconda parte del primo motivo d’impugnazione, occorre rammentare, da un lato, che dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE, dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché dall’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), e dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura risulta che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui è chiesto l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda, pena l’irricevibilità dell’impugnazione o del motivo in questione (sentenza dell’11 gennaio 2024, Foz/Consiglio, C‑524/22 P, EU:C:2024:23, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). 52 Pertanto, gli elementi dell’impugnazione che non contengono alcuna argomentazione volta specificamente a identificare l’errore di diritto da cui sarebbe viziata la sentenza impugnata non soddisfano tale requisito e devono essere respinti in quanto irricevibili (sentenza del 22 giugno 2023, YG/Commissione, C‑818/21 P, EU:C:2023:511, punto 105 e giurisprudenza ivi citata). 53 Dall’altro lato, un ricorrente è legittimato a proporre un’impugnazione in cui fa valere, dinanzi alla Corte, motivi e argomenti derivanti dalla stessa sentenza impugnata e diretti a contestarne, in diritto, la fondatezza (sentenza del 6 luglio 2023, BEI e Commissione/ClientEarth, C‑212/21 P e C‑223/21 P, EU:C:2023:546, punto 96 nonché giurisprudenza ivi citata). 54 Nel caso di specie, sebbene la ricorrente menzioni, nel titolo del primo motivo, e per quanto riguarda l’audizione del 23 aprile 2018 e il parere del comitato consultivo, la violazione dell’articolo 266 TFUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), essa non spiega i motivi per i quali tali disposizioni potrebbero suffragare una censura relativa a una mancanza d’imparzialità dei membri del comitato consultivo e della Commissione, contrariamente alla giurisprudenza citata al punto 51 della presente sentenza. Ne consegue che tale parte del motivo deve essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui riguarda la violazione di dette disposizioni. 55 Invece, la censura relativa alla violazione del principio della presunzione d’innocenza, sancito all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta e all’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), è esposta in modo sufficientemente chiaro per comprendere che la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe omesso di statuire su una parte del suo ricorso in primo grado. Tale censura è quindi ricevibile. 56 Inoltre, la ricorrente sosteneva dinanzi al Tribunale che, tenuto conto della decisione dell’AGCM del 2017, non si poteva ritenere che i rappresentanti dell’AGCM che avevano partecipato all’audizione del 23 aprile 2018 e ai lavori del comitato consultivo relativi all’adozione della decisione controversa fossero obiettivi e imparziali. Orbene, dal punto 75 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha respinto tale affermazione per il motivo che la decisione dell’AGCM del 2017 è stata successivamente annullata da una sentenza del 12 giugno 2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. Pertanto, conformemente alla giurisprudenza di cui al punto 53 della presente sentenza, la ricorrente è legittimata, nell’ambito della sua impugnazione, a contestare tale valutazione, facendo valere che la data di tale sentenza era rilevante. 57 Quanto al merito, occorre rilevare che il Tribunale ha, innanzitutto, rammentato, ai punti da 64 a 66 della sentenza impugnata, che poiché la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), è stata annullata dalla Corte, essa è scomparsa dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Successivamente, ai punti 71 e 72 della sentenza impugnata, ha dichiarato che «la possibile conoscenza di una soluzione adottata in precedenza e, se del caso, confermata in una sentenza del Tribunale successivamente annullata dalla Corte in sede d’impugnazione è insita nell’obbligo di trarre le conseguenze di un annullamento». Secondo il Tribunale, considerare che tale conoscenza possa «in quanto tale, impedire una riapertura del procedimento», sarebbe incompatibile con l’articolo 266 TFUE, che, in caso di annullamento sulla base dell’articolo 263 TFUE, impone alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione di prendere i provvedimenti che l’esecuzione delle sentenze emesse nei loro confronti comporta, senza tuttavia esonerarle dal compito consistente nell’assicurare, nei settori rientranti nella loro competenza, l’applicazione del diritto dell’Unione. Infine, il Tribunale ha considerato, al punto 73 di tale sentenza, che, in circostanze siffatte, una riapertura del procedimento sarebbe vietata soltanto nel caso in cui, adducendo indizi concreti, la ricorrente potesse dimostrare che l’imparzialità dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e della Commissione «è stata concretamente pregiudicata in modo negativo». 58 Tale valutazione non è inficiata da alcun errore di diritto. 59 Al riguardo, occorre rammentare che il diritto ad una buona amministrazione, sancito all’articolo 41 della Carta, prevede che ogni persona abbia diritto, in particolare, a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione. Tale requisito di imparzialità comprende, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricata della questione deve manifestare opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (sentenza del 1° febbraio 2024, Scania e a./Commissione, C‑251/22 P, EU:C:2024:103, punto 70 nonché giurisprudenza ivi citata). 60 Nella fattispecie, fatta eccezione per il caso dell’AGCM, l’argomento della ricorrente riguarda soltanto l’imparzialità oggettiva dei rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e della Commissione. 61 Orbene, anche supponendo che il requisito dell’imparzialità, quale discende dall’articolo 41 della Carta, si applichi altresì per quanto concerne i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, quando partecipano a un’audizione e quando contribuiscono al parere che deve essere emesso dal comitato consultivo su un progetto di decisione della Commissione in materia di concorrenza, la sola conoscenza, da parte di tali rappresentanti, di una precedente decisione della Commissione, confermata in una sentenza del Tribunale e annullata in seguito dalla Corte, non può essere sufficiente, di per sé e in assenza di qualsiasi altro elemento oggettivo, per suscitare un dubbio legittimo, agli occhi dei terzi, quanto all’esistenza di eventuali pregiudizi da parte di detti rappresentanti. Infatti, i membri del comitato consultivo, quando partecipano a un’audizione e contribuiscono all’elaborazione del parere di tale comitato su un progetto di decisione della Commissione in materia di concorrenza, non sono tenuti a prendere in considerazione tale precedente decisione. La sola conoscenza di una siffatta decisione non può quindi, di per sé, suscitare un dubbio legittimo quanto all’esistenza di eventuali pregiudizi da parte dei membri di detto comitato. 62 Ciò vale, a maggior ragione, per quanto concerne la Commissione. Infatti, l’argomento della ricorrente, se dovesse essere accolto, avrebbe come conseguenza di vietare a tale istituzione di riprendere il procedimento dopo l’annullamento di una decisione da parte del Tribunale o della Corte, non foss’altro che in una situazione come quella del caso di specie, e ciò anche in assenza di indizi concreti che possano far sorgere un dubbio legittimo riguardante la sua imparzialità. Come correttamente rilevato dal Tribunale, un siffatto divieto sarebbe incompatibile con l’articolo 266 TFUE che, in caso di annullamento di un atto, impone alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione da cui emana tale atto di prendere i provvedimenti che l’esecuzione delle sentenze emesse nei loro confronti comporta, senza escludere la possibilità di adottare un nuovo atto, privo dei vizi constatati dal giudice dell’Unione. Inoltre, una tale soluzione impedirebbe alla Commissione di svolgere la sua missione di garantire, nei settori di sua competenza, l’applicazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza. 63 Per quanto attiene all’asserita mancanza d’imparzialità dell’AGCM, la ricorrente sostiene che tale autorità si era fondata sulla decisione del 2009 e sulle sentenze del 2014 quando ha adottato la decisione dell’AGCM del 2017. 64 Orbene, dalle prove invocate dalla ricorrente a tal riguardo emerge che la decisione del 2009 e le sentenze del 2014, sebbene menzionate nella decisione dell’AGCM del 2017, non costituiscono uno dei fondamenti di tale decisione. Inoltre, le affermazioni della ricorrente relative alla mancanza di obiettività o d’imparzialità dell’AGCM non erano esposte in modo chiaro nel suo ricorso in primo grado. Alla luce di tali circostanze, il Tribunale non ha snaturato i fatti e gli elementi di prova né omesso di statuire sull’argomento della ricorrente. 65 Per quanto attiene alla censura secondo cui il Tribunale avrebbe omesso di statuire sull’argomento relativo alla violazione del principio della presunzione d’innocenza, occorre rilevare che la ricorrente sosteneva, in primo luogo, che, poiché il Tribunale, nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), aveva già accertato la sua partecipazione all’intesa, i rappresentanti delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri non erano in grado, all’audizione del 23 aprile 2018 e nel corso delle successive attività del comitato consultivo, di presumere la sua innocenza. Tale censura si confondeva quindi con l’argomento con cui la ricorrente sosteneva in generale che tali autorità non erano imparziali. Orbene, poiché il Tribunale ha respinto tale argomento nella sua interezza, esso non era tenuto a pronunciarsi in modo specifico su detta censura. Occorre rilevare, al riguardo, che la ricorrente non aveva invocato alcun argomento diretto a completare in modo specifico la sua censura relativa al rispetto della presunzione d’innocenza. 66 Ne consegue che la prima parte del primo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondata. Sulla seconda parte – Argomenti delle parti 67 Con la seconda parte del primo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel respingere, ai punti da 79 a 157 della sentenza impugnata, il suo argomento vertente sulla natura incompleta dell’audizione del 23 aprile 2018, in quanto la Commissione non aveva invitato la Riva, la Leali, la IRO, la Lucchini, la Federazione e l’Ansfer, sarebbe incorso in errori di diritto. In particolare, il Tribunale avrebbe risposto in modo errato alla questione se, per quanto riguarda tale audizione, la Commissione avesse ostacolato i diritti della difesa della ricorrente, in un qualsiasi altro modo diverso dalla violazione di una norma per essa vincolante. 68 In primo luogo, per quanto attiene alla Riva, la ricorrente sostiene che tale impresa destinataria della decisione controversa sarebbe stata costretta a rinunciare a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. In effetti, a causa del tempo trascorso dai fatti in questione, nessuno degli impiegati della Riva sarebbe stato in grado di riferire elementi utili ai fini delle contestazioni della Commissione. La ricorrente sottolinea che non sarebbe l’assenza della Riva in occasione dell’audizione del 23 aprile 2018 ad essere all’origine del pregiudizio ai sui diritti della difesa, ma la durata abnorme della procedura. Di conseguenza, tale durata eccezionalmente lunga avrebbe impedito al comitato consultivo di sentire la Riva e di acquisire un quadro completo del contesto e delle difese relativi al cartello che la Commissione intendeva sanzionare. 69 In secondo luogo, per quanto attiene alla situazione delle imprese e delle associazioni che, secondo la ricorrente, avrebbero dovuto essere invitate all’audizione del 23 aprile 2018 nella loro qualità di terzi interessati, conformemente all’articolo 27, paragrafo 3, seconda frase, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004, la ricorrente sostiene, da un lato, che il Tribunale avrebbe respinto, al punto 102 della sentenza impugnata, il suo argomento relativo alla violazione dei diritti della difesa risultante dall’assenza della Leali, della IRO e della Federazione, basandosi su considerazioni irrilevanti. 70 Dall’altro lato, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che la Commissione aveva validamente ritenuto che la Lucchini e l’Ansfer non avessero la qualità di terzo interessato. 71 La valutazione del Tribunale relativa alla Lucchini sarebbe arbitraria, rigida e formalistica. Infatti, essa non consentirebbe di comprendere perché la domanda della Lucchini diretta ad essere autorizzata, in quanto parte alla procedura, a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 non potesse essere interpretata nel senso che tale impresa intendeva essere invitata in quanto terzo interessato. 72 Per quanto concerne la qualità di terzo interessato dell’Ansfer, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe statuito in modo contraddittorio, snaturato e valutato i fatti in modo arbitrario. Essa deduce, al riguardo, tre censure. 73 Innanzitutto, la motivazione esposta ai punti da 126 a 128 della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria. Infatti, dopo aver constatato che sarebbe legittimo che un soggetto a cui sia stata riconosciuta la qualità di terzo interessato in una fase precedente del procedimento conservi tale qualità durante tutto il procedimento, il Tribunale ha esaminato se, nel caso di specie, l’Ansfer avesse potuto conservare tale status. 74 Nel considerare poi, al punto 129 della sentenza impugnata, che «l’interesse manifestato dall’Ansfer a partecipare al procedimento non è stato conservato per tutta la durata di quest’ultimo», il Tribunale avrebbe snaturato il punto 110 della decisione controversa con cui la Commissione ha conferito all’Ansfer la qualità di terzo interessato. Inoltre, al punto 124 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe limitato la portata della censura di primo grado alla situazione procedurale dell’Ansfer nel corso del 2002. 75 Il Tribunale avrebbe altresì violato l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 773/2004, in forza del quale la Commissione è tenuta ad informare i terzi interessati circa la natura e l’oggetto del procedimento e ad invitarli, se ne fanno domanda nelle osservazioni scritte, a sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti. Orbene, sarebbe pacifico che la Commissione non ha informato l’Ansfer della ripresa del procedimento amministrativo nel dicembre 2017 né l’ha invitata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. 76 Inoltre, il Tribunale avrebbe violato l’articolo 5, paragrafi 1 e 2 e l’articolo 6, paragrafo 2, della decisione 2011/695/UE del presidente della Commissione europea, del 13 ottobre 2011, relativa alla funzione e al mandato del consigliere-auditore per taluni procedimenti in materia di concorrenza (GU 2011, L 275, pag. 29). 77 Infine, anche supponendo che il Tribunale avesse potuto fondatamente considerare che era necessario valutare se l’Ansfer avesse potuto conservare il suo status di terzo interessato, il ragionamento contenuto ai punti da 132 a 135 della sentenza impugnata, sulla base del quale il Tribunale ha concluso che ciò non si era verificato, e che si fondava segnatamente su taluni fatti specifici, non sarebbe né logico né decisivo. 78 Infatti, innanzitutto, secondo la ricorrente, l’Ansfer non ha partecipato all’audizione del 30 settembre 2002, poiché essa riguardava non il merito della causa, ma unicamente la questione delle conseguenze giuridiche della scadenza del trattato CECA. Il fatto che tale associazione non ha preso la parola nel corso dell’audizione del 13 giugno 2002 sarebbe irrilevante, non sussistendo un obbligo in tal senso in capo ai partecipanti. Il fatto poi che le osservazioni scritte dell’Ansfer sono state versate agli atti e riprese successivamente nel progetto di decisione controversa non sarebbe per nulla decisivo, dato che, diversamente, non sarebbe nemmeno necessario invitare le parti a una nuova audizione. Infine, la valutazione, al punto 133 della sentenza impugnata, secondo cui sarebbe nell’interesse di una buona amministrazione «evitare una moltiplicazione di intervenienti», non sarebbe comprensibile, dato che i soggetti presenti all’audizione del 23 aprile 2018 sarebbero stati pochissimi. 79 In ogni caso, le considerazioni che precedono metterebbero in chiara luce l’arbitrarietà della valutazione della Commissione, come avallata dal Tribunale. 80 In terzo luogo, per quanto attiene alla situazione degli altri terzi, di cui all’articolo 27, paragrafo 3, prima frase, del regolamento n. 1/2003 e all’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004, ossia persone diverse dai destinatari della comunicazione degli addebiti e i terzi interessati, quali la Leali, la IRO e la Federazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato tali disposizioni. 81 Lo stesso varrebbe per quanto riguarda la Lucchini. Infatti, taluni destinatari delle decisioni del 2002 e del 2009 erano nel frattempo scomparsi dopo essere falliti, altri erano rimasti esclusi dal procedimento di adozione della decisione controversa, per non aver impugnato la decisione del 2002 o le sentenze del 2014. In tali circostanze, la Commissione avrebbe dovuto accogliere la domanda della Lucchini diretta a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. Il rifiuto della Commissione avrebbe violato i diritti della difesa delle imprese oggetto dell’indagine, che sono state private della possibilità di sfruttare a proprio favore la testimonianza della Lucchini. Inoltre, l’assenza di tale impresa avrebbe costituito un vulnus nelle prerogative dei membri del comitato consultivo che rappresentavano le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri. La Commissione avrebbe quindi esercitato il suo potere di valutazione nei confronti della Lucchini in modo arbitrario, circostanza che il Tribunale avrebbe omesso di rilevare. 82 Per ragioni analoghe, la ricorrente sostiene che la Commissione era tenuta a invitare l’Ansfer a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di altro terzo, avendo la Commissione esercitato il suo margine discrezionale in modo arbitrario anche nei confronti di tale associazione. 83 La Commissione sostiene che l’argomento della ricorrente è irricevibile sotto vari profili. Innanzitutto, tale argomento mirerebbe, in sostanza, a ottenere dalla Corte una nuova valutazione dei fatti e degli elementi di prova prodotti in primo grado. Esso non si fonderebbe poi su alcuna specifica censura, ma si limiterebbe a formulare dubbi. Esso sarebbe inoltre troppo generico e non riguarderebbe specificamente alcun errore di diritto. Infine, le censure, vertenti su un asserito esercizio arbitrario, da parte della Commissione, del suo margine discrezionale sarebbero nuove. In ogni caso, l’argomento della ricorrente sarebbe infondato. – Giudizio della Corte 84 In via preliminare, si deve rilevare che la ricorrente sottolinea che, a prescindere dalla questione se le imprese e associazioni in questione avessero diritto a partecipare a un’audizione prima che la decisione controversa potesse essere adottata, lo svolgimento dell’audizione del 23 aprile 2018, in presenza delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri, non avrebbe consentito a queste ultime di avere un quadro completo del contesto e delle difese relativi al cartello che la Commissione intendeva sanzionare, il che avrebbe violato i diritti della difesa della ricorrente. Tuttavia, dal suo argomento emerge che la ricorrente afferma altresì che, invitando talune imprese o associazioni a partecipare a tale audizione, la Commissione avrebbe violato le norme procedurali relative alle audizioni. 85 Per quanto riguarda, in primo luogo, la situazione della Riva, la ricorrente non contesta la constatazione del Tribunale, contenuta al punto 93 della sentenza impugnata, secondo cui tale impresa non ha chiesto di partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. La ricorrente non fornisce, contrariamente ai requisiti che discendono dalla giurisprudenza citata al punto 52 della presente sentenza, nessun argomento diretto specificamente a identificare l’errore di diritto di cui sarebbe viziata la sentenza impugnata. La seconda parte del primo motivo d’impugnazione deve quindi essere respinta in quanto irricevibile nella parte in cui riguarda la situazione della Riva. 86 Per quanto concerne, in secondo luogo, la situazione delle imprese e delle associazioni che possono essere ritenute terzi interessati, si deve rilevare, innanzitutto, che, sebbene la ricorrente contesti la rilevanza del motivo esposto al punto 102 della sentenza impugnata, secondo cui la Commissione, non invitando la Leali, la IRO e la Federazione a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di terzi interessati, non aveva violato i diritti della difesa della ricorrente, essa non invoca alcun errore di diritto al riguardo. 87 Per quanto attiene poi alla Lucchini, il Tribunale ha rilevato, al punto 103 della sentenza impugnata, che, dopo la riapertura del procedimento il 15 dicembre 2017, tale impresa aveva chiesto alla Commissione di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 non in qualità di terzo interessato, ma in quanto parte in tale procedimento, allo stesso titolo, in particolare, della ricorrente. Il Tribunale ha considerato, da un lato, che la Commissione non era incorsa in errore nel respingere la domanda della Lucchini, e, dall’altro, che quest’ultima non aveva fatto valere, in seguito, che essa poteva essere invitata all’audizione in qualità di terzo interessato. Il Tribunale, al punto 104 di tale sentenza, ha dedotto da tali constatazioni che la Commissione, astenendosi dall’invitare la Lucchini a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018, non aveva violato una norma procedurale atta ad incidere sull’esercizio, da parte della ricorrente, dei suoi diritti della difesa. 88 Al riguardo, la ricorrente non precisa gli argomenti giuridici sulla base dei quali essa critica tali punti della sentenza impugnata, ma si limita a chiedere alla Corte di riesaminare gli argomenti che aveva già presentato al Tribunale e di effettuare una nuova valutazione dei fatti senza invocare lo snaturamento. 89 Orbene, conformemente all’articolo 256, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, l’impugnazione è limitata ai motivi di diritto. Il Tribunale è competente in via esclusiva a constatare e a valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova. La valutazione di tali fatti e degli elementi di prova non costituisce quindi, salvo il caso di un loro snaturamento, una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte nell’ambito di un’impugnazione (sentenza del 29 febbraio 2024, Euranimi/Commissione, C‑95/23 P, EU:C:2024:177, punto 84 e giurisprudenza ivi citata). 90 Inoltre, l’argomento della ricorrente secondo cui la domanda della Lucchini diretta a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di parte al procedimento avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che essa era diretta altresì, in subordine, a partecipare a tale audizione in qualità di terzo interessato è stato dedotto per la prima volta nell’ambito della presente impugnazione. 91 L’argomento della ricorrente vertente sul fatto che la Lucchini avrebbe dovuto essere invitata all’audizione del 23 aprile 2018 in qualità di terzo interessato deve quindi essere respinto in quanto irricevibile, alla luce della giurisprudenza citata ai punti 38 e 89 della presente sentenza. 92 Infine, per quanto attiene all’Ansfer, si deve rammentare che il Tribunale, al punto 130 della sentenza impugnata, ha elencato taluni fatti non contestati dalla ricorrente, ossia, segnatamente, che, nel 2002, avendo appreso dell’avvio del procedimento condotto dalla Commissione, l’Ansfer aveva chiesto di essere autorizzata a partecipare all’audizione del 13 giugno 2002 in qualità di terzo interessato; che tale domanda era stata accettata dalla Commissione; che l’Ansfer si era presentata a detta audizione, in cui, senza che il suo rappresentante vi prendesse la parola, aveva presentato osservazioni scritte, e che, su tale base, l’Ansfer era stata invitata a partecipare all’audizione del 30 settembre 2002, relativa alle conseguenze della scadenza del Trattato CECA, ma che essa non aveva risposto a tale invito e non si era neppure presentata a tale audizione. 93 Basandosi su tali fatti, il Tribunale ha dichiarato, al punto 135 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva potuto considerare che l’Ansfer aveva rinunciato a partecipare al procedimento o, quanto meno, non intendeva sviluppare ulteriormente i suoi argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018. 94 Nessuna delle tre censure invocate dalla ricorrente avverso tale valutazione e sintetizzate ai punti da 73 a 79 della presente sentenza può essere accolta. 95 Contrariamente a quanto la ricorrente sostiene con la sua prima censura, il ragionamento del Tribunale illustrato ai punti da 126 a 128 della sentenza impugnata non rivela alcuna contraddizione. Infatti, dopo aver confermato, ai punti 126 e 127 di tale sentenza, il principio secondo cui un soggetto al quale è stato riconosciuto lo status di terzo interessato conserva tale status durante tutto il procedimento, anche se quest’ultimo è stato interrotto da procedimenti giurisdizionali che hanno dato luogo a sentenze di annullamento, il Tribunale ha sottolineato, al punto 128 di detta sentenza, che occorreva stabilire se, alla luce dei fatti del caso di specie, la situazione fosse diversa nel caso dell’Ansfer. 96 Per quanto concerne la seconda censura della ricorrente, certamente la constatazione al punto 129 della sentenza impugnata e sintetizzata al punto 74 della presente sentenza, secondo cui la ricorrente avrebbe riconosciuto che l’Ansfer non aveva conservato il suo interesse a partecipare al procedimento durante tutta la durata di tale procedimento, non riflette esattamente l’argomento della ricorrente in primo grado. Infatti, quest’ultima sosteneva che l’Ansfer aveva conservato tale status e avrebbe, pertanto, dovuto essere invitata a partecipare all’audizione del 23 aprile 2018. 97 Tuttavia, dal contesto in cui si inserisce tale constatazione emerge che il Tribunale non ha snaturato la sostanza dell’argomento della ricorrente. Infatti, ai punti 123 e 125 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rammentato che la ricorrente aveva sostenuto che l’Ansfer aveva ottenuto lo status di terzo interessato e non lo aveva perso nel corso del procedimento. 98 Al punto 129 della sentenza impugnata, l’inciso «senza che ciò sia contestato dalla ricorrente» può essere inteso come riferito ai fatti elencati al punto 130 di tale sentenza e sintetizzati al punto 92 della presente sentenza. Orbene, tali fatti non erano effettivamente contestati dalla ricorrente. L’errore dedotto dalla ricorrente deriva quindi da una lettura errata della sentenza impugnata e non è tale da comportare l’annullamento del dispositivo di tale sentenza. 99 Inoltre, la ricorrente sostiene che il Tribunale, al punto 129 della sentenza impugnata, avrebbe snaturato il punto 110 della decisione controversa. Tuttavia, tale argomento deriva da una lettura erronea di tale punto. Infatti, detto punto si limita a rilevare che, in un certo momento, il consigliere‑auditore aveva considerato che l’Ansfer era un terzo interessato, ma non si pronuncia sulla questione se tale associazione, dopo la riapertura del procedimento, conservasse tale status in particolare ai fini dell’audizione del 23 aprile 2018. 100 Peraltro, la ricorrente sostiene che, al punto 124 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe snaturato il suo argomento in primo grado riducendone la portata alla sola situazione procedurale esistente nel corso del 2002. Tuttavia, al punto 125 di tale sentenza, il Tribunale ha precisato che la ricorrente aveva sostenuto che lo status di terzo interessato riconosciuto all’Ansfer avrebbe dovuto indurre la Commissione a invitare tale associazione all’audizione del 23 aprile 2018. L’argomento della ricorrente si basa quindi su una lettura errata della sentenza impugnata. 101 In tale contesto, l’argomento della ricorrente non può essere inteso nel senso che esso mira altresì a contestare la motivazione con cui il Tribunale ha considerato che la Commissione aveva potuto non informare l’Ansfer della ripresa del procedimento amministrativo nel dicembre 2017. Infatti, tale motivazione, contenuta ai punti da 108 a 122 della sentenza impugnata, non è censurata dall’impugnazione, dato che la ricorrente si limita a sostenere che detta motivazione è irrilevante. 102 Occorre altresì rilevare che la ricorrente si è limitata ad affermare che il Tribunale avrebbe violato le disposizioni dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 6, paragrafo 2, della decisione 2011/695 relativa al consigliere-auditore, senza tuttavia indicare in maniera precisa i punti della sentenza impugnata che essa intendeva in tal modo criticare nonché gli argomenti giuridici a specifico sostegno di tale critica, in violazione delle disposizioni di cui al punto 51 della presente sentenza. 103 Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la valutazione effettuata dal Tribunale al punto 133 della sentenza impugnata, secondo cui era nell’interesse di una buona amministrazione evitare una moltiplicazione di intervenienti, non è priva di senso. Infatti, dal punto 134 di tale sentenza emerge che era alla luce di tale valutazione che il Tribunale aveva rilevato che l’Ansfer era stata invitata a partecipare ad audizioni nel corso del 2002 in quanto terzo interessato. Invece, dalla sentenza impugnata non emerge che il Tribunale si sia fondato su tale valutazione per dichiarare che la Commissione non era incorsa in errori nel considerare che l’Ansfer aveva in seguito perso tale status. 104 Per quanto riguarda la terza censura, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto nel considerare che un soggetto che è stato riconosciuto quale terzo interessato può successivamente perdere tale status, in particolare in base al suo comportamento. 105 La ricorrente, con il pretesto d’invocare un errore di diritto, chiede in realtà alla Corte di effettuare una nuova valutazione dei fatti menzionati al punto 92 della presente sentenza, senza dedurre il loro snaturamento. Conformemente alle disposizioni rammentate al punto 89 della presente sentenza, tale terza censura deve quindi essere respinta in quanto irricevibile. 106 Inoltre, criticando l’arbitrarietà della valutazione della situazione dell’Ansfer da parte della Commissione, la ricorrente solleva nell’ambito della presente impugnazione un argomento giuridico nuovo che deve, pertanto, essere respinto in quanto irricevibile, in applicazione delle norme relative al procedimento d’impugnazione che sono state rammentate al punto 38 della presente sentenza. 107 Per quanto attiene, in terzo luogo, alla situazione di altri terzi, la ricorrente sostiene che il Tribunale, convalidando la decisione della Commissione di non invitare, in tale qualità, la Leali, la IRO, la Lucchini, la Federazione e l’Ansfer all’audizione del 23 aprile 2018, sarebbe incorso in errore nell’applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, prima frase, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004. 108 Tali disposizioni prevedono, come emerge dalla loro formulazione, la possibilità, e non l’obbligo, per la Commissione, da un lato, di sentire persone fisiche o giuridiche diverse dalle persone soggette al procedimento e dai terzi interessati e, dall’altro, di invitarli a presentare osservazioni scritte e ad assistere all’audizione delle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti. Ne consegue che, come rilevato dal Tribunale al punto 149 della sentenza impugnata, la Commissione dispone di un margine discrezionale per stabilire se la partecipazione di tali terzi possa essere utile. Di conseguenza, la violazione di tali disposizioni può essere constatata solo qualora fosse dimostrato che la Commissione aveva manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale. 109 Orbene, la ricorrente non indica che fosse questo il caso con riferimento alla Leali, alla IRO e alla Federazione. 110 Vero è che la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe esercitato il suo potere discrezionale in modo arbitrario nei confronti della Lucchini e dell’Ansfer. Tuttavia, poiché tale argomento è stato sollevato per la prima volta nell’ambito della presente impugnazione, esso deve essere considerato irricevibile, tenuto conto della giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza. 111 La ricorrente sostiene inoltre che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nell’omettere di esaminare se la Commissione avesse ostacolato i suoi diritti della difesa, in un qualsiasi altro modo diverso dalla violazione di una norma per essa vincolante. Si deve rilevare che, al punto 156 della sentenza impugnata, il Tribunale ha giudicato che la ricorrente «non [aveva] dimostrato di essere stata ostacolata nell’esercizio dei suoi diritti della difesa a prescindere dalla violazione di una norma, a causa dell’assenza di un’impresa o di un terzo durante l’audizione [del 23 aprile 2018]». 112 Un siffatto ostacolo all’esercizio dei suoi diritti della difesa non è stato dimostrato dalla ricorrente neppure nella sua impugnazione. 113 Certamente, la presenza della Leali, della IRO, della Lucchini, della Federazione e dell’Ansfer a tale audizione avrebbe potuto essere utile, nel senso che avrebbe potuto fornire al comitato consultivo un quadro più completo del contesto e delle difese relativi al cartello. Tuttavia, tale considerazione ipotetica non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa della ricorrente. 114 Ne consegue che la seconda parte del primo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondata. Sulla quarta parte – Argomenti delle parti 115 Con la quarta parte del primo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che, nel dichiarare, ai punti da 163 a 195 della sentenza impugnata, da un lato, che i due membri del comitato consultivo che non avevano partecipato all’audizione del 23 aprile 2018 disponevano degli elementi necessari per statuire con piena cognizione di causa, anche senza la registrazione dell’audizione e, dall’altro lato, che l’assenza dell’autorità garante della concorrenza relatrice all’audizione non viziava il parere di tale comitato, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto. 116 Al punto 185 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rammentato che, secondo la giurisprudenza, qualora non siano stati comunicati al comitato consultivo elementi di valutazione importanti e inediti, si deve ritenere che quest’ultimo non sia stato posto in grado di emettere il proprio parere con piena cognizione di causa. Ad avviso della ricorrente, ciò si è verificato nel caso di specie. La ricorrente sostiene che le sue osservazioni orali nell’audizione del 23 aprile 2018 sono state riprodotte solo in parte nei documenti trasmessi al comitato consultivo. Infatti, in tale audizione, essa avrebbe affrontato in particolare la questione della situazione contemporanea del settore siderurgico. 117 Omettendo di confrontare il contenuto degli allegati A.7 ed E.1 prodotti nell’ambito del procedimento in primo grado, il Tribunale avrebbe così omesso di esaminare elementi di prova o, perlomeno, snaturato taluni atti. In tali circostanze, la ricorrente ritiene che, non disponendo della registrazione sonora dell’audizione, il comitato consultivo non ha avuto accesso ad elementi di valutazione importanti e inediti. 118 Per quanto attiene alla censura vertente sull’assenza dell’autorità garante della concorrenza relatrice all’audizione, la ricorrente prende atto della sentenza sulla quale si è basato il Tribunale, al punto 194 della sentenza impugnata, per dichiarare che la presenza di tale autorità all’audizione non era necessaria, invitando al contempo la Corte a fornire un «chiarimento» di tale punto. Essa rileva, al riguardo, che nella causa che ha portato a tale sentenza, le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri avevano ricevuto una copia del verbale dell’audizione, il che non si sarebbe verificato nella presente causa. Inoltre, tenuto conto dell’importanza dell’autorità garante della concorrenza relatrice in seno al comitato consultivo, sarebbe illogico considerare che tale autorità possa attestare la regolarità di un’audizione alla quale non ha partecipato. 119 La Commissione sostiene che l’argomento della ricorrente è irricevibile e, in ogni caso, privo di fondamento. – Giudizio della Corte 120 In primo luogo, la ricorrente afferma, in sostanza, di aver presentato oralmente all’audizione del 23 aprile 2018 elementi importanti e inediti. In assenza di due membri del comitato consultivo a tale audizione e non avendo avuto a disposizione una registrazione, tale comitato non avrebbe emesso il proprio parere con piena cognizione di causa. 121 Occorre rilevare che, al punto 186 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che, nel caso di specie, la ricorrente non aveva affermato che la mancata comunicazione della registrazione di tale audizione sarebbe stata tale da indurre in errore il comitato consultivo su punti essenziali e non aveva fornito alcuna indicazione relativa all’esistenza di un’eventuale divergenza tra le sue risposte scritte alle comunicazioni degli addebiti, quali trasmesse al comitato, e le sue osservazioni orali nel corso di detta audizione. 122 La ricorrente non ha contestato tale punto della sentenza impugnata nella sua impugnazione. Ne consegue che l’argomento vertente su un’asserita divergenza tra la sua presentazione orale all’audizione del 23 aprile 2018 e il contenuto dei documenti in possesso del comitato consultivo è stata sollevata per la prima volta dinanzi alla Corte, ed è quindi irricevibile, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza. 123 È vero che la ricorrente contesta il motivo illustrato al punto 187 della sentenza impugnata, secondo cui l’esame del fascicolo non aveva rivelato alcun indizio tale da mettere in dubbio il fatto che il comitato consultivo disponesse effettivamente, durante la sua riunione, degli elementi necessari alle sue deliberazioni. Tuttavia, con il pretesto di invocare uno snaturamento degli elementi di prova e degli atti di causa, la ricorrente si limita in realtà a fare riferimento in modo generale a due documenti contenuti nel fascicolo e ad elencare talune questioni asseritamente nuove che essa avrebbe affrontato all’audizione del 23 aprile 2018, senza fornire alcuna precisazione idonea a suffragare l’esistenza di un tale snaturamento. In particolare, la ricorrente afferma di aver affrontato, in sede di audizione, la questione della situazione contemporanea del settore siderurgico, anche alla luce dell’avviso di apertura, pubblicato nel marzo 2018, di un’inchiesta ai fini dell’adozione di misure di salvaguardia concernenti le importazioni di prodotti siderurgici. Tuttavia, tale affermazione non è sufficiente per dimostrare che le sue dichiarazioni orali in detta audizione contenevano elementi di valutazione importanti e inediti rispetto al contenuto dei documenti che erano stati trasmessi al comitato consultivo. 124 In secondo luogo, la ricorrente si limita a chiedere alla Corte di fornire un «chiarimento», senza tuttavia dedurre argomenti di diritto a specifico sostegno della sua domanda di annullamento della sentenza impugnata, contrariamente all’obbligo ad essa spettante in forza della giurisprudenza di cui al punto 51 della presente sentenza. 125 Parimenti, la ricorrente sostiene che sarebbe illogico ritenere che l’autorità garante della concorrenza relatrice possa attestare la regolarità di un’audizione alla quale non ha partecipato, senza fornire alcun argomento di diritto volto specificamente a mettere in discussione la motivazione esposta ai punti 192 e 193 della sentenza impugnata. 126 Ne consegue che la quarta parte del primo motivo d’impugnazione e, di conseguenza, tale motivo nella sua interezza devono essere respinti in quanto, in parte, irricevibili e, in parte, infondati. Sul quinto motivo d’impugnazione Argomenti delle parti 127 Con il suo quinto motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che la motivazione esposta ai punti da 349 a 367 della sentenza impugnata, con cui il Tribunale ha respinto l’eccezione di illegittimità relativa all’articolo 25 del regolamento n. 1/2003, è viziata da errori di diritto. 128 In primo luogo, la ricorrente rammenta che tale disposizione prevede che, in caso di interruzione della prescrizione, la prescrizione operi, al più tardi, entro un termine di dieci anni. Orbene, nel caso di specie, a causa della sospensione della prescrizione durante i procedimenti giudiziari, il procedimento sarebbe rimasto aperto più di vent’anni dopo la cessazione della condotta illecita, ossia una durata superiore «[a]l doppio del doppio» del termine di prescrizione ordinario. Tale circostanza sarebbe la prova che il legislatore dell’Unione non ha conciliato in modo equo le esigenze di certezza del diritto e di rispetto del diritto. 129 In secondo luogo, il ragionamento del Tribunale avrebbe l’effetto di obbligare la ricorrente ad accettare o di essere destinataria di una sanzione illecita oppure di essere perseguita illimitatamente nel tempo. Orbene, la Commissione non dovrebbe poter approfittare dei propri errori per beneficiare di una proroga del termine ad essa impartito per irrogare sanzioni. Inoltre, il diritto alla tutela giurisdizionale non dovrebbe ritorcersi contro il singolo, comportando, a suo sfavore, l’imprescrittibilità di fatto del potere sanzionatorio della Commissione. 130 In terzo luogo, la ricorrente osserva che, in caso di violazione del termine ragionevole, le imprese interessate possono chiedere l’annullamento della decisione che constata un’infrazione, a condizione che tale violazione abbia ostacolato l’esercizio dei loro diritti della difesa, o proporre un ricorso per risarcimento del danno. Ad avviso della ricorrente, l’unico rimedio in grado di garantire una tutela piena del principio del termine ragionevole consisterebbe tuttavia nell’annullamento della decisione adottata in caso di violazione manifesta di tale termine, e ciò a prescindere dalla scadenza del termine di prescrizione. Il considerando 37 del regolamento n. 1/2003, ai sensi del quale tale regolamento deve essere interpretato e applicato in relazione ai diritti fondamentali e ai principi sanciti nella Carta non troverebbe alcun riscontro nella formulazione dell’articolo 25 di tale regolamento. 131 In quarto luogo, per quanto attiene al principio di proporzionalità, la ricorrente afferma che il Tribunale ha fatto riferimento, segnatamente, alla sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 144), sebbene tale sentenza sia stata criticata nelle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2010:635, punti da 183 a 185). Il Tribunale avrebbe omesso di rispondere alla proposta della ricorrente che lo invitava ad adottare la soluzione caldeggiata in tali conclusioni. 132 Il Consiglio e la Commissione contestano l’argomento della ricorrente. Giudizio della Corte 133 Come rammentato dal Tribunale al punto 354 della sentenza impugnata, l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 risulta da un contemperamento operato dal legislatore dell’Unione, nell’esercizio delle competenze ad esso conferite, tra due obiettivi, vale a dire, da un lato, la necessità di garantire la certezza del diritto evitando che possano essere indefinitamente messe in discussione situazioni consolidate con il decorso del tempo, e, dall’altro, l’esigenza di garantire il rispetto del diritto, definendo e sanzionando le infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione. 134 Al riguardo, e come rilevato dal Tribunale ai punti 355 e 356 della sentenza impugnata, il legislatore dell’Unione, nel cercare di conciliare tali obiettivi, non ha oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. Infatti, l’articolo 25, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 25, paragrafo 5, del regolamento n. 1/2003 prevedono, per quanto attiene al perseguimento delle infrazioni agli articoli 101 e 102 TFUE, che la prescrizione operi dopo un termine di cinque anni o, nel caso di un’interruzione della prescrizione, al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto, se la Commissione non ha irrogato un’ammenda o una penalità di mora entro tale termine. Da tali disposizioni risulta che il potere di tale istituzione di infliggere sanzioni è circoscritto da limiti rigorosi. 135 Il risultato di tale conciliazione è altresì conforme al principio di proporzionalità, come dichiarato dal Tribunale ai punti da 359 a 366 della sentenza impugnata. 136 Vero è che, in caso di ricorso dinanzi al giudice dell’Unione, il termine di prescrizione rimane sospeso fino al termine di tale procedimento contenzioso, conformemente all’articolo 25, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003. Come rilevato, in sostanza, dal Tribunale al punto 363 della sentenza impugnata, tale sospensione protegge la Commissione dall’effetto della prescrizione in situazioni in cui l’inerzia di tale istituzione non è la conseguenza di una mancanza di diligenza da parte sua. La possibilità che, a causa di siffatti periodi di sospensione, la durata totale di un procedimento superi, come nel caso di specie, in modo sostanziale, il termine di prescrizione fissato dall’articolo 25, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1/2003 a cinque o a dieci anni, o, in caso d’interruzione di questo, il termine di dieci anni previsto dall’articolo 25, paragrafo 5, di tale regolamento, non permette di considerare che il legislatore dell’Unione abbia oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. 137 Come illustrato dal Tribunale, in sostanza, al punto 356 della sentenza impugnata, i singoli che ritengano di aver subito un procedimento di durata irragionevolmente lunga possono ottenere l’annullamento della decisione adottata al termine di tale procedimento, a condizione che tale durata abbia determinato una violazione dei diritti della difesa, o, in mancanza di una siffatta violazione dei diritti della difesa, proporre un ricorso per risarcimento danni dinanzi al giudice dell’Unione. 138 La circostanza che, nel caso di specie, la durata complessiva del procedimento eccede vent’anni, non consente di considerare che l’articolo 25 del regolamento n. 1/2003 è inficiato da illegittimità. 139 Tale conclusione non è messa in discussione dagli altri argomenti dedotti dalla ricorrente. 140 In primo luogo, alla luce dei termini di prescrizione rammentati al punto 134 della presente sentenza, e nonostante la durata del procedimento in questione, la ricorrente non può sostenere di essere esposta al rischio di essere indefinitamente perseguita dalla Commissione o a una imprescrittibilità di fatto del potere sanzionatorio di tale istituzione. 141 In secondo luogo, le difficoltà dinanzi alle quali potrebbe trovarsi un singolo qualora tenti di attuare i rimedi di cui al punto 137 della presente sentenza, per quanto importanti esse siano, non possono essere sufficienti per ritenere che solo l’annullamento della decisione che le impone una sanzione costituisca un rimedio effettivo in caso di violazione del principio del termine ragionevole, indipendentemente dalla scadenza del termine di prescrizione. 142 In terzo luogo, la ricorrente si limita ad affermare che il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta, sebbene rammentato al considerando 37 del regolamento n. 1/2003, non troverebbe riscontro nella formulazione dell’articolo 25 di tale regolamento, senza tuttavia fornire la minima precisazione al riguardo. 143 In quarto luogo, quanto alla pertinenza dell’interpretazione sostenuta ai paragrafi da 183 a 185 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2010:635), è sufficiente rammentare che, come riconosciuto del resto dalla stessa ricorrente, essa non ha trovato riscontro nella sentenza in tale causa, né più in generale, nella giurisprudenza della Corte. 144 Infine, nei limiti in cui la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi, nella sentenza impugnata, su tale passaggio delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2010:635) e avrebbe quindi omesso di statuire al riguardo, si deve rilevare che detto passaggio conteneva una proposta che verteva non già sulla validità delle norme in questione, ma sulla loro interpretazione. Di conseguenza, la posizione così espressa in tali conclusioni non può, in ogni caso, suffragare l’eccezione di illegittimità di cui al quinto motivo d’impugnazione. 145 Ne consegue che il quinto motivo d’impugnazione deve essere respinto in quanto infondato. Sul secondo motivo d’impugnazione 146 Con il suo secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente contesta la motivazione con cui il Tribunale, ai punti da 229 a 272 della sentenza impugnata, ha considerato che il principio del termine ragionevole non era stato violato. 147 Tale motivo si articola in tre parti. 148 Con le due prime parti, la ricorrente contesta, da un lato, le valutazioni del Tribunale relative alla durata del procedimento di adozione della decisione del 2009 e della decisione controversa e, dall’altro, le valutazioni relative alla durata complessiva del procedimento che, al momento dell’adozione di quest’ultima decisione, avrebbe già superato i 19 anni. 149 Con la terza parte, essa contesta la valutazione del Tribunale secondo cui la durata del procedimento non ha pregiudicato i suoi diritti della difesa. 150 Come rammentato dal Tribunale, in sostanza, al punto 215 della sentenza impugnata, la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole può giustificare l’annullamento di una decisione adottata all’esito di un procedimento amministrativo basato sugli articoli 101 o 102 TFUE soltanto qualora essa comporta altresì una violazione dei diritti della difesa dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione, C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punti da 74 a 76 e giurisprudenza ivi citata). 151 Ne consegue che, come rilevato dal Tribunale al punto 230 della sentenza impugnata, la durata del procedimento può comportare l’annullamento di una decisione impugnata se ricorrono cumulativamente due condizioni: la prima, che tale durata appaia irragionevole e, la seconda, che il superamento del termine ragionevole abbia impedito l’esercizio dei diritti della difesa. 152 È alla luce della seconda di tali condizioni che occorre esaminare la terza parte del secondo motivo d’impugnazione. Argomenti delle parti 153 Con la terza parte del secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che, contrariamente alle valutazioni effettuate ai punti da 266 a 272 della sentenza impugnata, la durata del procedimento avrebbe violato i suoi diritti della difesa e le avrebbe causato un pregiudizio. In particolare, sarebbe a causa dell’eccessiva durata di tale procedimento che la maggior parte dei soggetti che avrebbero potuto portare elementi utili alla sua difesa, inclusi elementi a discarico, non è riuscita a prendere parte all’audizione del 23 aprile 2018. Se tutte le parti interessate avessero potuto essere sentite sul merito degli addebiti prima dell’adozione della decisione del 2002, o della decisione del 2009, la Commissione avrebbe potuto adottare una decisione diversa. 154 La Commissione ritiene che tale argomento sia irricevibile e, in ogni caso, infondato. Giudizio della Corte 155 A differenza di quanto sostiene la Commissione, la ricorrente non si limita a chiedere alla Corte di effettuare un nuovo esame del ricorso in primo grado e una nuova valutazione dei fatti, senza individuare con precisione gli errori commessi nella sentenza impugnata. Tuttavia, al fine di dimostrare che la durata del procedimento ha comportato una violazione dei suoi diritti della difesa, la ricorrente ribadisce l’argomento dedotto nell’ambito del suo primo motivo della presente impugnazione, che è stato respinto, al punto 126 della presente sentenza, in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondato. 156 Pertanto, la terza parte del secondo motivo deve, anch’essa, essere respinta. 157 Ne consegue che una delle due condizioni, di cui al punto 151 della presente sentenza, necessarie affinché la violazione del principio del termine ragionevole possa dar luogo all’annullamento di una decisione non è soddisfatta. 158 Il secondo motivo d’impugnazione, basato su una violazione del principio del termine ragionevole, deve dunque essere respinto in quanto infondato, senza che occorra esaminare la prima e la seconda parte di tale motivo d’impugnazione. Sul terzo motivo d’impugnazione Sulla prima parte – Argomenti delle parti 159 Con la sua prima parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel dichiarare, ai punti da 275 a 296 della sentenza impugnata, che la Commissione ha sufficientemente spiegato le ragioni che l’hanno portata ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda, sarebbe incorso in un errore di diritto. 160 Il Tribunale, ai punti da 282 a 287 della sentenza impugnata, avrebbe, in sostanza, considerato: in primo luogo, che la Commissione aveva indicato che la durata del procedimento non comportava alcuna violazione del principio del termine ragionevole e che i diritti della difesa delle imprese non erano stati violati, dato che queste ultime, da un lato, avevano potuto presentare le loro osservazioni in merito alla riapertura del procedimento e, dall’altro, avevano parimenti esposto i loro argomenti nel corso dell’audizione del 23 aprile 2018; in secondo luogo, che la Commissione, dopo aver effettuato una ponderazione dell’interesse generale a un’applicazione effettiva delle regole di concorrenza e dello scrupolo di mitigare le eventuali conseguenze degli errori procedurali che essa aveva commesso, aveva concluso che solo l’adozione della decisione controversa le avrebbe consentito di assicurarsi che gli autori dell’infrazione non restassero impuniti e fossero effettivamente dissuasi dall’adottare un comportamento simile in futuro, e, in terzo luogo, che tale istituzione aveva deciso di ridurre del 50% l’importo delle ammende inflitte, al fine di mitigare le conseguenze negative che potevano essere state causate dalla lunghezza del procedimento. 161 Secondo la ricorrente, la prima e la terza di tali considerazioni non sarebbero pertinenti per verificare il rispetto delle disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 1, ultima frase, del regolamento n. 1/2003, da cui risulterebbe che la Commissione può constatare che un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione è già cessata solo qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso. La seconda di tali considerazioni, oggetto dei punti da 284 a 286 della sentenza impugnata, non costituirebbe un motivo sufficiente per giustificare la valutazione del Tribunale, dato che, se solo l’imposizione di una sanzione consentisse alla Commissione di garantire l’assenza d’impunità delle infrazioni alle regole della concorrenza e della recidiva, il potere discrezionale che tale regolamento le conferisce sarebbe privo di senso. 162 In ogni caso, la ricorrente ritiene che i motivi addotti dalla Commissione per giustificare l’adozione della decisione controversa e approvati dal Tribunale sono infondati. 163 In primo luogo, il Tribunale avrebbe erroneamente considerato, al punto 290 della sentenza impugnata, che, al punto 567 della decisione controversa, la Commissione aveva risposto all’argomento della ricorrente che contestava a quest’ultima di non aver spiegato perché, in un momento in cui il mercato italiano era profondamente cambiato rispetto al periodo d’infrazione considerato, fosse necessario infliggere alla ricorrente, nel luglio 2019, una sanzione per un comportamento risalente a più di 30 anni. Orbene, tale punto della decisione controversa, che evidenzierebbe l’effetto deterrente della sanzione, non spiegherebbe perché tale effetto continuava a essere pertinente, mentre, in realtà, lo sarebbe stato solo all’avvio dell’istruttoria della Commissione nel corso del 2000. Detto punto non spiegherebbe neppure perché l’effetto deterrente dovrebbe essere «particolarmente auspicabile» in un mercato quale quello del tondo per cemento armato in Italia. 164 In secondo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di rilevare la genericità dell’affermazione, espressa al punto 562 della decisione controversa, secondo cui occorreva impedire alle imprese «di continuare o di riprendere la loro condotta anticoncorrenziale, senza che resti accertata la loro precedente responsabilità nell’infrazione commessa». 165 La Commissione contesta tale argomento. – Giudizio della Corte 166 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la motivazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e all’organo giurisdizionale competente di esercitare il proprio controllo (sentenza del 9 novembre 2023, Altice Group Lux/Commissione, C‑746/21 P, EU:C:2023:836, punto 217 e giurisprudenza ivi citata). 167 Nel caso di specie, il Tribunale non è incorso in errori di diritto nel dichiarare, al punto 288 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva fornito una motivazione approfondita che faceva apparire, in forma chiara e non equivoca, il ragionamento da essa seguito per giustificare l’adozione di una nuova decisione irrogativa di sanzioni nonostante i due annullamenti intervenuti in precedenza. 168 Infatti, le spiegazioni fornite al riguardo nella decisione controversa e sintetizzate dal Tribunale ai punti da 282 a 287 della sentenza impugnata, precisano, in modo sufficientemente chiaro, i motivi che hanno condotto la Commissione ad adottare una nuova decisione irrogativa di un’ammenda. 169 Al riguardo, si deve rilevare, da un lato, che la sintesi di tali ragioni da parte della ricorrente, menzionata al punto 160 della presente sentenza, non è completa, in quanto omette di menzionare che il Tribunale, al punto 285 della sentenza impugnata, ha rammentato che, ai punti 560 e 561 della decisione controversa, la Commissione aveva rilevato che le imprese destinatarie di tale decisione avevano partecipato, per undici anni, a un’infrazione considerata come una restrizione fra le più serie in materia di concorrenza e che, in un simile contesto, il fatto di non riadottare una decisione che constata la partecipazione di tali imprese a detta infrazione sarebbe contrario all’interesse generale di garantire un’effettiva applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione e andrebbe al di là dell’interesse a mitigare le conseguenze di un’eventuale violazione dei diritti fondamentali subita da dette imprese. Tale constatazione era sufficiente, inoltre, per spiegare che la Commissione riteneva che sussistesse un interesse legittimo ad adottare la decisione controversa, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003. 170 Dall’altro lato, come rilevato dal Tribunale al punto 280 della sentenza impugnata, dopo l’annullamento delle due prime decisioni adottate dalla Commissione per sanzionare l’intesa in questione e il tempo, eccezionalmente lungo, trascorso tra i primi atti istruttori e l’adozione della decisione controversa, spettava a detta istituzione tener conto di tali circostanze nel momento in cui ha esposto le ragioni per le quali essa riteneva giustificata l’adozione di una nuova decisione irrogativa delle sanzioni. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tali considerazioni indicate ai punti 282 e 287 della sentenza impugnata erano pertinenti. 171 La valutazione esposta al punto 167 della presente sentenza non è messa in discussione dall’argomento con cui la ricorrente contesta i punti della motivazione della decisione controversa che giustificano un interesse legittimo all’adozione della decisione controversa. 172 Al riguardo, si deve ricordare che l’obbligo di motivare le decisioni costituisce una forma sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, attinente alla legittimità nel merito dell’atto controverso. Infatti, la motivazione di una decisione consiste nell’esprimere espressamente le ragioni su cui si fonda tale decisione. Qualora tali ragioni siano viziate da errori, questi ultimi viziano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima, che può essere sufficiente pur illustrando ragioni errate (sentenze del 18 aprile 2024, Dumitrescu e a./Commissione e Corte di giustizia, da C‑567/22 P a C‑570/22 P, EU:C:2024:336, punto 46, nonché giurisprudenza ivi citata). 173 Orbene, con il pretesto d’invocare una violazione dell’obbligo di motivazione, la ricorrente mira, in realtà, a mettere in discussione la fondatezza dei punti della motivazione su cui si basa la decisione controversa. 174 Tali argomenti non possono mettere in discussione i punti da 275 a 296 della sentenza impugnata con cui il Tribunale ha dichiarato che, nel caso di specie, la Commissione non aveva violato il suo obbligo di motivazione. 175 Ne consegue che la prima parte del terzo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto infondata. Sulla seconda parte – Argomenti delle parti 176 Con la seconda parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale, ai punti da 298 a 302 della sentenza impugnata, sarebbe incorso in un errore di diritto e avrebbe violato il suo obbligo di motivazione relativo all’effetto deterrente della decisione controversa. 177 In primo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di rispondere all’argomento della ricorrente vertente sul fatto che il Consiglio di Stato (Italia), con una sentenza del 21 gennaio 2020, aveva confermato l’inesistenza di un altro cartello a cui la ricorrente avrebbe asseritamente partecipato. Orbene, da tale sentenza emergerebbe che, dopo il 2000, la ricorrente ha esercitato la propria attività nel rispetto delle regole di concorrenza, cosicché l’obiettivo di dissuasione sotteso alla decisione del 2002 è stato pienamente raggiunto. 178 In secondo luogo, il Tribunale si sarebbe limitato, al punto 298 della sentenza impugnata, a enunciare considerazioni generali quanto all’effetto deterrente della decisione controversa. 179 In terzo luogo, la sentenza impugnata sarebbe viziata da una contraddizione nella motivazione. Infatti, dal punto 299 di tale sentenza emergerebbe che, secondo il Tribunale, la decisione di irrogare una sanzione nella decisione controversa trova la sua giustificazione, in termini di deterrenza, nella restituzione dell’importo delle ammende irrogate con tali decisioni conseguente all’annullamento delle decisioni del 2002 e del 2009. Orbene, al punto 660 di detta sentenza, il Tribunale avrebbe giudicato che l’obiettivo di dissuasione era già stato realizzato nei confronti della ricorrente, quantomeno in parte, con le sanzioni che le erano state inflitte nelle decisioni del 2002 e del 2009. 180 In quarto luogo, ai punti 300 e 301 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe omesso di tener conto del fatto che la pronuncia di due sanzioni, nelle decisioni del 2002 e del 2009, nonché le spese legali ad esse relative avrebbero già costituito per essa una sanzione, in particolare ledendo la sua reputazione. Al riguardo, la ricorrente rileva che dalla giurisprudenza del Tribunale, in particolare dalla sentenza del 12 dicembre 2018 Biogaran/Commissione (T‑677/14, EU:T:2018:910), risulta che si deve tener conto del pregiudizio non trascurabile alla reputazione derivante, per una persona giuridica, dal fatto che sia accertata la sua implicazione in un’infrazione alle norme in materia di concorrenza. Inoltre, le ragioni esposte al riguardo nella sentenza impugnata assumerebbero, a causa della loro generalità, la valenza di un vizio motivazionale. 181 La Commissione contesta tale argomento. – Giudizio della Corte 182 Si deve rilevare, in primo luogo, che la sentenza del Consiglio di Stato del 21 gennaio 2020, alla quale fa riferimento la ricorrente, ha accertato l’inesistenza di un’infrazione per un altro cartello al quale la ricorrente aveva asseritamente partecipato. In ogni caso, tale sentenza non consente di dimostrare che, dopo il 2000, quest’ultima ha esercitato la propria attività nel rispetto delle regole di concorrenza e che l’obiettivo di dissuasione, già perseguito dalla decisione del 2002, era dunque già stato raggiunto. In tali circostanze, il Tribunale non può essere criticato per non essersi pronunciato su tale sentenza nella sentenza impugnata. 183 In secondo luogo, si deve rammentare che, al punto 298 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione aveva potuto considerare, alla luce del carattere grave dell’infrazione constatata, che il fatto di adottare una decisione e di infliggere una sanzione era ancora giustificato dall’effetto deterrente che avrebbe potuto produrre, sui mercati, tale decisione e la sanzione che essa comportava. Tale valutazione è esplicitata al punto 299 di tale sentenza, in cui il Tribunale ha sottolineato che è il fatto di dover versare un’ammenda che comporta un effetto deterrente dopo l’annullamento delle decisioni del 2002 e del 2009. Ne consegue che il punto 298 di detta sentenza, in combinato disposto con il punto 299 della medesima sentenza, lungi dall’enunciare considerazioni di natura generale, espone in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento del Tribunale. 184 In terzo luogo, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non sussiste alcuna contraddizione tra i motivi esposti ai punti 299 e 660 della sentenza impugnata. Infatti, se è vero che, in quest’ultimo punto, contenuto nella parte della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha esaminato, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, se occorresse concedere o meno una riduzione ulteriore dell’ammenda inflitta alla ricorrente, il Tribunale ha riconosciuto che le decisioni del 2002 e del 2009 avevano già avuto un certo effetto deterrente, emerge chiaramente dal contesto, e segnatamente dai punti 658, 659 e 661 di tale sentenza, che il Tribunale era del parere che l’obiettivo di dissuasione non era stato interamente raggiunto prima dell’adozione della decisione controversa. In siffatto contesto, l’imposizione di una sanzione alla ricorrente in tale decisione poteva infatti ritenersi giustificata alla luce della necessità di garantire l’effetto deterrente, come rilevato dal Tribunale al punto 299 della sentenza impugnata. 185 In quarto luogo, si deve rilevare che, ai punti 300 e 301 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che l’imposizione di un’ammenda aveva come obiettivo, nel caso di specie, non solo quello di conferire un certo effetto deterrente a tale decisione, ma anche quello di evitare che le imprese interessate godessero di una totale impunità. 186 Orbene, poiché le decisioni del 2002 e del 2009 erano state annullate e le ammende corrispondenti restituite, maggiorate degli interessi, solo una nuova decisione che infliggesse un’ammenda alla ricorrente avrebbe potuto garantire che la sua partecipazione all’intesa di cui alla decisione controversa non restasse impunita. 187 Quanto alle spese relative alle due controversie successive alla decisione del 2002, è sufficiente rilevare che, nella sentenza del 25 ottobre 2007, Ferriere Nord/Commissione (T‑94/03, EU:T:2007:320), il Tribunale ha condannato la Commissione a farsi carico delle spese sostenute dalla ricorrente e, nella sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), la Corte ha condannato la Commissione a farsi carico delle spese sostenute dalla ricorrente a titolo tanto del procedimento in primo grado quanto dell’impugnazione che ha dato luogo a tale sentenza. 188 Inoltre, è vero che, nella sentenza del 12 dicembre 2018, Biogaran/Commissione (T‑677/14, EU:T:2018:910), alla quale fa riferimento la ricorrente, il Tribunale ha tenuto conto del pregiudizio non trascurabile alla reputazione derivante, per una persona fisica o giuridica, dal fatto che sia accertata la sua implicazione in un’infrazione alle norme in materia di concorrenza. Tuttavia, tale valutazione non era diretta a indicare che un siffatto pregiudizio costituisce una forma di sanzione risultante dalla constatazione di un’infrazione tramite una decisione della Commissione, ma a spiegare perché è necessario che tale istituzione presenti prove precise e concordanti per dimostrare l’esistenza di una tale infrazione. 189 Tenuto conto di quanto precede, si deve concludere che il Tribunale non è incorso in errori di diritto nel dichiarare, al punto 300 della sentenza impugnata, che l’imposizione di un’ammenda nella decisione controversa mirava a evitare di conferire alle imprese interessate una totale impunità. 190 Ne consegue che la seconda parte del terzo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto infondata. Sulla terza parte – Argomenti delle parti 191 Con la terza parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, ai punti da 304 a 307 della sentenza impugnata, non ha rispettato il suo obbligo di motivazione nella misura in cui non ha risposto al suo argomento relativo alla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. 192 La Commissione contesta tale argomento. – Giudizio della Corte 193 Al punto 303 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la ricorrente aveva sostenuto in primo grado che il fatto di rivestire la qualità di imputato durante tutta la durata del procedimento le aveva inflitto una sanzione di per sé sufficiente. Il Tribunale ha respinto tale argomento dichiarando, ai punti 304 e 305 di tale sentenza, che la ricorrente, tenuto conto dell’annullamento delle due decisioni precedenti all’adozione della decisione controversa, non era ancora stata sanzionata per aver commesso un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione e che, in siffatte circostanze, l’adozione di tale decisione era diretta a garantire che la ricorrente sarebbe stata effettivamente sanzionata per tale infrazione. 194 A sostegno della terza parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente ribadisce che essa ha già subito una sanzione prima dell’adozione della decisione controversa, ma non presenta alcun argomento diretto a contestare, in modo specifico, il ragionamento del Tribunale di cui ai punti 304 e 305 della sentenza impugnata. Essa si limita ad affermare che il Tribunale ha omesso di statuire sul suo argomento relativo alla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. 195 Al riguardo, si deve rilevare che, al punto 238 del suo ricorso introduttivo, la ricorrente aveva sostenuto che la circostanza di aver rivestito la qualità di «imputato» da ben 17 anni, ossia dalla ricezione della comunicazione degli addebiti nel marzo del 2002, oltre a costituire una violazione dell’articolo 6 della CEDU, che comporta l’obbligo di assicurare che l’interessato non sia costretto a rivestire la qualità di imputato troppo a lungo e che l’accusa elevata nei suoi confronti venga decisa in tempi ragionevoli, avrebbe costituito di per sé un notevole carico afflittivo. 196 Orbene, un siffatto argomento era diretto, come dimostra il titolo della sezione in cui è contenuto, a contestare i motivi della decisione controversa secondo i quali l’irrogazione di una sanzione era necessaria per evitare l’impunità delle imprese in questione. In tali circostanze, e in assenza di qualsiasi precisazione in tal senso, il Tribunale poteva legittimamente considerare che il riferimento all’articolo 6 della CEDU era diretto soltanto a rafforzare l’argomento della ricorrente volto a dimostrare che essa era già stata sanzionata prima dell’adozione della decisione controversa, al quale il Tribunale ha risposto ai punti 304 e 305 della sentenza impugnata. 197 Di conseguenza, nessuna omessa statuizione può essere contestata al Tribunale al riguardo. 198 Ne consegue che la terza parte del terzo motivo d’impugnazione deve essere respinta in quanto infondata. Sulla quarta parte – Argomenti delle parti 199 Con la quarta parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, fondandosi, ai punti da 310 a 315 della sentenza impugnata, sulla possibilità, per taluni terzi, di proporre un’azione risarcitoria dinanzi ai giudici nazionali, avrebbe effettuato una sostituzione della motivazione, avrebbe omesso di esaminare atti versati al fascicolo e avrebbe invertito l’onere della prova. 200 La Commissione ritiene che poiché tale argomento è diretto contro punti della motivazione indicati ad abundantiam nella sentenza impugnata, esso dovrebbe essere respinto in quanto inconferente. In ogni caso, la quarta parte sarebbe priva di fondamento. – Giudizio della Corte 201 Al punto 301 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione constatata dalla Commissione, l’obiettivo di evitare una totale impunità alle imprese interessate era sufficiente, di per sé, a giustificare l’adozione di una decisione irrogativa di una sanzione nel caso di specie. 202 Tale valutazione del Tribunale non è stata contestata dalla ricorrente nella sua impugnazione. 203 Ne consegue che il Tribunale, nell’indicare altre considerazioni che potessero giustificare l’adozione della decisione controversa, come ad esempio l’intenzione di tutelare il diritto di terzi a proporre un’azione risarcitoria dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali, ha esposto tali considerazioni ad abundantiam, al fine di rispondere in modo esaustivo agli argomenti della ricorrente. 204 Poiché le censure dedotte dalla ricorrente nell’ambito della quarta parte del terzo motivo d’impugnazione sono dirette contro punti ultronei della motivazione della sentenza impugnata, esse non possono pertanto comportare l’annullamento di tale sentenza. 205 La quarta parte del terzo motivo d’impugnazione dev’essere dunque respinta in quanto inconferente. Sulla quinta parte – Argomenti delle parti 206 Con la sua quinta parte del terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel respingere, ai punti da 317 a 323 della sentenza impugnata, la sua censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità, si è basato su considerazioni irrilevanti e non sufficienti per giustificare tale rigetto. 207 Inoltre, dopo l’illustrazione di tale quinta parte, l’impugnazione contiene una sezione intitolata «Considerazioni conclusive», in cui la ricorrente ribadisce l’argomento sviluppato ai punti 242, 243 e da 252 a 254 del suo ricorso in primo grado. 208 La Commissione ritiene che detta quinta parte sia irricevibile, tenuto conto della sua natura vaga e generica. Essa sarebbe, in ogni caso, infondata. – Giudizio della Corte 209 Si deve rilevare che la ricorrente si limita a contestare la rilevanza degli elementi presi in considerazione dal Tribunale ai punti da 317 a 323 della sentenza impugnata, senza indicare in modo preciso gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno della sua domanda volta all’annullamento di tale sentenza, contrariamente ai requisiti rammentati al punto 51 della presente sentenza. 210 Inoltre, non è conforme a tali requisiti un’impugnazione che, senza neppure contenere un argomento specificamente diretto a individuare l’errore di diritto di cui sarebbe viziata la decisione che è contestata, si limiti a ribadire o a riprodurre testualmente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al Tribunale. Infatti, un’impugnazione di tal genere costituisce, in realtà, una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame dell’atto introduttivo presentato dinanzi al Tribunale, che esula dalla competenza della Corte (sentenza del 9 febbraio 2023, Boshab/Consiglio, C‑708/21 P, EU:C:2023:84, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). 211 Orbene, nel caso di specie, con l’argomento sintetizzato al punto 207 della presente sentenza, la ricorrente si limita a ripetere, fatta eccezione per qualche modifica minore, l’argomento che essa aveva già presentato dinanzi al Tribunale. 212 Ne consegue che la quinta parte del terzo motivo d’impugnazione dev’essere respinta in quanto irricevibile. 213 Il terzo motivo d’impugnazione deve dunque essere respinto in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondato. Sul quarto motivo d’impugnazione Argomenti delle parti 214 Con il suo quarto motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale, nel dichiarare ai punti da 326 a 342 della sentenza impugnata che il principio del ne bis in idem non ostava all’adozione della decisione controversa, avrebbe effettuato una falsa applicazione di tale principio. 215 Secondo la ricorrente, è vero che il principio del ne bis in idem non osta all’adozione di una nuova decisione quando la precedente è stata annullata per vizi di forma. Tuttavia, dalla sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582) emergerebbe che tale possibilità è subordinata alla condizione che non sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati. Orbene, tale condizione non sarebbe soddisfatta nel caso di specie, avendo il Tribunale statuito sul merito della causa nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035). 216 La ricorrente sottolinea che il Tribunale ha considerato che il principio del ne bis in idem si applica solo in caso di doppia sanzione, il che non corrisponderebbe alle circostanze della presenta causa, poiché la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), nonché la decisione del 2009 e la sanzione che essa prevedeva sono state annullate dalla Corte. Tuttavia, secondo la ricorrente, tale principio osta altresì a un cumulo di procedimenti, a maggior ragione quando un siffatto cumulo conduce, come nel caso di specie, a una nuova condanna per gli stessi fatti. 217 Inoltre, il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che il principio del ne bis in idem si applica solo in caso di doppia sanzione. Infatti, dall’articolo 50 della Carta risulterebbe che tale principio sarebbe altresì applicabile in caso di duplice condanna. Infatti, una persona potrebbe essere condannata per un comportamento illecito senza subire sanzioni. 218 Pur riconoscendo che l’articolo 50 della Carta si riferisce a una sentenza definitiva, la ricorrente sottolinea che la sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), sebbene sia stata annullata dalla Corte, dovrebbe essere considerata, per quanto riguarda il merito, definitiva. Infatti, dalle conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause Feralpi e a./Commissione (C‑85/15 P, C‑86/16 P e C‑87/15 P, C‑88/15 P e C‑89/15 P, EU:C:2016:940), emergerebbe che l’impugnazione avverso tale sentenza avrebbe dovuto essere dichiarata irricevibile. 219 In ogni caso, le sentenze del 2014 non sarebbero tutte state oggetto d’impugnazione. Pertanto, la valutazione dei fatti costitutivi dell’intesa in questione, che erano comuni a tutte le imprese interessate, sarebbe divenuta definitiva. La valutazione del Tribunale, secondo cui le sentenze non produrrebbero effetti sulle imprese che non erano parti alle controversie definite con tali sentenze, sarebbe troppo formalistica e non terrebbe conto della vera essenza del principio del ne bis in idem. 220 La formulazione dell’articolo 50 della Carta non dovrebbe inoltre essere interpretata in modo troppo letterale. La ricorrente osserva, al riguardo, che dalla sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski (C‑486/14, EU:C:2016:483), emergerebbe che, in caso di archiviazione da parte di un pubblico ministero che abbia comunque esaminato i fatti, il principio del ne bis in idem è applicabile anche in assenza di una sentenza di assoluzione. 221 La Commissione contesta l’argomento della ricorrente. Giudizio della Corte 222 L’articolo 50 della Carta stabilisce che «[n]essuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». Il principio del ne bis in idem vieta quindi un cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni aventi natura penale, ai sensi di tale articolo, per gli stessi fatti e nei confronti di una stessa persona (sentenza del 14 settembre 2023, Volkswagen Group Italia e Volkswagen Aktiengesellschaft, C‑27/22, EU:C:2023:663, punto 44 nonché giurisprudenza ivi citata). 223 Inoltre, la Corte ha già dichiarato che il principio del ne bis in idem deve essere rispettato nei procedimenti volti a infliggere ammende in materia di diritto della concorrenza. Tale principio vieta, in materia di concorrenza, che un’impresa venga nuovamente condannata o perseguita per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile (sentenza del 22 marzo 2022, Nordzucker e a., C‑151/20, EU:C:2022:203, punto 32 nonché giurisprudenza ivi citata). 224 Nel caso di specie, si deve rilevare che, alla data di adozione della decisione controversa, non vi era una decisione vertente sull’intesa oggetto della decisione controversa che non sarebbe stata più impugnabile e che sarebbe quindi divenuta definitiva. Infatti, se è vero che il Tribunale, nella sentenza del 9 dicembre 2014, Ferriere Nord/Commissione (T‑90/10, EU:T:2014:1035), si è pronunciato, nel merito, sulla questione se la ricorrente potesse essere considerata responsabile per tale intesa, quale indicata nella decisione del 2009, tale sentenza, che è stata oggetto d’impugnazione dinanzi alla Corte, non è divenuta definitiva ed è stata in seguito integralmente annullata dalla Corte, così come la decisione del 2009. 225 Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la ripresa del procedimento e l’adozione della decisione controversa non sono incompatibili con la sentenza del 15 ottobre 2002 Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582). 226 Infatti, da tale sentenza emerge che, come rammentato dal Tribunale al punto 331 della sentenza impugnata, il principio del ne bis in idem vieta soltanto una nuova valutazione nel merito dei fatti materiali costituenti l’infrazione, che avrebbe come conseguenza l’irrogazione o di una seconda sanzione, che si cumulerebbe con la prima, nel caso in cui venisse nuovamente ritenuta sussistere una responsabilità, oppure di una prima sanzione, nell’ipotesi in cui la responsabilità, esclusa dalla prima pronuncia, sia reputata sussistere dalla seconda [sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 61]. Orbene, nel caso di specie non ricorre alcuna di tali due situazioni. 227 Certamente, la Corte ha aggiunto, al punto 62 di tale sentenza, che il principio del ne bis in idem non osta di per sé ad una riattivazione delle procedure sanzionatorie aventi ad oggetto lo stesso comportamento anticoncorrenziale nel caso in cui una prima decisione sia stata annullata per motivi di forma senza che sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati. 228 Tuttavia, così facendo, la Corte non ha indicato che il principio del ne bis in idem osta all’adozione di una nuova decisione dopo l’annullamento, su impugnazione, della sentenza con cui il Tribunale aveva statuito nel merito su una prima decisione e l’annullamento di tale prima decisione. Infatti, e come emerge dal medesimo punto 62 di detta sentenza, il principio del ne bis in idem può essere violato solo se vi è già una decisione definitiva nel merito della causa. Orbene, come rilevato al punto 224 della presente sentenza, una siffatta decisione definitiva non sussisteva per l’appunto al momento dell’adozione della decisione controversa. 229 La giurisprudenza citata al punto 227 della presente sentenza conferma inoltre che la riattivazione di un procedimento in materia di applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione, dopo l’annullamento di una prima decisione che pone fine a tale procedimento, non dà luogo a un cumulo di procedimenti. 230 Ne consegue che il Tribunale ha correttamente considerato che l’adozione della decisione controversa non violava il principio del ne bis in idem. 231 È vero che talune sentenze del 2014, riguardanti altre imprese, sono divenute definitive, non essendo state oggetto d’impugnazione. Tuttavia, tali sentenze, sebbene riguardassero la stessa intesa per la quale la ricorrente era stata perseguita, non costituiscono, rispetto a quest’ultima, una sentenza definitiva. 232 Parimenti, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la possibilità che una decisione adottata da un pubblico ministero possa essere rilevante per l’applicazione del principio del ne bis in idem non è tale da mettere in discussione detta valutazione, avendo la Corte precisato che, ai fini dell’applicazione di tale principio, una siffatta decisione deve essere definitiva (sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C‑486/14, EU:C:2016:483, punti da 52 a 54). 233 Alla luce di quanto precede, si deve respingere il quarto motivo d’impugnazione in quanto infondato. Sul sesto motivo d’impugnazione Argomenti delle parti 234 Con il suo sesto motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che il Tribunale, nell’omettere di constatare che la violazione dei diritti della difesa risultava dal fatto che la Commissione non aveva espressamente menzionato la sua intenzione di applicare alla ricorrente la circostanza aggravante della recidiva nella comunicazione degli addebiti, nella comunicazione degli addebiti supplementari o in un altro atto del procedimento riassunto nel 2017, privandola così della possibilità di presentare osservazioni su tale punto durante il procedimento amministrativo, sarebbe incorso in un errore di diritto ai punti da 535 a 551 della sentenza impugnata. 235 In primo luogo, il Tribunale non avrebbe tenuto conto della giurisprudenza della Corte, segnatamente della sentenza del 5 marzo 2015, Commissione e a./Versalis e a. (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150), e di quella della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 6 della CEDU. In secondo luogo, avrebbe violato le pertinenti disposizioni contenute negli atti di soft law che la Commissione si è imposta, ossia i punti 84, 86 e 109 della comunicazione del 2011. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe omesso di prendere in considerazione o snaturato la trascrizione di taluni passaggi dei file audio dell’udienza nella causa che ha portato alla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716). In quarto luogo, i fatti menzionati ai punti 547 e 548 della sentenza impugnata, così come quelli di cui ai punti da 543 a 546 di tale sentenza, sarebbero privi di pertinenza, dato che la comunicazione degli addebiti e le decisioni del 2002 e del 2009 non contenevano una motivazione relativa alla recidiva. In ogni caso, tali fatti avrebbero dovuto essere attualizzati in ragione della durata eccezionalmente lunga del procedimento. La circostanza riportata al punto 549 della sentenza impugnata sarebbe inconferente, in quanto il contenuto della lettera del 15 dicembre 2017 non avrebbe manifestamente soddisfatto i canoni stabiliti dalla giurisprudenza. 236 La Commissione ritiene che tale motivo d’impugnazione sia irricevibile e, in ogni caso, infondato. Giudizio della Corte 237 Il Tribunale ha indicato, ai punti da 538 a 542 della sentenza impugnata, i criteri che consentono di verificare l’esistenza di un’eventuale violazione dei diritti della difesa della ricorrente, con riferimento alla presa in considerazione della recidiva nei suoi confronti. 238 Al punto 538 di tale sentenza, esso ha giudicato, facendo riferimento alla sentenza del 5 marzo 2015, Commissione e a./Versalis e a. (C‑93/13 P e C‑123/13 P, EU:C:2015:150), che, quando la Commissione intende imputare una violazione del diritto della concorrenza a una persona giuridica e prevede di applicare nei suoi confronti, in siffatto contesto, la recidiva quale circostanza aggravante, la comunicazione degli addebiti da essa indirizzata a tale persona deve contenere tutti gli elementi che consentano a quest’ultima di garantire la sua difesa, in particolare quelli idonei a giustificare che le condizioni della recidiva sono soddisfatte nel caso di specie. Al punto 539 di detta sentenza, esso ha rammentato che era in tal senso che la Commissione, al punto 84 della sua comunicazione del 2011, si era impegnata a menzionare nella comunicazione degli addebiti, «in maniera sufficientemente precisa», i fatti che possono costituire circostanze aggravanti, e ha aggiunto, al punto 540 della medesima sentenza, che, secondo costante giurisprudenza, la recidiva dev’essere considerata come una circostanza che può rivestire siffatto carattere aggravante. 239 Al punto 541 della sentenza impugnata, il Tribunale ha precisato che l’obbligo descritto ai punti da 538 a 540 di tale sentenza discende dall’obbligo di rispettare i diritti della difesa, obbligo che costituisce un principio generale secondo cui, in qualsiasi procedimento con cui possono essere inflitte sanzioni, in particolare ammende o penalità di mora, le imprese e le associazioni di imprese interessate devono essere messe in grado, fin dal procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il loro punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza dei fatti, degli addebiti e delle circostanze allegate nei loro confronti. 240 Infine, al punto 542 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che, per verificare se il principio dei diritti della difesa sia stato rispettato, il giudice dell’Unione deve prendere in considerazione tutte le circostanze della causa, al fine di garantire che l’intenzione della Commissione di accertare un’infrazione o una determinata circostanza fosse sufficientemente prevedibile, agli occhi dell’impresa interessata, perché si possa ritenere che quest’ultima fosse stata messa in grado di formulare le sue osservazioni sul punto considerato. 241 La ricorrente non contesta tali spiegazioni del Tribunale. 242 La ricorrente sostiene, invece, essenzialmente, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel considerare che, nel caso di specie, il fatto che la Commissione avesse intenzione di accertare la recidiva, quale circostanza aggravante nei suoi confronti, era sufficientemente prevedibile. 243 Per respingere tale allegazione, il Tribunale si è fondato, da un lato, sul contenuto della comunicazione degli addebiti, di cui ai punti da 543 a 546 della sentenza impugnata, e, dall’altro, sulla lettera della Commissione del 15 dicembre 2017 con cui annunciava la ripresa del procedimento amministrativo, di cui ai punti da 547 a 549 di tale sentenza. 244 Sebbene la ricorrente affermi di non chiedere alla Corte di effettuare una nuova valutazione dei fatti, il suo argomento si focalizza quasi esclusivamente sul contenuto della comunicazione degli addebiti. 245 Orbene, dai punti 547 e 548 della sentenza impugnata emerge che la Commissione, nella sua lettera del 15 dicembre 2017 che annunciava la ripresa del procedimento amministrativo, ha informato la ricorrente che, nella decisione che avrebbe adottato al termine del procedimento, essa si sarebbe basata sugli addebiti risultanti dalla comunicazione degli addebiti, che aveva dato luogo all’adozione delle decisioni del 2002 e del 2009 e che la recidiva era stata presa in considerazione, in tali decisioni, per il calcolo dell’importo dell’ammenda della ricorrente, a titolo di circostanza aggravante. 246 Alla luce di quanto esposto, quand’anche la comunicazione degli addebiti non fosse stata chiara, il Tribunale, al punto 550 della sentenza impugnata, ha potuto considerare che l’intenzione della Commissione di applicare, nella decisione controversa, la recidiva quale circostanza aggravante nei confronti della ricorrente era sufficientemente prevedibile. 247 Inoltre, la Commissione ha constatato la recidiva della ricorrente sulla base di una precedente decisione che constatava un’infrazione commessa da quest’ultima, che era stata presa in considerazione per gli stessi fini nelle decisioni del 2002 e del 2009. In tali circostanze, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale non era tenuto a considerare che la Commissione avrebbe dovuto attualizzare gli elementi alla luce dei quali essa ha preso in considerazione la recidiva. 248 La ricorrente sostiene inoltre che taluni passaggi della registrazione dell’udienza nella causa che ha portato alla sentenza del 21 settembre 2017, Ferriere Nord/Commissione (C‑88/15 P, EU:C:2017:716), confermerebbero la plausibilità delle ragioni per le quali essa non aveva presentato osservazioni sulla recidiva dopo la ripresa del procedimento amministrativo. Tuttavia, la ricorrente non precisa le ragioni giuridiche per cui tali passaggi dimostrerebbero che essa era legittimata a ritenere che la Commissione, dopo la ripresa del procedimento, non potesse applicare la circostanza aggravante della recidiva senza informarne esplicitamente la stessa in anticipo. 249 Di conseguenza, la censura relativa a un’omessa statuizione o a uno snaturamento di detti passaggi deve essere respinta in quanto irricevibile, tenuto conto dei requisiti rammentati al punto 51 della presente sentenza. 250 Si deve, pertanto, respingere il sesto motivo d’impugnazione in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondato. Sul settimo motivo d’impugnazione Sulla prima parte – Argomenti delle parti 251 Con la prima parte del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel respingere, ai punti da 565 a 579 della sentenza impugnata, la sua censura secondo cui la presa in considerazione della recidiva a titolo di circostanza aggravante sarebbe contraria al principio di proporzionalità, a causa del termine eccessivamente lungo del procedimento. 252 In primo luogo, il punto 575 della sentenza impugnata sarebbe inficiato da un vizio di motivazione. Infatti, mentre la ricorrente avrebbe fatto riferimento alla durata abnorme del procedimento in questione, il Tribunale avrebbe fatto riferimento, in tale punto 575, al breve termine che era trascorso tra l’infrazione precedente e l’infrazione sanzionata dalla decisione controversa. 253 In secondo luogo, il Tribunale avrebbe considerato che la Commissione poteva applicare la recidiva in ragione di un’infrazione constatata oltre 30 anni prima dell’adozione della decisione controversa. Così facendo, il Tribunale si sarebbe fondato su un’interpretazione manifestamente sproporzionata della nozione di recidiva. Tale interpretazione non potrebbe essere giustificata dall’obiettivo di garantire l’effetto dissuasivo di tale decisione, poiché, dopo il 2000, la ricorrente non si sarebbe più resa responsabile di condotte anticoncorrenziali. Il Tribunale non avrebbe dato alcun peso al carattere dissuasivo dei procedimenti giudiziari e amministrativi in cui la ricorrente era coinvolta. 254 Il Tribunale avrebbe altresì omesso di tener conto del fatto che la finalità di garantire l’effetto dissuasivo era stata presa in considerazione tanto per sanzionare l’intesa in questione quanto per aggravare l’ammenda a titolo di recidiva, comportando una duplicazione contraria al principio di proporzionalità. 255 Inoltre, la valutazione del Tribunale si concilierebbe difficilmente con il principio espresso nella sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione (C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punti 70 e 73), secondo cui il diritto della concorrenza dell’Unione non autorizza la Commissione a tenere conto di una recidiva senza limiti di tempo. La presa in considerazione, a titolo di recidiva, di fatti risalenti a oltre 30 anni prima dell’adozione della decisione controversa sarebbe quindi manifestamente sproporzionata e condurrebbe alla negazione sul piano pratico del principio espresso dalla Corte. 256 La Commissione sostiene che tale argomento è irricevibile e, in ogni caso, manifestamente infondato. – Giudizio della Corte 257 Con tale motivo d’impugnazione, la ricorrente contesta al Tribunale un vizio di motivazione e un errore di diritto per quanto attiene all’interpretazione del principio di proporzionalità. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, detto motivo deve quindi essere ritenuto ricevibile. 258 Tuttavia, l’argomento della ricorrente è infondato. 259 In primo luogo, per quanto attiene alla motivazione del punto 575 della sentenza impugnata, da tale punto emerge che, al fine di esaminare se la Commissione potesse applicare la recidiva nei confronti della ricorrente, il Tribunale ha considerato che il termine che era trascorso tra l’infrazione precedentemente commessa da tale impresa e l’infrazione sanzionata dalla decisione controversa era breve. Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, il Tribunale non ha ignorato che la censura ad esso sottoposta non riguardava tale termine ma quello che era trascorso tra l’infrazione precedente e la data di adozione della decisione controversa. Infatti, non solo il Tribunale ha sintetizzato tale censura al punto 566 di tale sentenza, ma, al punto 575 di detta sentenza, ha altresì dichiarato che la Commissione poteva applicare la recidiva come circostanza aggravante nei confronti della ricorrente «malgrado il fatto che l’indagine [fosse] durata un certo tempo, a causa delle alee giudiziarie che essa ha conosciuto». Da tali elementi risulta che le allegazioni della ricorrente relative a un vizio di motivazione e a un’omessa statuizione si basano su una lettura errata della sentenza impugnata. 260 In secondo luogo, per quanto attiene alla censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità, si deve rammentare che tale principio esige, per consolidata giurisprudenza, che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a garantire la realizzazione dei legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa in questione e non vadano oltre quanto è necessario per conseguire tali obiettivi (sentenza del 9 dicembre 2020, Groupe Canal +/Commissione, C‑132/19 P, EU:C:2020:1007, punto 104 nonché giurisprudenza ivi citata). 261 Per quanto riguarda la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, occorre rammentare che tale maggiorazione è dovuta alla necessità di reprimere violazioni reiterate delle regole di concorrenza da parte della medesima impresa (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 61). 262 Al riguardo, si deve rilevare che la ricorrente non contesta la valutazione del Tribunale, contenuta al punto 553 della sentenza impugnata, secondo cui, in una prospettiva di dissuasione, la recidiva costituisce una circostanza che, secondo la giurisprudenza, giustifica un notevole aumento dell’importo di base dell’ammenda, poiché prova in effetti che la sanzione precedentemente imposta non è stata abbastanza dissuasiva. 263 La ricorrente non contesta nemmeno il rigetto, ai punti 557 e 564 della sentenza impugnata, della sua censura con cui aveva sostenuto che il termine trascorso tra l’infrazione precedentemente commessa e quella di cui alla decisione controversa era troppo lungo affinché la recidiva potesse essere applicata nei suoi confronti. 264 Infatti, la ricorrente si limita a sostenere che, dato che la finalità della presa in considerazione della recidiva sarebbe dissuadere un’impresa dal commettere nuove infrazioni al diritto della concorrenza, il principio di proporzionalità sarebbe stato violato nel caso di specie poiché, da un lato, essa non si sarebbe più resa colpevole di tali comportamenti dal 2000 e, dall’altro, i procedimenti amministrativi e giudiziari che hanno già avuto luogo con riferimento all’intesa oggetto della decisione controversa avevano inevitabilmente prodotto un effetto dissuasivo. 265 Orbene, si deve rammentare che, al punto 577 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che non si poteva escludere che la minaccia di sanzioni che gravava sulla ricorrente durante tutta l’indagine e l’irrogazione, in due occasioni, di una sanzione, avessero potuto avere un certo effetto dissuasivo. Il Tribunale ha tuttavia considerato, senza incorrere in errori di diritto, che «[è] la sanzione, vale a dire il fatto di pagare l’ammenda inflitta dalla Commissione, come maggiorata a titolo di recidiva, a dissuadere effettivamente un’impresa dal rendersi nuovamente colpevole di una violazione delle regole di concorrenza». 266 In ogni caso, la ricorrente non ha dimostrato che il solo fatto che sia trascorso un periodo considerevole tra le infrazioni constatate per prendere in considerazione la recidiva e l’adozione da parte della Commissione della decisione controversa avrebbe come conseguenza il fatto che tale presa in considerazione sarebbe sproporzionata. 267 Tale conclusione non è messa in discussione dagli altri argomenti dalla ricorrente. 268 In primo luogo, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto nel dichiarare che la Commissione poteva considerare, da un lato, che l’adozione di una nuova decisione che constata la partecipazione della ricorrente all’intesa era giustificata, tra l’altro, dallo scopo di dissuaderla dal commettere tali infrazioni in futuro e, dall’altro, che occorreva rafforzare tale effetto deterrente applicando la recidiva nei confronti di quest’ultima. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il fatto di aver preso in considerazione la recidiva, tanto per decidere sull’opportunità di adottare una nuova decisione che constata la sua partecipazione a un’infrazione quanto per calcolare l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta, non costituisce una «duplicazione» contraria al principio di proporzionalità. 269 In secondo luogo, è vero che il principio di proporzionalità esige che il tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e una violazione precedente delle regole di concorrenza venga preso in considerazione per valutare la propensione dell’impresa a sottrarsi a tali regole (sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punti 70 e 73). Tuttavia, tale termine non è quello al quale fa riferimento la ricorrente a sostegno della sua censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità. 270 Ne consegue che la prima parte del settimo motivo d’impugnazione dev’essere respinta in quanto infondata. Sulla seconda parte – Argomenti delle parti 271 Con la seconda parte del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, in primo luogo, che i punti da 580 a 595 della sentenza impugnata sarebbero affetti da un vizio di motivazione. Essa indica di aver sostenuto, in primo grado, che la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva era sproporzionata tenuto conto, da un lato, del decorso di un lasso di tempo eccezionalmente lungo e, dall’altro, del carattere «lieve» della recidiva. Il Tribunale avrebbe esaminato solo il secondo di tali argomenti. 272 In secondo luogo, sarebbe evidente il carattere sproporzionato della maggiorazione dell’ammenda del 50% a causa della recidiva, dato che la decisione controversa è stata adottata oltre 30 anni dopo la decisione che constata l’infrazione precedente. Al riguardo, il Tribunale si sarebbe dovuto avvedere del carattere contraddittorio della decisione controversa. Infatti, la Commissione avrebbe ridotto del 50% l’importo di base dell’ammenda, tenuto conto della durata del procedimento, ma avrebbe omesso di prendere in considerazione tale durata del procedimento ai fini dell’applicazione della maggiorazione a titolo di recidiva. Per motivi di coerenza, la Commissione, in ragione del fattore tempo, avrebbe dovuto ridurre almeno della metà anche la percentuale di maggiorazione del 50% a titolo di recidiva. Inoltre, tale maggiorazione non può ontologicamente superare l’ammontare dell’ammenda. Orbene, nel caso di specie, l’importo di detta maggiorazione sarebbe approssimativamente pari al doppio dell’importo dell’ammenda che sarebbe stata irrogata alla ricorrente se tale circostanza aggravante non fosse stata applicata. 273 La Commissione sostiene che la ricorrente si limita a ripetere gli argomenti da essa fatti valere dinanzi al Tribunale e mirerebbe quindi a ottenere dalla Corte un nuovo esame del suo ricorso in primo grado. L’argomento della ricorrente sarebbe quindi irricevibile e, in ogni caso, infondato. – Giudizio della Corte 274 Con la seconda parte del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato il suo obbligo di motivare le sue sentenze e sarebbe incorso in un errore d’interpretazione del principio di proporzionalità. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, detta parte del motivo d’impugnazione deve quindi essere ritenuta ricevibile. 275 Tuttavia, l’argomento della ricorrente è infondato. 276 In primo luogo, la ricorrente contesta al Tribunale di avere omesso di rispondere al suo argomento secondo cui la maggiorazione applicata dalla Commissione nei suoi confronti, a titolo di recidiva, era sproporzionata, tenuto conto della durata del procedimento. Al riguardo, si deve rilevare che, ai punti da 565 a 579 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’argomento della ricorrente secondo cui la constatazione della recidiva nei suoi confronti non era compatibile con il principio di proporzionalità. Pertanto, il Tribunale non era più tenuto a rispondere all’argomento della ricorrente secondo cui tale principio ostava altresì alla maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva. 277 In secondo luogo, la ricorrente non ha dimostrato che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione, nel fissare la percentuale della maggiorazione a titolo di recidiva al 50% dell’importo di base dell’ammenda, non aveva violato il principio di proporzionalità. 278 Occorre aggiungere che il fatto che, nella decisione controversa, la Commissione ha ridotto del 50% l’importo di base dell’ammenda, tenuto conto della durata del procedimento, applicando al contempo una percentuale di maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, non rivela alcuna contraddizione, poiché tali due elementi sono indipendenti l’uno dall’altro. 279 Infine, la ricorrente, nell’affermare che una maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva non può superare l’importo dell’ammenda, non indica alcuna norma giuridica a sostegno di tale affermazione ed effettua un calcolo che non solo non risulta corretto, ma si fonda altresì su una situazione ipotetica. 280 Alla luce di quanto precede, la seconda parte del settimo motivo d’impugnazione e, di conseguenza, tale motivo nella sua interezza devono essere respinti in quanto infondati. Sull’ottavo motivo d’impugnazione Argomenti delle parti 281 L’ottavo motivo d’impugnazione si articola in due parti. 282 Con la prima parte di tale motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel dichiarare, ai punti da 611 a 628 della sentenza impugnata, che la Commissione non ha violato il principio di parità di trattamento nell’applicarle una riduzione dell’importo dell’ammenda proporzionalmente meno rilevante di quella concessa alla Riva. 283 Secondo la ricorrente, dalla decisione controversa emerge che la Riva, che ha partecipato all’intesa oggetto di tale decisione per dieci anni e sei mesi in totale, ha beneficiato di una riduzione del 3% dell’importo dell’ammenda in ragione dell’interruzione della sua partecipazione, per un anno, alla componente di tale intesa relativa alla limitazione e al controllo della produzione o delle vendite. Invece, la ricorrente, che ha partecipato all’intesa per sette anni, avrebbe beneficiato di una riduzione del 6% per i tre anni durante i quali essa non ha partecipato a tale componente dell’intesa, ossia una riduzione di solamente il 2% per ciascuno di tali anni. 284 Con la seconda parte dell’ottavo motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto omettendo di rilevare la tardività delle ragioni addotte dalla Commissione per giustificare la sua scelta di applicare riduzioni di ammenda diverse a comportamenti identici. 285 La Commissione ritiene che tale argomento sia irricevibile. La ricorrente si limiterebbe, in sostanza, a ripetere gli argomenti addotti in primo grado. Essa tenterebbe così di ottenere dalla Corte un riesame del ricorso presentato in primo grado. L’argomento della ricorrente sarebbe, in ogni caso, manifestamente infondato. Giudizio della Corte 286 Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, le due parti dell’ottavo motivo d’impugnazione, nella parte in cui riguardano errori di diritto asseritamente commessi dal Tribunale, sono ricevibili. 287 Per quanto attiene alla prima parte, occorre rammentare che il principio di parità di trattamento, sancito dall’articolo 20 della Carta, esige che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (sentenza del 18 aprile 2024, Dumitrescu e a./Commissione e Corte di giustizia, da C‑567/22 P a C‑570/22 P, EU:C:2024:336, punti 65 e 67 nonché giurisprudenza ivi citata). 288 Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata emerge che, nella decisione controversa, la Commissione ha constatato, da un lato, che tanto la ricorrente quanto la Riva avevano partecipato all’intesa oggetto di tale decisione e, dall’altro, che tali due imprese non avevano partecipato a una certa componente di tale intesa – la ricorrente per tre anni e la Riva per un anno. 289 Come rammentato dal Tribunale al punto 613 della sentenza impugnata, per il calcolo delle ammende inflitte alle imprese che hanno partecipato a un’intesa, un trattamento differenziato tra le imprese interessate è inerente all’esercizio dei poteri spettanti alla Commissione in materia. Infatti, nell’ambito del suo potere discrezionale, la Commissione è chiamata a personalizzare la sanzione in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche propri di tali imprese, al fine di garantire, in ogni caso di specie, la piena efficacia delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (sentenza del 13 giugno 2013, Versalis/Commissione, C‑511/11 P, EU:C:2013:386, punto 104 e giurisprudenza ivi citata). 290 Dai punti da 615 a 617 della sentenza impugnata emerge che la Commissione ha giustificato la differenza tra le rispettive percentuali di riduzione con la necessità di ponderare la riduzione concessa in ragione della mancata partecipazione ad una componente dell’intesa in funzione della durata della partecipazione complessiva di ciascuna impresa all’intesa considerata nel suo insieme. La partecipazione della ricorrente e della Riva all’intesa complessivamente considerata sarebbe stata un fattore importante che doveva essere preso in considerazione ai fini della valutazione della circostanza attenuante in parola. Orbene, poiché la partecipazione complessiva all’intesa era più lunga per la Riva, l’effetto della sua mancata partecipazione a tale componente dell’intesa sarebbe stato più importante. 291 Più precisamente, il Tribunale ha rilevato, al punto 622 della sentenza impugnata, che, per determinare la riduzione da concedere alla Riva, la Commissione aveva tenuto conto della gravità relativa della partecipazione all’infrazione di tali due imprese, conformemente all’esigenza di personalizzazione delle ammende ricordata al punto 289 della presente sentenza. Infatti, essa aveva considerato che, poiché la partecipazione complessiva della Riva all’intesa era più lunga di quella della ricorrente, essa era necessariamente più grave e che l’effetto della sua mancata partecipazione a una determinata componente dell’intesa era ancor più importante. 292 Nel dichiarare, al punto 323, della sentenza impugnata, che tale approccio era conforme al principio di parità di trattamento, il Tribunale è incorso in un errore di diritto. 293 Infatti, è pacifico che la Commissione ha concesso alla ricorrente una riduzione del 2% all’anno, per quanto attiene al periodo durante il quale essa non ha partecipato alla componente dell’intesa in questione, mentre la riduzione per la Riva era del 3%. 294 Vero è che, in assenza di altri elementi che consentano di differenziare la partecipazione di tali due imprese a tale intesa, il fatto che la Riva avesse partecipato a detta intesa per dieci anni e sei mesi significava che tale partecipazione ha avuto un effetto sulla concorrenza più grave rispetto a quella della ricorrente, che vi ha partecipato solo per sette anni. Tuttavia, tale constatazione non può essere estesa ai periodi durante i quali le imprese non hanno partecipato a una certa componente di tale intesa, poiché la loro mancata partecipazione a tale componente aveva, in linea di principio, lo stesso effetto sulla concorrenza. 295 È certamente possibile ponderare la riduzione concessa in ragione della mancata partecipazione a una componente dell’intesa in funzione della durata totale della partecipazione a tale intesa di ciascuna delle imprese. Tuttavia, nel caso di specie, la ricorrente non ha partecipato a tale componente per tre anni, durata che rappresentava circa la metà della sua partecipazione a detta intesa, mentre la Riva, durante i dieci anni e sei mesi della sua partecipazione alla medesima intesa, aveva omesso di partecipare a detta componente solo per un anno. 296 In tali circostanze, si deve quindi rilevare che la Commissione ha trattato situazioni paragonabili in maniera diversa, senza fornire una valida giustificazione per tale differenza di trattamento. 297 Ne consegue che la prima parte dell’ottavo motivo d’impugnazione dev’essere accolta. Si deve, pertanto, annullare la sentenza impugnata, senza che occorra statuire sulla seconda parte di tale motivo. Sul ricorso dinanzi al Tribunale 298 Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. In tal caso, essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta. 299 Nel caso di specie, la Corte deve statuire definitivamente sulla controversia, giacché lo stato degli atti lo consente. 300 Dai punti da 286 a 297 della presente sentenza emerge che la decisione controversa non è compatibile con il principio di parità di trattamento, nella parte in cui concede alla ricorrente una riduzione dell’importo dell’ammenda del 2% all’anno, a titolo di un periodo durante il quale essa non ha partecipato a una componente dell’intesa in questione, mentre ha concesso alla Riva, per le stesse considerazioni, una riduzione del 3%. La Corte, avendo rilevato l’illegittimità della decisione controversa, può, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sostituire le proprie valutazioni a quelle della Commissione e, conseguentemente, sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda. Tale competenza viene esercitata tenendo conto di tutte le circostanze di fatto (sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 78 nonché giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, la Corte considera, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, che la percentuale di riduzione dell’importo dell’ammenda del 3% all’anno dovrebbe essere applicata anche alla ricorrente. 301 Ne consegue che l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente nella decisione controversa è fissato a EUR 2 165 000. Sulle spese 302 Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, quest’ultima decide in merito alle spese. 303 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, di detto regolamento, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. 304 Poiché la ricorrente e la Commissione sono rimaste rispettivamente soccombenti su uno o più capi, esse si faranno carico delle proprie spese relative al procedimento di primo grado e all’impugnazione. Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce: 1) Il punto 1 del dispositivo della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 9 novembre 2022, Ferriere Nord/Commissione (T‑667/19, EU:T:2022:692), è annullato nella parte in cui respinge le censure del nono motivo di ricorso in primo grado della Ferriere Nord SpA vertenti sulla violazione del principio di parità di trattamento. 2) L’impugnazione è respinta quanto al resto. 3) L’articolo 2, paragrafo 3, della decisione C(2019) 4969 final della Commissione, del 4 luglio 2019, relativa a una violazione dell’articolo 65 del Trattato CECA (caso AT.37956 – Tondo per cemento armato) è annullato. 4) L’importo dell’ammenda inflitta alla Ferriere Nord SpA, all’articolo 2, paragrafo 3, della decisione C(2019) 4969 final è fissato nella somma di EUR 2 165 000. 5) La Ferriere Nord SpA e la Commissione europea si faranno carico delle proprie spese relative al procedimento di primo grado e all’impugnazione.
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 ottobre 2024.
* Lingua processuale: l’italiano. | |||||||||